Il gufo delle nevi e il suo magico candore

 

Il suo nome scientifico è Bubo Scandiacus, ma è meglio conosciuto come gufo delle nevi. Sicuramente lo ricorderete al cinema: Edvige, amica inseparabile di Harry Potter, era proprio un Bubo Scandiacus. Questo volatile appartenente alla famiglia degli Strigidi (quella di rapaci come la civetta e il gufo comune, tanto per intenderci) è molto diffuso anche nel distretto della Lapponia Selvatica (Tunturi-Lapin seutukunta), l’ area più a nord della regione lappone. In quella zona, estremamente arida, l’erba cresce a malapena; ma per il gufo delle nevi, abituato alle lande desertiche della Tundra artica, è l’ambiente ideale. Il Bubo Scandiacus ha un aspetto maestoso: il suo peso può oltrepassare i due chili e la sua apertura alare sfiora i 170 centimetri. Con un’altezza compresa tra i 63 e i 73 centimetri, non passa inosservato; anche perchè il piumaggio bianco che esibisce, gli occhi gialli e il becco, talmente affilato da scomparire quasi tra le piume, lo rendono inconfondibile. La femmina della specie si contraddistingue per una serie di striature scure che le permettono di mimetizzarsi dove cova il suo nido, solitamente rocce ammantate di neve. Inoltre, e questo la accomuna a svariati rapaci, ha dimensioni maggiori rispetto al maschio.

 

 

Ma dove vive, esattamente, il gufo delle nevi?  Innanzitutto bisogna dire che ama volare a bassa quota nelle grandi pianure. E poi, che possiamo incontrarlo essenzialmente nei paesi del Nord: Islanda, Groenlandia, Scandinavia, Russia, SiberiaCanada, Alaska. Al momento di svernare, tuttavia, privilegia il Canada del Sud, gli Stati Uniti e l’Europa centro-settentrionale, soprattutto la Francia, l’Olanda e la Germania. Il criterio che adotta per la migrazione è quello del cibo; si dirige dove è più abbondante. I suoi pasti preferiti sono a base di lemming, roditori artici di piccole dimensioni. In alternativa si ciba di anatre, scoiattoli e uccelli marini. Quando i lemming scarseggiano e non c’è molta altra scelta, il gufo delle nevi decide che è il momento di migrare. E’ un predatore abile e agile al tempo stesso: riesce a roteare la testa di 270 gradi senza difficoltà e  ad acciuffare ed inghiottire le sue prede mentre sta volando. In più, non teme il meteo estremo e adora le terre sconfinate con pochi, pochissimi alberi. Non è raro, infatti, avvistarlo mentre sorvola la costa di qualche paese del Grande Nord.

 

 

La stagione degli amori inizia a Maggio e finisce a Settembre. E’ interessante dire che il gufo delle nevi si esibisce in particolarissimi rituali di corteggiamento: volando piroetta, volteggia, compie gesti acrobatici, il tutto per farsi notare dalla femmina. Oppure offre un lemming alla prescelta. Quando è a terra, invece, apre la coda a ventaglio con movimenti bizzarri. Se riesce a far colpo, rimarrà con la sua amata per l’intera stagione. Il nido, un buco che la femmina scava nel suolo, viene costruito su aree rialzate in modo che sia ben visibile e al riparo dalla neve. La femmina del gufo delle nevi può arrivare a deporre fino a 16 uova, una ogni due giorni, che cova per più di un mese. Dopodichè, una volta che i piccoli sono nati, il papà insegna loro l’arte della caccia mentre la mamma continua a nutrirli per un periodo superiore al dovuto.

 

 

Per chi si chiede se il gufo delle nevi è un animale a rischio di estinzione, la risposta è sì: il numero totale dei Bubo Scandiacus nel mondo ammonta a 200.000 esemplari. Il motivo, oltre alla cattura, al bracconaggio e alla morte accidentale, risiede principalmente in una ragione: i cambiamenti climatici che minano la sopravvivenza dei lemming. Cibandosi soprattutto di questi roditori, il gufo delle nevi risente enormenente di una situazione del genere;  potremmo dire che la vita del Bubo Scandiacus e quella del lemming sono strettamente interdipendenti.

 

Foto via Pexels, Piqsels, Unsplash

Foto di copertina di Mathew Schwartz, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, da Wikimedia Commons

Il corvo, tra mito e simbologia

 

Restando in tema di oscurità novembrina  (un argomento accennato nell’articolo apparso ieri su VALIUM), oggi incontriamo il corvo: un volatile che ha il colore del buio pesto e una fama tenebrosa. Il corvo comune o corvo selvatico (nome scientifico Corvus frugilegus Linnaus) è un passeriforme la cui area di diffusione spazia dall’Europa Centrale al Giappone passando per l’Asia Minore e l’estremo Oriente. In questo periodo dell’anno, prima dell’arrivo dei rigori invernali, è solito migrare in direzione sud-ovest, ma non tutti i corvi effettuano lo svernamento. Mentre alcuni volano verso luoghi caldi anche molto lontani (dal Nord Europa, ad esempio, ai paesi del Mediterraneo), altri gruppi si rifugiano presso gli alberi dove si dedicheranno alla nidificazione: i corvi, infatti, nidificano in colonie sui rami delle piante, e le fasi del corteggiamento hanno inizio già nei mesi freddi. Ma perchè il corvo, nel mondo occidentale,  viene frequentemente associato a connotazioni e presagi oscuri? Basta pensare al suo aspetto per provare un senso d’inquietudine: il piumaggio è di un nero talmente profondo da evidenziare riflessi verdi o color porpora, se viene lambito dai raggi del sole; il becco, parzialmente nero e ricurvo, ha ispirato la maschera che nel Medioevo indossavano i Medici della Peste. Non è un caso che il corvo, nutrendosi (anche) di carcasse, rimandi così spesso alla simbologia della morte. E poi, l’antica leggenda che lega i corvi della Torre di Londra al destino della Corona è ben nota: se i misteriosi pennuti muoiono o si allontanano, e il loro numero scende sotto il sei, secondo la profezia cadrà la Corona stessa.

 

 

Il corvo e le streghe

Il corvo, in realtà, è un animale complesso che in secoli e culture diverse è stato soggetto a molteplici interpretazioni, non solo negative. Eppure, la sua reputazione sinistra prevale. Nel Medioevo, ad esempio, la figura del corvo veniva immancabilmente messa in relazione con quella della strega, della quale incarnava uno dei famigli: le entità demoniache, cioè, con sembianze di gatti, furetti, corvi o gufi che la strega riceveva in regalo dal diavolo e che diventavano i suoi servitori o assistenti. Il corvo, inoltre, veniva considerato un messaggero delle adoratrici del demonio, che all’occorrenza avevano la facoltà di tramutarsi in un cupo passeriforme. Anche demoni specifici come Malphas e gli Harab erano soliti trasformarsi in corvi.

 

 

Il corvo e Odino

La mitologia norrena associa i corvi a Odino, che un kenning definiva “dio corvo”. La divinità suprema del mito scandinavo possedeva due corvi, seduti costantemente sulle sue spalle; il loro scopo era quello di volare intorno al mondo per poi riferire a Odino, una volta tornati, le notizie e i segreti più importanti. Il dio norreno li spronava a prendere il volo all’alba; la sera, dopo aver vagato per mari e monti, i corvi ritornavano e si posavano sulle spalle di Odino per bisbigliargli all’orecchio quanto avevano appreso. I volatili si chiamavano Huginn, “pensiero” in norreno, e Muninn, ossia “memoria”: due nomi indicativi, se pensiamo che il corvo è un animale che vanta una straordinaria intelligenza.

Il corvo e il suo ingegno fuori dal comune

Forse, il corvo ha acquisito la nomea di animale “diabolico” anche in virtù delle sue abilità intellettive. Questo volatile ha la capacità di elaborare un pensiero sommamente complesso, è in grado di risolvere problemi e di concepire accuratissime strategie di sopravvivenza. Solo animali come il delfino e lo scimpanzè, oltre al corvo,  possiedono la dote di riconoscersi allo specchio; ma non è finita qui: a contraddistinguere il corvo è anche uno sbalorditivo senso della memoria. A quanto pare, i nomi dei due corvi di Odino non erano stati scelti a caso! D’altronde, in tempi molto antichi, l’intelligenza e la saggezza del passeriforme dalle piume nere erano state notate persino dai Celti d’Irlanda e dai nativi americani, che su di esse imbastirono innumerevoli leggende.

 

 

Il corvo e l’alchimia

Il corvo e il mistero sono un tutt’uno. Gli aspetti che lo legano alla simbologia magica non vanno dimenticati. Su tutti, spicca la valenza del “passaggio” da una condizione all’altra, indossolubilmente associata al concetto di metamorfosi e trasformazione. Il corvo è un’importante emblema di transizione; i nativi americani lo ricollegavano al Grande Spirito, colui che connetteva il mondo terreno con l’aldilà. Ma a prescindere da questo, la funzione simbolica di “passaggio” rivestita dal corvo è in stretto connubio con il viaggio iniziatico nel mondo spirituale: la transizione, ad esempio, dall’ignoranza alla conoscenza. Gli alchimisti utilizzavano il corvo con degli intenti ben precisi. Decapitandolo, favorivano la nascita del basilisco (la creatura mitologica serpentiforme che era in grado di uccidere o tramutare qualcuno in pietra con un solo sguardo); la testa del corvo, infatti, insieme al suo cuore, venivano frequentemente adoperati per la creazione di potenti pozioni magiche.

Foto: Sonny Mauricio via Unsplash

 

Giorni della Merla: i giorni più freddi dell’anno e la tradizione culinaria marchigiana

 

A causa dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale, è improbabile che i giorni della Merla continuino ad essere i “più freddi dell’anno”. Le tradizioni, però, rimangono e ci piace immaginarli tali. Nel folklore italiano si identificano con gli ultimi tre giorni di Gennaio, ovvero il 29, il 30 e il 31: date associate sin da tempi remotissimi a leggende che vedono come protagonisti una merla, o dei merli, dal piumaggio immacolato e la collera del primo mese dell’anno. VALIUM ne ha parlato molte volte (potete rileggere qui  l’ultimo post), ma voglio ricordare la leggenda più celebre a grandi linee. Si narra che Gennaio si divertisse a far dispetti ad una merla dalle candide piume ogni volta che usciva dal suo nido. Non appena la merla metteva piede fuori casa, il perfido mese scatenava vento, piogge scroscianti e bufere di neve. Un giorno, allora, la merla ebbe un’idea: era la fine di Dicembre quando decise che avrebbe fatto provviste di cibo e non sarebbe uscita per tutto Gennaio. All’epoca, il primo mese dell’anno durava solo 28 giorni. Il 29, la merla emerse trionfante dal suo nido e lo canzonò perchè era riuscita a beffarlo; così Gennaio, furibondo, chiese in prestito tre giorni a Febbraio e le scagliò addosso terribili tempeste e tramontane. Dal 29 fino al 31 Gennaio, dunque, la merla fu costretta a ripararsi in un comignolo. Riuscì a scampare a quel periodo di burrasca, ma quando uscì dal suo rifugio le piume nivee che ostentava erano diventate nere di fuliggine, e così rimasero per sempre. Questa leggenda è nota un po’ in tutta Italia, tuttavia pare che le sue origini affondino nel Friuli, in Trentino e in zone come il cremonese, il folrivese, in Maremma e nel Cesenate. Alle tante usanze dei giorni della Merla, legate indissolubilmente alla cultura agreste, si aggiungono piatti tradizionali che variano da regione a regione.

 

 

Nelle Marche, dove vivo, si rimane fedeli a un proverbio che recita: “Se li gljorni de la merla voli passà, pane, pulenta, porcu e focu a volontà!” (se vuoi passare bene i giorni della Merla, pane, polenta, maiale e fuoco del camino a volontà). Ciò significa che la polenta predomina, accompagnata rigorosamente da fette di ciauscolo (un salame tipico della zona) e da un buon calice di Rosso Conero o Piceno. Il focolare, va da sè, è il must imprescindibile che dona calore e suggestività ai giorni più freddi dell’anno, e c’è proprio da sperare che lo siano: secondo il sapere popolare, infatti, dei giorni della Merla tiepidi e assolati preannunciano una Primavera che tarderà ad arrivare; se sono gelidi, al contrario, la Primavera sarà mite e rigogliosa.

 

Giorni della Merla, i più freddi dell’anno

 

“Se li gljorni de la merla voli passà, pane, pulenta, porcu e focu a volontà!

(Proverbio marchigiano)

 

“Se vuoi passare bene i giorni della Merla, pane, polenta, maiale e focolare acceso a volontà”: ecco il significato del proverbio di cui sopra. Il 29, il 30 e il 31 Gennaio sono i cosiddetti “Giorni della Merla”, i giorni più freddi dell’anno. VALIUM ne ha parlato diverse volte (leggi qui l’articolo del 2022), ma è sempre affascinante approfondire questa tradizione che affonda le radici nel folclore italiano: mitologia, leggende e proverbi si fondono in un amalgama antichissimo e molto suggestivo. La merla è la protagonista assoluta dei racconti popolari in questione. Nella leggenda più diffusa, sfoggia un piumaggio immacolato e viene puntualmente presa di mira da Gennaio, che quando la vede uscire dal suo nido scatena tempeste di neve, gelo e vento di tramontana. La merla, stanca dei suoi dispetti, mette in atto un piano: il 31 Dicembre fa provviste in abbondanza e si ripromette di chiudersi in casa finchè il nemico non se ne andrà. Il 28, all’ epoca l’ultimo giorno del mese, esce però dalla sua tana per sbeffeggiarlo. Gennaio si infuria come non mai. Chiede in prestito tre giorni a Febbraio e provoca una tremenda bufera. La merla è costretta a rifugiarsi in un comignolo, dove rimane fino al 31 Gennaio. Riesce a salvarsi, ma quando fuoriesce di lì si accorge che le sue piume sono completamente, irrimediabilmente nere a causa del fumo…Questa photostory è un omaggio ai giorni della Merla: predominano la neve, il ghiaccio, il gelo, i paesaggi imbiancati. I colori ricorrenti sono il bianco, il grigio e il marrone. Lo stesso bianco che si associa sì alla tonalità della neve, ma anche a quella del cielo “nordico” e glaciale di Gennaio. E in questo cielo immenso, monocorde, lasciamo vagare lo sguardo mentre un freddo pungente ci raggela il viso.