“San Martino castagne e vino”: ma che non siano castagne matte. Ecco come distinguerle dalle castagne comuni

 

Buon San Martino a tutti (nessuna allusione alla festa dei cornuti, naturalmente!). Abbiamo approfondito insieme diverse volte questa ricorrenza così ricca di significati e tradizioni. Oggi ci soffermeremo su una delle usanze più tipiche dell’11 Novembre: le caldarroste accompagnate al vino novello, un abbinamento che ritroviamo in tutte le regioni italiane. Quando pensiamo alla festa di San Martino, è senza dubbio il primo binomio che ci viene in mente; un binomio, peraltro, caratteristico dell’intera stagione autunnale. Consumare castagne arrostite e vino novello, magari davanti al focolare, è uno dei piccoli piaceri che l’Autunno ci regala. Eppure, anche questa suggestiva consuetudine potrebbe risultare non scevra da insidie: chi vi dice, infatti, che tra quelle caldarroste non si nascondano castagne matte? Bisogna fare attenzione, perchè i frutti del Castanea Sativa (o castagno europeo), commestibili e salutari, non hanno nulla in comune con quelli dell’Aesculus Hippocastanum, nome scientifico dell’ippocastano. La castagna dell’ippocastano, a prima vista, è pressochè identica a quella del castagno; in realtà, si tratta di frutti diversissimi. La prima, comunemente detta castagna matta, innanzitutto è tossica per l’uomo. Consumarla comporta dei seri rischi. Alcune specie animali si cibano di castagne matte senza problemi, ma per gli esseri umani sono frutti off-limits che possono causare lesioni all’intestino o ai reni. Imparare a riconoscerle, dunque, è fondamentale. Ma come? Ecco la guida di VALIUM.

 

 

La castagna matta: i segni distintivi

  • E’ il frutto dell’ ippocastano, un albero che ha unicamente una funzione ornamentale. Di conseguenza, viene piantato in città: lo troverete nei parchi, nei giardini, ai lati dei viali, ma non nei boschi.
  • Le foglie dell’ippocastano sono dette palmato-sette: composte da più lamine,  convergono in un picciolo comune. Possono oltrepassare i 20 cm di lunghezza.
  • Il riccio è di colore verdognolo con aculei distanziati e non troppo lunghi. Contiene solo una castagna, tondeggiante e di grandi dimensioni.
  • Quando vengono bollite, le castagne matte effondono un odore non esattamente invitante. Il loro sapore, inoltre, è estremamente amaro.

 

 

La castagna comune

  • E’ il frutto del castagno europeo, un albero che cresce a non meno di 300-1200 metri d’altezza. Il Castanea Sativa abbonda nei boschi di montagna e in alta collina; anticamente, nel mondo rurale, la farina di castagne era un ingrediente-base dell’alimentazione.
  • Le foglie del castagno sono lanceolate, acuminate e seghettate, ma singole. Raggiungono una lunghezza che può arrivare a 22 cm, mentre la larghezza si attesta intorno ai 10 cm.
  • Il riccio, di color beige-marrone, vanta aculei lunghi e fittissimi. Contiene dai due ai tre frutti al massimo, di cui uno spesso è piuttosto grande e gli altri due più piccoli. La forma della castagna comune è semisferica, con un lato appiattito ed uno convesso.

 

 

La tossicità delle castagne matte

Le differenze tra le castagne comuni e le castagne matte, come avete potuto constatare, in realtà sono ben chiare. Ma cosa potrebbe succedere a chi ha confuso le due tipologie? Le castagne matte, non essendo commestibili, sono estremamente dannose per l’organismo: nel caso migliore si limitano a provocare nausea, vomito o violenti disturbi intestinali, ma molto spesso causano intossicazioni che richiedono un immediato intervento medico. I sintomi sono quelli dell’avvelenamento, determinato dalle saponine contenute in questo tipo di castagne: sono sostanze, altamente tossiche per l’uomo, che in realtà hanno la funzione di proteggere il frutto; tengono lontani i predatori e impediscono che i semi germoglino prematuramente.

 

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Foglie morte

 

E’ mite il ghirigoro
d’aria e di luce
che accompagna
al suolo
la resa delle foglie
sui viali lungo il fiume.
(Mario Luzi)

 

Le foglie morte: un tratto distintivo dell’Autunno. Hanno molteplici colori, rappresentano una meraviglia stagionale sia prima che dopo essere cadute dai rami. Prima, perchè tingono i boschi e i parchi di tonalità mozzafiato, dopo, perchè danno vita ad autentici tappeti naturali fondamentali per la fertilità del suolo e per offrire riparo alla fauna selvatica. Ma le foglie morte ci ricordano anche l’inesorabile ciclo dell’esistenza: si muore per rinascere. Ecco perchè, a pochi giorni dall’Equinozio d’Autunno, ho deciso di regalarvi una photostory che inneggia alla bellezza e al tripudio cromatico delle falling leaves.

 

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Cinque uccelli che cantano (anche) di notte e perchè lo fanno

 

Succede soprattutto in Primavera, e anche d’Estate. A notte fonda, quando non manca molto all’alba, gli uccelli iniziano a cantare dando vita a dei veri e propri gorgheggi corali. Molti di noi, da profani, attribuiscono il loro cinguettio alla gioia per l’arrivo della stagione calda: le cose, però, non stanno esattamente in questo modo. Innanzitutto c’è da dire che in città i volatili subiscono il disagio dell’inquinamento luminoso e acustico, per cui a tarda notte si sentono più liberi di vivere in armonia con l’ambiente che li circonda. E poi, i loro canti fanno parte del rituale di corteggiamento: non è un caso che le melodie provengano da esemplari di sesso maschile, che marcano il proprio territorio e cantano per attirare le femmine della specie. Prima si inizia a gorgheggiare, meglio è. Ogni specie di uccello, infatti, ha un suo orario caratteristico e anticiparlo significa surclassare un rivale; per fare un esempio, il codirosso spazzacamino comincia a cantare un’ora e mezzo prima che il sole sorga, mentre il merlo precede l’alba solo di un’ora. La cinciallegra e la capinera, invece, non iniziano che con la luce dell’aurora.

 

 

In questo periodo, in piena fase di riproduzione, gli uccelli emettono gorgheggi più che mai “sopra le righe”, elaborati e complessi. Naturalmente, si tratta di un modo per farsi notare dalle femmine. Oppure, le vocalizzazioni notturne permettono loro di comunicare con i compagni: per fargli sapere dove si trovano, ad esempio, o avvertirli della presenza di un predatore. Le specie che cantano anche di notte sono diverse: scopriamone cinque insieme.

 

L’usignolo (Luscinia megarhynchos)

 

Gli anglosassoni lo chiamano “nightingale”, un omaggio al suo canto notturno: l’usignolo, nelle ore buie, gorgheggia senza sosta soprattutto nel periodo della riproduzione. Il suo è un canto melodioso, raffinato, quasi ipnotico, che crea un’atmosfera incantata e mira ad attrarre le femmine della specie. Il canto dell’usignolo, infatti, è un potente strumento di seduzione; tant’è che di giorno i maschi gareggiano tra loro per affinare le proprie doti. Questo uccello della famiglia dei Muscicapidi vive essenzialmente nei boschi, dove è distinguibile anche grazie ai suoi inconfondibili gorgheggi.

 

Il pettirosso (Erithacus rubecula)

 

Il suo aspetto è inconfondibile, con quella chiazza arancione che esibisce frontalmente. Lo contraddistingue un gorgheggio che esordisce secco e ritmico diventando a poco a poco melodioso; ma il pettirosso è tanto dolce esteriormente quanto aggressivo a livello caratteriale: difende il suo territorio con tutta la tenacia possibile persino dalla compagna con cui si riproduce. Ed è proprio durante la stagione dell’amore che il suo canto si ascolta anche di notte. C’è da dire, inoltre, che questo uccello è particolarmente colpito dall’inquinamento acustico e preferisce gorgheggiare al buio per far sì che le femmine ascoltino meglio il suo richiamo.

 

Il merlo (Turdus merula)

 

E’ molto popolare, come d’altronde il pettirosso e l’usignolo. Famoso per la leggenda dei “giorni della merla” che lo vede protagonista in pieno Inverno, in Primavera e in Estate il merlo canta anche di notte. I  suoi gorgheggi sono vivaci, brevi e terminanti con un acuto; si esibisce in notturna durante la fase di riproduzione, e secondo alcuni esperti ciò è dovuto principalmente alla stimolazione dei lampioni: il merlo è un uccello altamente fotosensibile, e vivendo soprattutto nei parchi e nei giardini pare che la luce artificiale stimoli il suo desiderio di accoppiamento. L’inquinamento luminoso, quindi, avrebbe provocato squilibri nell’orologio biologico del Turdus merula spingendolo a scambiare la notte con il giorno.

 

Il succiacapre (Caprimulgus europaeus)

 

Si chiama così perchè secondo una leggenda secolare, che Plinio Il Vecchio riportò nella sua Historia Naturalis, il Caprimulgus Europaeus si cibava del latte delle capre, che poi rendeva cieche. Altre credenze lo associavano a particolari più lugubri, descrivendolo come un uccello che traeva il proprio nutrimento dal sangue del bestiame ed era legato a determinati riti di sepoltura. Ciò probabilmente dipendeva dal suo misterioso aspetto: il succiacapre si mimetizza alla perfezione con l’ambiente circostante e sembra dotato della virtù dell’invisibilità. E’ un uccello notturno e il suo canto, una sorta di ronzio che nelle fasi acute somiglia quasi ad un martello pneumatico, comincia al crepuscolo e si intensifica a notte fonda. Tra gli autori che lo hanno incluso nelle proprie opere letterarie troviamo Howard Phillips Lovecraft, che lo ha menzionato ne “L’orrore di Dunwich”, ma anche Stephen King e Cormac McCarthy: il succiacapre appare nei loro rispettivi romanzi “Jerusalem’s Lot” e “Figlio di Dio”.

 

L’assiolo (Otus scops)

 

E’ un rapace notturno appartenente alla famiglia degli Strigidi, come la civetta e il gufo. In Primavera e in Estate, nelle campagne il suo canto è una costante delle ore buie. Peraltro, non si fa fatica a riconoscerlo: può essere descritto come una nota acuta, monosillabica, ripetuta ad intervalli equidistanti. Al pari di molti altri uccelli, l’assiolo canta per difendere il territorio ed attrarre le femmine della sua specie. I gorghecci ipnotici che lo contraddistinguono rimandano alla notte e alla sua atmosfera sospesa; Giovanni Pascoli ne rimase affascinato al punto tale da dedicargli una poesia, “L’assiuolo”. L’assiolo comincia il suo canto al tramonto e prosegue fino all’alba. Curiosamente, dopo la mezzanotte le vocalizzazioni si interrompono per circa due ore. Un’altra curiosità? L’assiolo spesso duetta con la propria partner, che si distingue per l’intonazione più acuta e la cadenza meno regolare dei gorgheggi.

Foto via Pexels e Unsplash. Foto del succiacapre di Fabio Usvardi – www.italianwildlife.it, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons