Tre haiku sui fiori di ciliegio firmati da tre maestri della poesia giapponese

 

Un articolo sull’Hanami e sui sakura (rileggilo qui) è quasi d’obbligo che vada seguito da qualche haiku: questi stringati componimenti poetici affondano le loro radici nel tanka (“poesia breve”) giapponese del V secolo d.C., o più verosimilmente nella prima strofa del renga, “poesia a catena” scritta a turno da diversi autori. Gli haiku consolidarono la loro struttura nel XVII secolo,  avvalendosi di soli tre versi disposti in una sequenza di 5, 7 e 5 morae. A quell’epoca, venne riconosciuto il valore artistico di questo genere poetico. Prendendo le distanze dalla ridondanza e dalla retorica, l’haiku riesce ad evocare immagini altamente suggestive; è come se i suoi versi si cristallizzassero in un’istantanea in grado di donare grandi emozioni. La sintesi che lo contraddistingue non attenua in alcun modo il suo potere evocativo. I temi a cui si ispira sono la natura e l’alternarsi delle stagioni: mentre leggiamo un haiku “visualizziamo” la scena immortalata dal poeta, ci immergiamo nella sua atmosfera, nonostante la scarnezza delle descrizioni e i capovolgimenti semantici che spesso fanno capolino. Tra i più celebri autori di haiku è impossibile non citare Matsuo Bashō, poeta del periodo Edo o Tokugawa, Yosa Buson, Shiki Masaoka e Kobayashi Issa.

 

 

Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri.

(Issa Kobayashi)

 

 

Cadono i fiori di ciliegio
sugli specchi d’acqua della risaia:
stelle,
al chiarore di una notte senza luna.

(Yosa Buson)

La notte di primavera è finita.
Sui ciliegi
sorge l’alba.

(Matsuo Bashō)

“Specchio”, una poesia di Salvatore Quasimodo

 

Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

(da “Acque e terre”, edizioni Solaria, 1930)

 

“Marzo”, una poesia di Arturo Onofri

 

Marzo, che mette nuvole a soqquadro
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all’improvviso, come un ladro,
un’occhiata di sole
che abbaglia acqua e viole.

Con in bocca un fil d’erba primaticcio,
marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che separa due stagioni;
e, zufolando, fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace…

 

“Sera di Febbraio”, una poesia di Hermann Hesse

 

Bluastro sul pendio del colle al lago di un bagliore
opaco è il crepuscolo di soffice neve che si scioglie,
nella nebbia labili come pallidi sogni
nuotano corone ramose di alberi morti.

Ma per il villaggio, per i vicoli immersi nel sonno
passa il vento notturno, tiepido, calmo e ozioso,
posa alla siepe e negli oscuri giardini risveglia
e nei sogni dei giovani la primavera.

 

“La Befana”, una poesia di Giovanni Pascoli

 

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello,
ed il gelo il suo pannello,
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

 

 

E si accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare,
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

 

 

Coi suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Coi suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e si allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra:
trema ogni uscio, ogni finestra.

 

 

E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

 

 

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

 

 

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.