Il cappello di paglia: un must dello chic che contrasta i raggi UV

 

Proteggersi da Caronte anche dal punto di vista modaiolo: oggi esamineremo proprio questo aspetto. Un accessorio su tutti, in tal senso, si rivela un vero e proprio must. E’ il cappello di paglia, un copricapo nato secoli orsono nelle zone rurali. Anticamente, veniva utilizzato dalle popolazioni agresti per ripararsi dal sole mentre lavoravano nei campi. Nell’Ottocento, tuttavia, assunse un volto totalmente inedito: divenne la quintessenza dello chic. Lo indossavano gli uomini e le donne indifferentemente; il gentil sesso, dato che l’abbronzatura rimase tabù fino agli inizi del XX secolo, lo abbinava ad accessori come i guanti e gli ombrellini parasole. I cappelli di paglia cominciarono ad essere prodotti soprattutto a Signa, vicino Firenze, che si guadagnò l’appellattivo di “città della paglia”, ma anche in Svizzera. Oggi, il cappello di paglia è un evergreen. Non esiste estate che non lo veda protagonista: anno dopo anno, rimane l’accessorio di tendenza per antonomasia. Ed ancor più nel periodo attuale, con le temperature infuocate del cambiamento climatico. Persino gli esperti consigliano di proteggere il viso e il collo dai raggi UV indossando un cappello a tesa larga. Quale scelta migliore, dunque, di un cappello di paglia che coniuga la funzionalità con lo stile?

 

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Florigrafia: i fiori e il loro intrigante linguaggio

 

Che anche i fiori parlino, è risaputo. Il noto slogan “Ditelo con i fiori”, a tal proposito, è indicativo: ogni fiore veicola un messaggio, comunica qualcosa. Si associa, cioè, a un determinato significato simbolico. E attraverso la florigrafia, una disciplina diffusissima nell’ Ottocento, può sostituire le parole tramite l’accezione che viene data al suo colore e alla sua specie. I fiori sono stati collegati a specifici concetti sin dall’ epoca dell’antica Roma: esistevano tipologie di fiori con cui onorare le divinità, allontanare la sfortuna e propiziare la buona sorte. Durante il Medioevo e il Rinascimento, quella consuetudine andò evolvendosi e cominciò a identificarsi con nozioni morali da attribuire a ogni pianta. Il linguaggio dei fiori così come lo conosciamo oggi è stato introdotto in Europa da Mary Wortley Montagu, la consorte dell’ ambasciatore britannico a Costantinopoli. In alcune sue lettere date alle stampe nel 1763, Lady Mary Wortley Montagu raccontava di una tradizione turca denominata “selam”: i turchi, infatti, erano soliti associare una valenza emblematica a svariati fiori e frutti e agli arnesi più disparati. Ciò ha suscitato un immediato interesse nei confronti della suddetta usanza, che nell’età vittoriana ha conosciuto un vero e proprio boom.

 

 

Il linguaggio dei fiori, detto florigrafia, all’epoca iniziava ad essere legato ai sentimenti. Nell’Ottocento hanno cominciato a propagarsi i “flower books”, libri specificamente dedicati a quella disciplina, la cui grafica era un capolavoro di eleganza: incisioni, illustrazioni e litografie impreziosivano ogni pubblicazione, fornendo una sorta di validità scientifica alle convinzioni popolari che circondavano il mondo delle piante. In Europa era esplosa la passione per la florigrafia, e i libri a tema proliferavano letteralmente. Le opere più conosciute rimangono Abécédaire de flore, ou language des fleurs (1811) e Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (1818), che hanno visto la luce rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il volume che ha però raggiunto una fama straordinaria è Les Language des Fleurs di Charlotte de Latour, dato alle stampe nel 1819. Pare che il nome dell’autrice fosse l’alias di Louise Cortambert, moglie di un noto bibliotecario parigino. Del libro, ricco di litografie botaniche ad opera dell’artista Pancrace Bessa, sono state realizzate molteplici ristampe e il successo che ha riscosso è stato enorme.

 

 

Oggi, alla florigrafia non si guarda più con molto interesse. Il linguaggio dei fiori è una disciplina conosciuta solo da pochi esperti. Eppure, soprattutto al momento di regalare un bouquet floreale, parecchi di noi si pongono il quesito del significato di quei fiori: alcuni sono piuttosto noti, altri meno, ma di solito un fioraio è in grado di fugare i nostri dubbi. Le rose, ad esempio, rimangono il fiore più ricco di significati simbolici. In molti sappiamo che la rosa rossa è un emblema di passione, la rosa rosa di amicizia e soavità, la rosa gialla di gelosia e quella bianca di purezza. Del significato di tantissimi altri fiori, invece, purtroppo non tutti sono a conoscenza. Ne cito qualcuno in ordine sparso: la lavanda indica sfiducia, il girasole solarità, il narciso amore non corrisposto, il myosotis (comunemente noto come nontiscordardime) vero amore, il bucaneve speranza, l’orchidea completa dedizione amorosa e il glicine amicizia. Sarebbe bello ricominciare ad appropriarsi delle valenze che si associano a ogni fiore, e iniziare a comunicare attraverso il linguaggio dei fiori tutte le volte che vogliamo: i messaggi sottili e raffinati che la florigrafia veicola risulterebbero, senza dubbio, molto più intriganti di qualsiasi contatto via web.

 

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