Il prato e il paradiso

 

“Sofia domandò com’ era il paradiso e la nonna rispose che forse assomigliava a quel prato là; stavano passando davanti a un pascolo a fianco del sentiero e si fermarono a guardare. Faceva molto caldo, la strada maestra era bianca e screpolata e tutte le pianticelle che crescevano lungo il ciglio del fossato avevano le foglie impolverate. Entrarono nel pascolo e sedettero sull’ erba che era alta e per nulla polverosa, e cosparsa di campanule e antennarie e ranuncoli. “Ci sono formiche in paradiso?” domandò Sofia. “No”, disse la nonna, e si distese con cautela sulla schiena, si tirò il cappello sul naso e cercò di dormire di nascosto. Lontano lontano si sentiva una macchina agricola, instancabile e pacifica. Escludendo il rumore della macchina, il che non era difficile, e ascoltando solamente gli insetti, questi diventavano migliaia di milioni e riempivano il mondo intero di ritmiche ondate d’estasi, e di un senso di estate. Sofia raccolse dei fiori e li tenne in mano fin quando divennero caldi e sgradevoli; allora li depose sulla nonna e domandò come facesse Dio ad ascoltare tutti quelli che pregano contemporaneamente. “E’ saggio, tanto saggio”, mormorò la nonna assonnata sotto il cappello. “Rispondi bene”, disse Sofia. “Com’è che ci riesce?” “Ha dei segretari…” “Ma come fa a esaudire le preghiere se non fa in tempo a parlare con i segretari prima che vada a finir male?” La nonna fece finta di dormire ma sapeva bene che non ingannava nessuno e alla fine disse che Dio predispone in modo che non possa succedere nulla di male fra l’attimo in cui si prega e l’attimo in cui viene informato sul contenuto della preghiera; allora la nipotina le domandò che cosa succede quando uno prega mentre sta cadendo da un albero e si trova ancora a mezz’aria. “Aha”, fece la nonna, e parve rianimarsi. “Allora fa in modo che si impigli in un ramo”. “Buona idea”, concedette Sofia. “Adesso tocca a te farmi delle domande. Ma devono essere sul paradiso.”

Tove Jansson, da “Il libro dell’estate”

 

 

Il luogo

 

Un luogo? All’ aria aperta. Che sia nel dehors di un bar o di un locale, in giardino, in un prato, in campagna, di fronte al mare…E’ ora di ricominciare a vivere assaporando le atmosfere frizzanti dell’ Estate in arrivo. E di ripristinare, rigorosamente, il rito dell’ aperitivo troppo a lungo abbandonato giocoforza: potete immaginare qualcosa di meglio, a fine giornata, di un buon drink affacciato sui magnifici tramonti di Giugno? Rappresenta una pausa, o sarebbe più appropriato dire un rituale, all’ insegna della convivialità e del relax “vivace”, quello fatto di chiacchiere, sorrisi e risate liberatorie; momenti che si incastrano mirabilmente nella cornice di una Primavera che presto lascerà spazio alla magia ed alla suggestività del Solstizio d’Estate. La riapertura generale ci sta dando la possibilità di godere delle prime serate di aria tiepida, con i capelli scompigliati da una leggera brezza e il viavai cittadino che non si arresta neppure alle fatidiche otto di sera: anzi, semmai è proprio a quell’ ora che le vie e le piazze cominciano a brulicare di vita. Personalmente, il mio “all’ aria aperta” è sinonimo di “a contatto con la natura”. Perchè non mi stancherò mai di stupirmi davanti alla sua meraviglia, di riscoprirla ogni volta, di ammirare fin nei minimi dettagli la sua perfezione. Come disse William Shakespeare, ” E questa nostra vita, via dalla folla, trova lingue negli alberi, libri nei ruscelli, prediche nelle pietre, e ovunque il bene.”: chi mi conosce sa che, non a caso, sono una delle sue più grandi ammiratrici…