La colazione di oggi: l’amarena, il frutto “luculliano”dell’ Estate

 

A prima vista sembrano ciliegie, ma ciliegie non sono. Delle ciliegie potrebbero essere sorelle, perchè appartengono alla stessa famiglia: quella delle Rosacee. Ma mentre le ciliegie sono i frutti del Prunus avium, le amarene (perchè è di loro che sto parlando) maturano dai fiori del Prunus cerasus. Si suppone che l’ amareno, anche detto ciliegio aspro, provenga dall’ Asia o dal Medio Oriente.  Quel che è certo è che il Prunus cerarus si adatta alla perfezione a qualsiasi clima e tipo di terreno, resistendo a lunghi periodi di siccità. Tornando alle differenze tra ciliegie e amarene, la più evidente riguarda il sapore: le ciliegie sono soffici, dolcissime, succose. Le amarene hanno una polpa più “tosta” e un gusto più aspro, tendente all’ amarognolo. Entrambe sfoggiano un bel rosso acceso e una forma tondeggiante, ma anche questi aspetti presentano delle diversità. La tonalità delle amarene è meno intensa rispetto a quella delle ciliegie, che vantano dimensioni maggiori rispetto alle loro “sorelle”. Il gusto leggermente amaro dei frutti del Prunus cerasus si deve all’ acido ossalico, contenuto in svariati alimenti. Lungi dal renderle sgradevoli, quel sapore è un punto di forza: non è un caso che il maraschino, liquore dall’ aroma inconfondibile, sia interamente ricavato dalla distillazione delle amarene. La versatilità di questi frutti, inoltre, fa sì che vengano inclusi in moltissime ricette. Sciroppate, danno vita a degli ottimi dessert; alcuni esempi? Torte come la celebre Foresta Nera, e poi cheesecake, panna cotta, biscotti, dolcetti, yogurt…Anche uno dei più acclamati gusti di gelato, l’amarena, si avvale di amarene sciroppate. Denocciolati, i frutti del Prunus cerasus possono essere utilizzati per guarnire un buon numero di dolci e di spuntini. Mangiati crudi (e preferibilmente freschissimi, perchè si seccano a tempo di record) non sono meno invitanti, magari – date le loro virtù energizzanti – per ritrovare un po’ di sprint. Con le amarene si preparano dei ghiotti sciroppi, liquori e marmellate. In alcuni paesi dell’ Europa dell’ Est si suole addirittura friggerle prima di inserirle in delizie quali un tipico strudel locale.

 

 

Veniamo ora alle proprietà delle amarene. Che sono molte! Innanzitutto, hanno il potere di sconfiggere l’ insonnia. Berle ogni notte sotto forma di succo (tassativamente da non zuccherare) incrementa la produzione di melatonina, regolarizzando il ciclo sonno-veglia con benefici istantanei per l’umore. Le amarene sono dei potenti antiossidanti naturali: i flavonoidi in esse contenuti combattono l’ invecchiamento delle cellule e rappresentano un toccasana per la circolazione del sangue. Essendo dei frutti diuretici, contrastano la ritenzione idrica favorendo l’ eliminazione delle tossine e il drenaggio dei liquidi in eccesso. Anche la stipsi può essere sconfitta grazie alle amarene: sono ricche di fibre, che purificano l’ intestino e ne garantiscono la regolarità. Questi frutti, vere e proprie miniere di potassio, rinvigoriscono la muscolatura e restituiscono energia; le vitamine A, B e C che racchiudono in dosi massicce accrescono i livelli di collagene con effetti benefici per la pelle e per la vista. Le amarene, infine, ottimizzano la formazione di acido urico nell’ organismo rimuovendone gli eccessi: ciò permette di scongiurare patologie come la gotta.

 

 

Per concludere, una teoria incentrata sulla misteriosa origine del ciliegio aspro. Si narra che l’ amareno giunse in Italia per merito di Lucio Licinio Lucullo, un generale romano che condusse campagne in Oriente tra il 70 e il 65 a.C. Grande stratega militare, raffinatissimo e amante del bello, Lucullo adorava i pasti sfarzosi (i celebri banchetti “luculliani”), e in Asia rimase colpito dal gusto amarognolo e dalle proprietà dei frutti del Prunus cerasus. In particolare, pare che apprezzasse le vitamine e le virtù energizzanti delle amarene: le fece quindi includere nel rancio dell’ esercito romano per rinvigorire i soldati. Secondo vari scritti dell’ epoca, Lucullo si impossessò di un esemplare di amareno a Cerasunte, colonia greca affacciata sul Mar Nero, e dopo averlo portato con sè a Roma lo trapiantò in uno dei suoi sontuosissimi giardini. Era il 65 a.C. circa. Attualmente non è raro che il Prunus cerasus cresca spontaneamente nella boscaglia; può farlo fino a 1000 metri di altezza. Una curiosità: il suo legno supera quello del ciliegio in quanto a pregiatezza e longevità.

 

 

Foto del gelato all’ amarena: Dirk Vorderstraße, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

La colazione di oggi: il caffè, “bevanda stimolante” dalle portentose virtù

 

Una rubrica incentrata sulla prima colazione non può certo tralasciare il caffè, delizia e “motore” di ogni mattina. In Italia degustare un espresso è un rito, un piacere da assaporare – da soli o in compagnia – a tutte le ore del giorno. In questo articolo, però, verrà preso in considerazione il caffè del risveglio: quello che prepariamo ancora assonnati, che sentiamo borbottare nella caffettiera mentre la cucina si riempie del suo invitante aroma. Perchè berlo è come compiere un autentico incantesimo; il sonno se ne va lasciando il posto a un’ energia travolgente. Ma quali sono, esattamente, le proprietà del caffè, e quali benefici comporta il consumarlo? Lo scopriremo subito. Non è un caso, innanzitutto, che in arabo “caffè” significhi “bevanda stimolante”. I celebri chicchi non sono altro che i semi di una pianta tropicale del genere Coffea, appartenente alla famiglia delle Rubiaceae. Le specie più note sono l’ arabica e la robusta, anche se la prima vanta origini più remote. Prodotto anticamente a Caffa, in Etiopia, il caffè si è fatto a poco a poco conoscere in Medio Oriente e poi in tutto il mondo. Il suo punto di forza è senz’altro la caffeina, una componente nutrizionale dal potente effetto energizzante: quando viene assorbita, nel cervello rilascia neurotrasmettitori quali la dopamina e la noradrenalina, che stimolano i neuroni attivamente; ne conseguono benefici per la memoria, l’ umore e le funzioni cognitive. La caffeina ha proprietà digestive, poichè potenzia la secrezione gastrica. Svolge un’azione tonica sul cuore e sul sistema nervoso, e favorisce persino il dimagrimento: brucia infatti grassi e calorie per tramutarli in fonti di energia. Se consumato in quantità elevate, inoltre, il caffè riduce l’appetito drasticamente. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la caffeina possieda spiccate virtù antiossidanti e antinfiammatorie, ma le ricerche sono tuttora in corso.

 

 

Gli effetti collaterali della caffeina sono essenzialmente legati a un consumo massiccio di caffè. Nervosismo, eccitabilità e insonnia sono i rischi più noti associati all’ abuso della bevanda, a cui possono aggiungersi l’ ipertensione, la tachicardia e i disturbi all’ apparato digerente causati da un’ eccessiva stimolazione della secrezione gastrica. La funzione “dimagrante” del caffè, poi, viene completamente azzerata quando aggiungiamo lo zucchero o del latte, giacchè sono entrambi apportatori di calorie. La caffeina è controindicata per chi è affetto da osteoporosi o da anemia: riduce l’assorbimento del calcio e del ferro determinando un peggioramento di queste due patologie. Se bevuto nella giusta quantità, comunque, il caffè è una bevanda benefica che pare protegga anche dai disturbi cardiovascolari e dal diabete mellito di tipo 2. Ma a quante tazzine ammonterebbe un consumo moderato di caffè? Chi è in buona salute non dovrebbe oltrepassare i tre, massimo quattro, caffè al giorno.

 

 

In Europa il caffè apparve per la prima volta nel 1565, durante il Grande Assedio di Malta. I musulmani turchi, fatti prigionieri dai Cavalieri di San Giovanni, erano soliti preparare la bevanda più amata nel loro paese: a Istanbul il caffè veniva consumato in dei locali appositi, a mò di rito conviviale, e il Capo Caffettiere rivestiva un ruolo di spicco presso la Corte ottomana. A Malta, dove la bevanda divenne celebre soprattutto tra le classi abbienti, le caffetterie cominciarono a proliferare. Sempre nel XVI secolo, il caffè arrivò in Italia: Venezia, che intratteneva molti rapporti commerciali con l’ Oriente, fu la prima città a diffondere il suo consumo. Pare che alcuni religiosi fecero pressioni su Papa Clemente VIII affinchè bandisse “la bevanda del diavolo”, che così avevano ribattezzato per le sue proprietà eccitanti. Il Papa, però, dopo averlo assaggiato di persona, espresse un giudizio positivo sul caffè, che definì invece “bevanda cristiana”. Nel 1645, di conseguenza, la Serenissima ospitava più di una “bottega del caffè”.  Alla storia del caffè e all’ espansione della caffeicoltura, argomenti vastissimi e complessi, si affiancano numerose leggende.

 

 

Una di queste, ad esempio, racconta di un pastore etiope chiamato Kaldi. Costui si accorse che le sue capre, dopo aver mangiato le bacche di una pianta e averne masticato le foglie, erano rimaste sveglie e vivacissime tutta la notte. Il pastore attribuì la causa di ciò alle bacche, così raccolse i semi della pianta, li abbrustolì e macinò per sperimentare il loro effetto personalmente. Ottenne un infuso altamente energizzante, il caffè. Una differente versione della leggenda colloca il pastore in Arabia e cambia il suo nome in Kaddi: l’uomo sottopose le bacche che tanto avevano animato le sue capre all’ attenzione dell’ abate Yahia. Con quelle bacche, dunque, l’ abate preparò una bevanda scura che rinvigoriva il corpo e teneva lontano il sonno. Non c’è bisogno di specificare che fosse il caffè. Un’ altra leggenda ha come protagonisti Maometto e l’ Arcangelo Gabriele. Un giorno Maometto si ammalò gravemente e l’ Arcangelo accorse in suo aiuto; gli portò una bevanda dal colore della Sacra Pietra Nera della Mecca, consegnatagli da Allah personalmente, e quando Maometto la bevve guarì all’ istante. Secondo un’ ulteriore leggenda, invece, il monaco arabo Ali ben Omar si recò nella città di Mokha per curare, con l’ intercessione di Allah, i contagiati dalla peste che imperversava in zona. Riuscì a ridare la salute a un gran numero di malati, persino alla figlia del Re (della quale si era innamorato). Il Re, però, lo allontanò dalla città obbligandolo a vivere isolato sulle montagne. Sfinito dalla fame e dalla sete, un giorno Ali invocò il suo maestro deceduto poco tempo prima. Questi inviò da lui un meraviglioso uccello, canterino e dalle piume multicolori. Quando Ali si diresse verso il volatile,  si trovò davanti una pianta ricolma di bacche rosse. Era una Coffea. Con quelle bacche preparò un decotto per i pellegrini che erano soliti fargli visita, e quando nel Regno si sparse la voce delle portentose virtù della bevanda il monaco vi fu riammesso con tutti gli onori.

 

La colazione di oggi: il cheesecake, a qualcuno piace freddo

 

Le fragole sono, senza dubbio, uno dei frutti più golosi della Primavera. Per rievocare le loro proprietà e i loro benefici cliccate qui. Se invece volete saperne di più sul cheescake alle fragole, continuate a leggere: oggi scopriremo questo delizioso dolce che sembra creato apposta per la stagione calda. Non va tuttavia tralasciato che la succosissima “Fragaria vesca” (questo il suo nome botanico) possiede una versatilità tale da venire utilizzata per preparare, o per guarnire, innumerevoli alimenti. Con le fragole si realizzano sciroppi, marmellate, frullati, gelati, yogurt…inoltre, arricchiscono dessert a dir poco deliziosi. Qualche esempio? Il tiramisù, il soufflé, la crema, la bavarese…per non parlare poi di torte e di dolcetti di ogni genere. Tornando al cheesecake, essendo un dolce freddo è estremamente veloce da preparare. Dall’ aspetto inconfondibile, è composto da due strati: una base di pasta frolla o pan di Spagna sormontata da circa 4 cm di panna e crema di formaggio aromatizzati. La base si ottiene grazie ad una serie di biscotti sbriciolati e amalgamati con il burro, oppure intinti nel liquore o nel caffè; lo strato superiore si avvale, invece, di formaggi estremamente soffici e soprattutto spalmabili, tipo il mascarpone e la ricotta. Per realizzare il topping non c’è che l’ imbarazzo della scelta: via libera alla marmellata, alla salsa di frutta (nel nostro caso, di fragole), alla crema di cioccolato, ai canditi e via dicendo.

 

 

Il cheesecake ha origini molto antiche. Il poeta e filologo greco Callimaco rinvenne riferimenti al dolce in un testo dell’ età ellenistica, il “Plakountopoiikón sýngramma” di Egimio, che eleva la preparazione delle torte al formaggio ad una vera e propria arte. In “De agri cultura”, Marco Porcio Catone descrisse diversi dolci simili al cheesecake nel 160 a. C.. Il Savillum è quello che lo ricorda di più: tra i suoi ingredienti, non a caso, spiccavano la farina, il formaggio, il miele e i semi di papavero. Esistono poi testimonianze relative a un dolce che, nel 776 a.C., in Grecia veniva offerto agli atleti dei Giochi Olimpici; il dessert, preparato combinando il miele con il formaggio pecorino, era noto anche nella Roma antica. A Roma, all’ epoca, si soleva servire inoltre un dolce a forma di pagnotta che conteneva miele, farina e ricotta. Dalle leccornie sopracitate derivano i moderni cheesecake italici, caratterizzati da ingredienti quali la ricotta (o in alternativa il mascarpone), l’ estratto di vaniglia e lo zucchero.

 

 

Come ben saprete, il cheesecake è diffuso in svariati paesi del mondo. E non sempre si tratta di un dolce crudo: negli Stati Uniti, per esempio, la variante cotta è predominante. I cheesecake cotti prodotti a Chicago, in particolare, esibiscono un sontuoso mix di pasta frolla, formaggio cremoso, zucchero e burro. Il cheesecake alla fragola, invece, è tipico soprattutto dell’ Irlanda e del Regno Unito, dove i topping a base di frutti di bosco e di “Fragaria vesca” spopolano letteralmente. 

 

La colazione di oggi: le castagnole, il dolce-simbolo del Carnevale

 

Carnevale è una ricorrenza nota anche per la bontà dei suoi dolci: le castagnole, le frappe, le chiacchiere, le frittelle e la cicerchiata rappresentano il coté goloso della festa più folle dell’ anno. Mi soffermerò sulle prime, le castagnole appunto, in quanto svariate regioni italiane ne rivendicano la paternità e sono ormai il dolce-emblema del periodo che precede la Quaresima. Ne esistono diverse versioni, ma due elementi fanno immancabilmente da leitmotiv: la forma tondeggiante e la frittura in olio bollente. Possono essere con o senza ripieno; nel primo caso, generalmente si farciscono con della crema pasticcera, panna o cioccolata. Nel secondo, vengono ricoperte di miele. Quasi tutte le varianti del dolce, comunque, sono accomunate da una guarnizione a base di zucchero a velo o di alchermes. Anche gli ingredienti restano perlopiù gli stessi. Farina, uova, burro e zucchero si amalgano con il lievito, una scorza di limone, l’ essenza di vaniglia, il liquore (rum, anice o alchermes) o il latte per creare un impasto soffice. Alcune tipologie di castagnole vengono cotte nel forno anzichè in olio bollente. In tutti i casi, il risultato è estremamente invitante: un delizioso dolcetto sferico ricco di squisiti ripieni o guarnizioni. Il nome “castagnola” deriva proprio da questa conformazione; le dimensioni mini e la rotondità, infatti, evidenziano non poche similitudini tra la ghiottoneria carnascialesca e la castagna.

 

 

Le regioni che includono le castagnole tra i propri dolci tradizionali sono molteplici: la Lombardia, il Veneto, la Liguria, l’ Emilia Romagna, le Marche, il Lazio, l’ Umbria e l’ Abruzzo le hanno elette a suprema leccornia del Carnevale, ma la loro presenza è massiccia anche in Campania. Le origini del dolcetto appaiono controverse, tuttavia sembra certo che nacque nel Settentrione; non a caso, la castagnola è stata attestata “De.CO.” (denominazione comunale di origine) del Comune di Ventimiglia. Il periodo storico a cui risale si colloca a cavallo tra il 1600 e il 1700: ricette di castagnole sono state rinvenute nel 1684 e nel 1692 tra i manoscritti dei cuochi Nascia e Latini, rispettivamente al servizio di casa Farnese e della famiglia reale dei D’Angiò. Entrambi citavano gli “struffoli alla romana”, ma di fatto (dati gli ingredienti e la preparazione) si trattava di castagnole vere e proprie. Nel tardo ‘700, un libro conservato nell’ Archivio di Stato di Viterbo conteneva quattro differenti ricette del dolce carnascialesco, compresa la versione cotta al forno. Da antichi manuali ottocenteschi pare invece che derivebbero le ricette utilizzate attualmente. Ma l’ esistenza delle castagnole è stata attestata, in realtà, in epoche ancora più remote di quelle citate finora: un prototipo piuttosto rudimentale veniva preparato già nell’ Antica Roma.

 

 

In questa puntata della rubrica “La colazione di oggi” non sto ad elencarvi nè le proprietà nè i benefici del dolce in questione, come ho fatto anche in occasione dei cupcake di San Valentino. E’ chiaro che, di tanto in tanto, arricchire con delle castagnole il proprio breakfast è altamente benefico: sia per il palato, che in fatto di buonumore. A partire da oggi, che non a caso è Giovedì Grasso

 

 

Foto: la terza dall’ alto via Cleare Garofalo from Flickr, CC BY-NC-ND 2.0, l’ ultima via Ted Eytan from Flickr, CC BY-SA 2.0

La colazione di oggi: a San Valentino, il cupcake è il dolcetto perfetto

 

Febbraio non è certo un mese che difetta di dolci tipici: a quelli “carnascialeschi” come le castagnole, le frappe, le frittelle, le chiacchiere, le zeppole, la cicerchiata, si affiancano le prelibatezze di San Valentino. Non si tratta di dessert tradizionali o ben precisi, poichè spaziano dai biscotti alle torte a forma di cuore. La colazione di oggi è un’ anticipazione del mood che, ogni 14 Febbraio, coniuga l’amore con le delizie di pasticceria; ma quale dolce scegliere, tra i tanti proposti a San Valentino? I cupcakes mi sembrano perfetti: sono autentiche minitorte, e le guarnizioni che li adornano li tramutano in piccoli capolavori artistici. Il loro punto di forza è la glassatura, detta “frosting”, che viene impreziosita dalle forme, dai colori, dagli elementi più disparati.  In questo articolo, quindi, non mi soffermerò tanto sui benefici dei cupcakes quanto sulla storia e sulle curiosità relative ai dolcetti che gli inglesi e gli irlandesi sono soliti chiamare “fairy cake”, “torte di fata”. Il che è tutto dire…

 

 

Le radici dei cupcakes affondano in terra statunitense, e sono radici antiche. Il termine “cupcake” appare per la prima volta nel 1826, ma il libro “American Cookery” di Amelia Simmons riporta la ricetta di uno speciale dolce cotto in tazza (da qui il nome “cupcake”) già nel 1796. E’ più o meno a quell’ epoca che i cupcakes fanno la loro comparsa. L’ origine del nome si basa su una doppia teoria: non esistendo ancora gli stampini, è probabile che i dolci si lasciassero cuocere in una tazza (“cup”) o in delle scodelle apposite. La seconda teoria prevede invece che la tazza fosse un’ unità di misura per gli ingredienti indicati nella ricetta. La prima ipotesi, tuttavia, appare più credibile. Le piccole dimensioni del dolce e la cottura nelle tazze di coccio, infatti, comportavano dei tempi di cottura velocissimi e permettevano di preparare cupcakes in quantità con il minimo sforzo. A proposito di preparazione, quella del cupcake è molto semplice: la glassatura o “frosting”, la farcitura e la decorazione sono i cardini della sua ricetta. La decorazione, senza dubbio, rappresenta lo step più creativo del processo di realizzazione. Si effettua sulla glassa, essa stessa un prezioso elemento ornamentale: di solito è coloratissima e sfoggia innumerevoli forme e aromi. Le decorazioni spaziano dalla tradizionale ciliegia agli ornamenti in pasta da zucchero, che viene plasmata nelle fogge più disparate: fiori, unicorni, arcobaleni, stelle, fiocchi di neve…e dato che il cupcake è ampiamente servito in occasione delle ricorrenze, abbondano l’ iconografia natalizia, pasquale, halloweeniana e via dicendo.

 

 

Perfettamente glassato e decorato, il cupcake è pronto per essere presentato nel suo pirottino di carta pieghettata. A San Valentino potrete sbizzarrirvi ornandolo con un tripudio di rose e cuori in pasta di zucchero; ho anche notato cupcakes bellissimi su cui troneggiano la scritta “Love”, “I love you” o la più nostrana “Ti amo”. Un assoluto must è il colore, rigorosamente vibrante per potenziare l’ impatto visivo. Il frosting perfetto, invece, viene ottenuto con un mix di mascarpone, panna e zucchero a velo. Dopo averlo realizzato, si passa alla colorazione e all’ aromatizzazione; non esistono limiti alla fantasia, l’ importante è che la glassatura sia profumata e catturi cromaticamente. La diffusione commerciale del cupcake risale al primo dopoguerra. Con il passar del tempo, questo dolcetto ha cominciato ad andare a ruba nelle pasticcerie e sono state aperte addirittura delle “bakeries”, negozi che vendono eclusivamente cupcakes: lì, le golose minitorte diventano opere d’arte vere e proprie. Per iniziare – ma anche concludere – il giorno di San Valentino, gustare dei cupcakes è imprescindibile. Garantisce un alto tasso di dolcezza 24 ore su 24!

 

 

La colazione di oggi: il panettone, ghiottoneria natalizia da Milano al mondo

 

Latte, uova, burro, zucchero, vaniglia, canditi, uva sultanina…Il solo menzionare i suoi ingredienti evoca sentori di pura delizia: non è un caso che il panettone sia il dolce del Natale per eccellenza. Includerlo nella prima colazione è un’ idea perfetta, dato l’ alto apporto calorico che fornisce. Eh già, questo non si può negare: il panettone è una vera e propria bomba di calorie (circa 350 in 100 grammi). Ecco perchè è molto meglio gustarlo di mattina, piuttosto che a fine pasto. Affondare i denti nel suo impasto morbido, assaporando la dolcezza dei canditi e delle uvette, è un piacere che non conosce eguali. Un Natale senza panettone non può considerarsi veramente Natale: i due, insieme, compongono un binomio inscindibile. Ma quali sono le proprietà del tipico dolce milanese? Consumarlo comporta più benefici o controindicazioni? Cominciamo subito con gli alert, che riguardano soprattutto chi soffre di determinate patologie. Il panettone abbonda di lipidi, carboidrati, grassi saturi, peptidi, colesterolo. Di conseguenza, dovrebbe evitarlo chi è affetto da diabete o da ipercolesterolemia. A suo favore va invece detto che è ricco di proteine e di fibre, un elemento nutritivo importantissimo per il nostro organismo. La lunga lievitazione a cui viene sottoposto il dolce determina la presenza del glutine, mentre il burro e le creme che a volte lo farciscono contengono lattosio in quantità. Un altro punto di forza del panettone è costituito dalle vitamine: le molecole idrosolubili del gruppo B prevalgono, seguite dalla vitamina A e dalla vitamina D. Riguardo i sali minerali, il ferro trionfa grazie al tuorlo d’ uovo contenuto nel prodotto. Lo seguono a ruota il calcio e il fosforo.

Iniziare la giornata con una fetta di panettone e un buon caffè è una coccola che facciamo a noi stessi. La consistenza, il profumo, il sapore del “dolce del Natale” sono unici: la presenza del burro li esalta, favorendo inoltre una buona conservazione. Il panettone, se ci fate caso, rimane soffice e invitante per molti giorni. Ovviamente, va consumato con parsimonia. Ma le eccezioni alla regola sono previste, specie durante le feste natalizie. Anche perchè in altri periodi dell’ anno sarebbe improbabile farne incetta!

Le tradizioni e le leggende sul panettone hanno un denominatore comune: la matrice milanese. Tra le leggende che lo circondano, molte risalgono al Medioevo. Una di queste, ambientata a Milano, narra che il falconiere Messer Ulivo degli Atellani fosse innamorato della figlia di un fornaio, la bella Algisa. Per corteggiarla organizzò uno stratagemma: iniziò a lavorare come garzone nella bottega del padre e, con l’ intento di non passare inosservato, si inventò un dolce mai visto prima. L’ impasto era composto da burro, miele, uova e uva sultanina, un’ autentica squisitezza. Il dolce piacque talmente che il forno si affollò di nuovi clienti. Messer Ulivo ottenne la mano di Algisa e potè così coronare il suo sogno. Un’ altra leggenda viene associata alla corte di Ludovico il Moro. Il giorno di Natale, il Duca diede un pranzo a cui invitò numerosi ospiti. Ma dopo aver messo a cuocere il dolce, il cuoco disgraziatamente lo dimenticò nel forno. Quando lo tirò fuori era pressochè carbonizzato. Fu allora che a Toni, un giovane inserviente di cucina, balenò un’ idea: mostrò al cuoco un dessert che aveva preparato con degli ingredienti trovati in dispensa, e gli propose di servirlo in tavola. Il dolce a base di burro, uova, farina, scorza di cedro e uvette riscosse un successo incredibile tra i nobili ospiti di Ludovico Il Moro. Quando questi chiese al cuoco come si chiamasse quella leccornia, costui rispose “L’è ‘l pan del Toni”. Pare che il nome “panettone” derivi proprio da questa frase.

Secondo Pietro Verri, la nascita del panettone sarebbe datata addirittura al IX secolo: in “Storia di Milano” racconta che il giorno di Natale, nella città meneghina,  vigeva l’ usanza di consumare dei “pani grandi”. Al Natale veniva associata un’ ulteriore tradizione, stavolta risalente al XV secolo. I fornai, quel giorno, vendevano al popolo e agli aristocratici lo stesso tipo di pane. Durante l’ anno, infatti, esistevano un “pane dei poveri” e un “pane dei ricchi”. Il pane del Natale, detto “pan de ton” (da notare la somiglianza con il termine “panettone”), conteneva miele, burro e zibibbo, una pregiata varietà di uva. Nel 1599, “grandi pani” preparati con burro, spezie e uvetta comparivano nell’ archivio spese del Collegio Borromeo di Pavia. Il loro consumo era previsto per il pranzo di Natale. Tra il ‘700 e l‘800, a Milano venne incrementata l’ apertura dei forni e delle pasticcerie; nel XIX secolo il panettone era già un dolce pregiato e conosciutissimo. Con l’avvento dell’ industrializzazione, nel 1900 cominciò ad essere prodotto su vasta scala. Tuttavia, a Milano, la tradizione del panettone artigianale non venne mai meno. Fornai e pasticceri hanno sempre utilizzato la ricetta originale del dolce e a tutt’oggi continuano a prenderla come riferimento. Negli anni ’50 del XX secolo il panettone divenne uno dei prodotti di punta dell’ industria dolciaria. Esportato in tutto il mondo, nel 2005 la sua produzione è stata disciplinata da un decreto che determina le caratteristiche di un panettone affinchè possa essere definito tale.

 

 

La colazione di oggi: la cannella, spezia dei Re e dolce aroma del grande freddo

 

Il suo aroma è inconfondibile, piccante ma dolcissimo al tempo stesso, e viene considerato tipicamente invernale. La cannella, infatti, è una delle spezie più utilizzate con l’arrivo della stagione fredda. Per assaporarne il profumo basta bruciare l’ incenso che lo emana, ma se si punta al palato…beh, non c’è che l’ imbarazzo della scelta! La cannella rende più ricco il sapore dei dolci, dei pietanze, delle bibite, persino del caffè. Da dove proviene, questa spezia dal colore tra il marrone e il giallo? La specie più pregiata, denominata Cinnamomum Zeylanicum, è originaria dello Sri Lanka. Si ricava dalla corteccia e dai ramoscelli del suo albero (appartenente alla famiglia delle Lauraceae), che vengono prelevati e privati del sughero esterno. Dopo essere stato suddiviso in parti molteplici, arrotolate su se stesse come piccole pergamene, il materiale è pronto per l’essiccatura. Il Cinnamomum Zeylanicum vanta caratteristiche che lo differenziano da tutte le altre tipologie di cannella: il suo colore ha sfumature più chiare e il suo sapore è molto più dolce. Altri segni particolari di questa varietà sono i cannelli (ovvero i rotoli cilindrici in cui viene plasmata), che raggiungono una lunghezza di 20-80 cm e un diametro di circa 10 cm, e il fatto che venga raccolta due volte l’ anno (Autunno e Primavera). La celebre spezia Srilankese possiede, poi, virtù terapeutiche da non trascurare: battericida e antisettica, si rivela ottima per combattere i malanni stagionali, le patologie delle vie respiratorie e dell’ apparato intestinale; la sua funzione disinfettante la rende efficace anche per la cicatrizzazione delle ferite. Inoltre, il consumo di cannella mantiene sotto controllo gli sbalzi glicemici con effetti benefici per tutti coloro che sono affetti dal diabete di tipo 2.

 

 

Ma l’ elenco delle proprietà non finisce qui. Innanzitutto, la cannella è un eccellente energizzante: 100 g di prodotto contengono 247 calorie, 1, 24 g di grassi, 55 g di carboidrati (circa 2 g di zuccheri inclusi), proteine e una dose di fibre quantificata in ben 53 g. Sotto l’ aspetto nutrizionale, questa spezia si avvale di un buon numero di vitamine del gruppo B,C,E e K. Può contare, in più, su un significativo apporto di sali minerali quali il potassio, il ferro, il magnesio, il calcio, il fosforo, lo zinco e il selenio. In cucina è possibile utilizzarla in polvere o declinata nelle classiche stecche. Vi accorgerete che il suo aroma si sposa alla perfezione con, per fare solo un paio di esempi, il miele e il cioccolato: è facile intuire l’ alto tasso di golosità di simili abbinamenti. Durante la prima colazione, specialmente in prossimità del Solstizio d’Inverno, è frequente assaporarla in qualità di aromatizzante di torte, crostate, creme, dolci e dolcetti tradizionali, ma anche di prelibati biscotti natalizi…Un esempio? I ghiottissimi Zimstern, stelle di cannella provenienti dalla Svizzera Tedesca. Nei mercatini di Natale nordeuropei, soprattutto in Germania e in Austria, sono un must. Anche perchè il sapore delizioso e dolciastro della cannella viene arricchito da quello di una glassa di zucchero squisita…La cannella dà vita, inoltre, a gustosi connubi con le tisane, i frullati e molti tipi di bevande, una su tutte il vin brulé. Una curiosità: sapevate che nel caffè, in Portogallo, non manca mai il classico bastoncino di cannella? E’ così che ve lo servono, nei bar. L’ utilizzo del Cinnamomum Zeylanicum, dunque, è vastissimo.

 

Gli Zimstern

A proposito di Nord Europa e di periodo natalizio: il Grog, la tipica bevanda svedese a base di rum, vino rosso e zucchero, viene immancabilmente impreziosito da 3-4 bastoncini di cannella oltre che da svariate spezie (come l’anice, i chiodi di garofano e il cardamomo).

 

 

A livello di tradizioni e di leggende, senza dubbio, la cannella ne vanta un numero pari ai suoi utilizzi. E’ una spezia dalle origini remotissime: la Bibbia la menziona nel Libro dell’ Esodo, e gli antichi Egizi, gli Arabi (che la chiamavano Kin Anomon), i Greci e i Romani ne facevano ampio uso. Nel Medioevo, le sue virtù aromatizzanti e terapeutiche erano talmente apprezzate che cominciò ad essere importata dall’ Oriente tramite un flusso ininterrotto di carovane. I sovrani occidentali la adoravano letteralmente, tant’è che venne soprannominata “la spezia dei re”. All’ inizio del XVII secolo, visto il gradimento che riscuoteva in Europa, gli olandesi implementarono una solida attività di importazione tra i Paesi Bassi e lo Sri Lanka, diffondendo la cannella in modo massiccio nel Vecchio Continente. Questa spezia fu introdotta anche in paesi come il Madagascar, la Malesia, le Antille, mentre la cannella cinese (Cinnamomum Aromaticum) ha una storia a parte: le testimonianze che ne attestano l’ uso prevalentemente terapeutico in Cina risalgono, addirittura, al 2700 a.C.  Ben presto, intorno alla cannella cominciarono a forgiarsi molte leggende. Una di queste era incentrata sulla sua sacralità: si narrava che il Cinnamomum Zeylanicum fosse una delle sostanze depositate nel nido dell’ Araba Fenice, e che da tale condizione attingesse i suoi poteri curativi.

 

 

Anche Ovidio, nelle “Metamorfosi”, cita la cannella in relazione al nido della Fenice, mentre fu nel Medioevo che si iniziò a definirla “spezia regale”. Nelle corti, di cannella si faceva un uso smisurato. Durante i banchetti era onnipresente e la si utilizzava proporzionalmente al potere degli invitati: più erano autorevoli, maggiore era la quantità che veniva loro offerta. La “spezia d’Oriente” per eccellenza divenne un vero e proprio emblema delle teste coronate, che erano soliti riceverla in dono. Il porto di Venezia, crocevia tra Oriente e Occidente, accrebbe progressivamente il suo prestigio grazie alla massiccia importazione di cannella. Tra il 1400 e il 1500, con l’ apertura della “rotta delle spezie”, da Lisbona partivano regolarmente navi che giungevano in Indonesia per procurarsi chiodi di garofano, cannella, pepe e noce moscata. In Europa avevano un valore enorme, giacchè all’ uso culinario di queste spezie veniva affiancato quello terapeutico. La rotta, nel 1600, passò sotto il controllo dell’ Olanda che divenne il principale importatore di spezie. Per concludere, una curiosità. Pare che Nostradamus, nel Rinascimento, esaltasse il cruciale ruolo della cannella nel prodigioso filtro d’amore che aveva creato: a suo dire, bastava berne un sorso per far capitolare la persona concupita!

 

La colazione di oggi: le nocciole, il frutto dell’ antico “Albero Sacro”

L’ Autunno, gastronomicamente parlando, è una vera e propria miniera di tipicità di stagione. E come abbiamo già visto, tra i suoi frutti annovera delizie senza pari. La carrellata, ci credereste?, non è ancora finita: anche la nocciola merita un focus, sia in virtù dei suoi benefici che dei dolci squisiti a cui si associa. Esteriormente somiglia a una piccola castagna, e come la castagna è un frutto specificamente mediterraneo; tra i maggiori produttori di nocciole figurano, infatti, paesi come l’ Italia, la Spagna, gli Stati Uniti e la Turchia. Il clima temperato si addice al nocciolo, un albero che cresce spontaneamente nei boschi ma viene coltivato sin da tempi remotissimi. Questa coltivazione massiccia non sorprende, perchè le nocciole – una varietà di frutta secca – sono gli ingredienti base di incalcolabili ricette, dolci o salate che siano.  Ma dato che parliamo di prima colazione, le esaminerò soprattutto nelle vesti di dessert. La granella, la pasta, la crema di nocciole vengono utilizzate per guarnire o per farcire torte, crostate, pasticcini, meringhe, biscotti…l’ elenco sarebbe interminabile, il denominatore comune è unico: un alto tasso di golosità. I dolci alle nocciole rappresentano la soluzione ideale per soddisfare il palato e, al tempo stesso, fare il pieno di energia. Senza contare che esistono preparati come la crema di nocciole, appunto, ma anche il burro e il latte a base dello stesso frutto, oltremodo ghiotti e semplicissimi da realizzare in casa. Molte creme alla nocciola (pensate a noti marchi) sono acquistabili facilmente al supermercato, ma osare una preparazione “homemade” è sempre stimolante.

E’ arrivato il momento di illustrare, innanzitutto, le proprietà e i benefici del frutto più gustoso dell’ Autunno. Tanto per cominciare abbonda di vitamina E, che contiene in una quantità pari all’ 86% del fabbisogno giornaliero. Le doti di questa vitamina sono molteplici e coinvolgono l’ intero organismo: svolge un’azione antiossidante proteggendo le cellule dai danni provocati dai radicali liberi, è un efficace antitumorale e tiene al riparo dalle patologie neurovegetative; possiede, inoltre, virtù antinfiammatorie e immunostimolanti. Oltre che di vitamina E, le nocciole sono ricche di vitamina B1, B2, B3, B6 e B9, fondamentali per la salute del sistema nervoso, ma anche di minerali come il magnesio, che ottimizza la quantità di calcio presente nei muscoli e apporta benefici alle ossa e alle articolazioni. I fitosteroli  contrastano le malattie cardiovascolari e diminuiscono i valori del colesterolo LDL (il colesterolo “cattivo”), mentre l’ acido oleico contribuisce ad accrescere i livelli del colesterolo HDL (o colesterolo “buono”). Il manganese, un altro minerale ontenuto nelle nocciole, ha una funzione stimolante per il metabolismo e per gli enzimi digestivi: l’ intestino si regolarizza e vengono eliminate le tossine. Ulteriori minerali inclusi nel frutto sono il ferro (che aiuta a combattere l’anemia), lo zinco, il potassio, il selenio, il calcio e il rame, che come il manganese è un potente antiossidante. Mangiare nocciole, dunque, oltre a far bene alla salute ritarda l’ invecchiamento. La pelle si mantiene giovane, elastica, vellutata. In più, un pasto a base di nocciole fornisce energia e può essere equiparato a un ottimo integratore alimentare.

Ma un simile tripudio di virtù include anche qualche lato “no”? La risposta, purtroppo, è affermativa. Le nocciole sono altamente caloriche, 100 grammi di questo frutto contengono all’ incirca 655 calorie. I benefici delle avellane (si chiamano anche così), però, sono talmente numerosi che contribuiscono a tenere sotto controllo il peso forma. Certo, come tutti gli alimenti vanno consumate con moderazione: è stato stimato che non dovrebbe essere superata la quantità di 30 grammi giornalieri.

Sin dalla notte dei tempi, alle nocciole sono state associate particolari doti e tradizioni. I Celti, ad esempio, definivano il nocciolo “Albero Sacro”, poichè ritenevano che nel suo frutto fosse contenuta la conoscenza. Chi lo mangiava sarebbe stato detentore di saggezza, verità e avrebbe appreso l’ origine di tutte le cose. Proprio in virtù di tali proprietà esoteriche, quel popolo era solito realizzare tavole divinatorie con il legno di nocciolo. I ramoscelli di nocciolo, inoltre, venivano utilizzati come bacchette magiche da molte civiltà antiche: in Germania si credeva che potessero rompere gli incantesimi, oppure che conducessero in luoghi strategici e di buon auspicio. Il nocciolo vantava un legame speciale con il numero 9: 9 come gli anni che impiega per fruttificare, 9 come le Muse (l’ albero era associato alla Poesia), 9 come il mese che lo identificava nel Calendario Arboreo celtico (più precisamente, al nocciolo corrispondeva il periodo tra il 5 Agosto e il 1 Settembre). Il 9, infine, rimandava al numero di noccioli che si ergevano nei paraggi della Fonte della Conoscenza. Simboleggiando la fecondità e l’ abbondanza, le nocciole venivano distribuite durante i ricevimenti nuziali dell’ antica Roma per augurare prosperità agli sposi. Omaggiando la loro valenza rigeneratrice, invece, i rami di nocciolo si seppellivano accanto ai defunti con l’augurio di una pronta rinascita a nuova vita.

La colazione di oggi: la zucca, supremo emblema di Halloween

 

 

Halloween è dietro l’ angolo: manca solo una manciata di giorni alla notte più stregata dell’ anno. E qual è il suo supremo emblema, se non la zucca? Un frutto tipicamente autunnale che si presta a un’ infinita varietà di ricette. Nei paesi anglosassoni, in particolare, viene utilizzata per preparare dolci deliziosi: torte, crostate, ciambelle, biscotti, e classiche leccornie Made in USA come i brownie, i pancake, i muffin e la pumpkin pie (tradizionale torta del Thanksgiving Day). Proporla per la colazione di oggi, quindi, mi sembra un’ idea ottima. Anche perchè la zucca, tra pochi giorni, spopolerà persino come elemento decorativo. Il 31 Ottobre la ritroveremo davanti ai portoni, sui balconi e nei giardini; sarà intagliata per riprodurre un volto terrificante ed emanerà una fioca luce dall’ interno, assumendo le sembianze di una Jack-o’-Lantern altamente simbolica. Ma il suo legame con Halloween (o Samhain, se preferite la denominazione celtica) intendo approfondirlo più avanti. Intanto, accendiamo i riflettori sulle proprietà e sui benefici della zucca. Vi assicuro che non sono pochi! Innanzitutto c’è da dire che il colore di questo frutto, un arancio vivace, è una delle nuance identificative dell’ Autunno. All’ appeal cromatico si combinano, poi, delle virtù notevoli: povera di calorie, la zucca è ricca invece di fibre e di antiossidanti, un vero toccasana per l’ apparato cardiovascolare e contro le malattie degenerative.

 

 

Abbondando di acqua, la zucca è un alimento digeribilissimo e dalle spiccate proprietà diuretiche; tra i suoi componenti risaltano la vitamina A, un potente antiossidante (oltre che antinfiammatorio) prodotto dal carotene che contiene in gran quantità, le vitamine B1 e C, ma anche minerali come il potassio, il sodio, il fosforo e il calcio. I flavonodi racchiusi nella zucca contribuiscono a mantenere giovani le cellule, mentre la cucurbitina, un aminoacido di cui i suoi semi sono ricchi, si rivela ideale per il benessere dell’ apparato urinario e in qualità di antiparassitario. Nei semi del frutto sono presenti, inoltre, acidi grassi essenziali quali Omega-3 e Omega-6, che giocano un ruolo fondamentale per l’ organismo. Vi cito solo alcune delle loro virtù: possiedono virtù antinfiammatorie, ripristinano i valori ottimali del metabolismo, della colesterolemia e della pressione sanguigna, contrastano le patologie vascolari e la degenerazione del sistema nervoso. Ulteriori proprietà degli acidi grassi essenziali includono effetti benefici sulla vista e sull’ umore, il che li rende perfetti nella lotta contro la depressione.

 

 

Icona dell’ Autunno, dunque, ma non solo: la zucca è un’ autentica miniera di benessere. Alla voce “curiosità, menzionare Halloween è tassativo. La tradizione di intagliare i più disparati tipi di verdura pare che risalisse, a tal proposito, all’800 irlandese. Questa usanza mirava a esorcizzare le forze sovrannaturali, mantenendole lontane dal mondo dei vivi. E’ in quel contesto che entrò in scena la leggenda di Jack-O’-Lantern, a cui la zucca di Halloween si ispira direttamente. Si narra che il fabbro irlandese Jack, astuto e gran bevitore, la notte del 31 Ottobre incontrò il Diavolo mentre era diretto al pub che soleva frequentare. Satana manifestò la sua intenzione di rubargli l’ anima, ma Jack ci pensò su e gli chiese un favore: trasformarsi in una moneta da sei pence per permettegli di pagare la sua ultima bevuta. Il Diavolo acconsentì, pentendosene subito dopo. Jack, infatti, si infilò la moneta in tasca, e la vicinanza a una croce d’argento impedì al demonio di tornare alle sue sembianze originarie. Così, i due scesero a patti: Jack lo avrebbe lasciato andare se gli avesse donato dieci anni di vita e in quel decennio non fosse più ricomparso. Il Diavolo, suo malgrado, fu costretto ad accettare. Dieci anni dopo, però, il 31 Ottobre tornò a pretendere l’ anima di Jack. Il fabbro si finse d’accordo, ma chiese al Diavolo di poter cogliere per lui una mela: sarebbe stato il suo ultimo pasto prima di morire. Il Principe delle Tenebre si arrampicò su un melo, e poco dopo si accorse che il fabbro aveva inciso una croce sul tronco per impedirgli di scendere. Tra i due scoppiò un litigio poi sfociato in discussione, e infine in un nuovo patto. Satana si disse disposto a salvare Jack dalla dannazione eterna a condizione che non si facesse vedere mai più. Quando il fabbro morì, fu condannato all’ Inferno per la vita dissoluta e furfantesca che aveva condotto. Il Diavolo, però, si rifiutò di farlo entrare. Tuttavia, gli donò un tizzone ardente affinchè illuminasse il suo vagare tra le anime perdute del limbo. L’ uomo riflettè a lungo su dove sistemare il tizzone, decidendo infine di riporlo in una rapa intagliata. Ne ricavò una lanterna che ispirò il suo celebre soprannome: Jack-O’-Lantern (“la lanterna di Jack”). Da allora, ogni notte del 31 Ottobre si può scorgere nel buio la fiammella di Jack, il cui spirito è destinato a errare per l’ eternità.

 

 

Gli irlandesi, la notte del 31 Ottobre, erano soliti rievocare la leggenda di Jack attraverso un tripudio di rape intagliate e illuminate dall’ interno. Ma dopo il 1845, quando si diressero in America in massa a causa di una carestia, dovettero sostituire le rape con le zucche, più diffuse e facilmente reperibili. Se vi state chiedendo quale volto riproduca la zucca di Halloween, la risposta è molto semplice: quello di Jack il fabbro. In un mix tra lo sgangherato e l’orrorifico che coniuga l’ ebbrezza alcolica con l’ oscurità in cui vaga la sua anima.

 

 

 

La colazione di oggi: le castagne, il “pane” dell’ Autunno

Ottobre = castagne: un’equazione che viene spontanea. Insieme alla zucca, infatti (che tratteremo a tempo debito), i frutti del castagno rappresentano un emblema dell’arrivo dell’ Autunno. E dell’ Autunno incarnano la suggestività più profonda. Pensate solo alle caldarroste degustate insieme al vino, meglio ancora se davanti al focolare…un’ immagine ricorrente, quando si vaga con la mente all’ inizio della stagione fredda. Ma oltre ad evocare tutta un’ atmosfera, le castagne sono ricche di proprietà benefiche. Comincio subito col dire che – ebbene sì – contengono parecchie calorie: gli zuccheri, declinati in amido, compongono l’ 84% del frutto della “Castanea Sativa” (questo il nome dell’ albero da cui ha origine). In compenso, però, le castagne racchiudono un’ alta quantità di fibre e di vitamina E, B2 e PP, accompagnate da minerali quali il potassio, il fosforo, il ferro, il magnesio, il calcio e lo zinco. Da questo mix scaturisce vigore puro, una vera e proprio bomba di energia. Ecco perchè i “marroni” sono spesso utilizzati per combattere la stanchezza, durante la convalescenza e dagli sportivi quando devono fare il pieno di sprint. Per contrastare gli effetti della copiosa dose di amidi, però, c’è un trucco: bisognerebbe diminuire (o addirittura eliminare del tutto) la quantità di pane che si ingerisce insieme a un pasto a base di castagne. Tanto per farvi un’idea, considerate che una decina di castagne contengono amidi in un numero pari a quello di 50 g di pane integrale. In più, le castagne sono prive di glutine e le fibre, di cui al contrario abbondano, diminuiscono drasticamente il quantitativo dei grassi compresi nel frutto. Riassumendo il concetto, dunque, dovrebbero essere sempre degustate evitando l’ abbinamento con cibi come appunto il pane, ma anche la pasta e le patate, ricche di amidi parimenti. 

 

 

Bisogna aggiungere che, proprio in virtù dell’ elevato contenuto di amidi racchiusi nelle castagne, l’ideale sarebbe consumarle durante i pasti brevi o gli spuntini. La prima colazione o la merenda, per esempio, oppure a pranzo o a cena, ma combinandole preferibilmente con le verdure. A noi, però, interessa la prima colazione: come inserire le castagne nel menu di inizio giornata? In modi innumerevoli. Torte, biscotti, budini, creme spalmabili (utilizzate anche per guarnire i dolci), mousse di castagne, sono solo alcune delle delizie a cui dà vita questo frutto tipicamente autunnale. Oppure, gustatele sotto forma di caldarroste: se le abbinate alla vaniglia o alla cannella in polvere otterrete, garantito, un connubio irresistibile.

 

 

Le ricette, comunque, sono numerose e tutte da leccarsi i baffi. Basti pensare che la farina di castagne viene utilizzata per preparare delle succulente crepes! Tramite una ricerca mirata sul web, potrete trovare una miriade di spunti. Accantonando l’ aspetto culinario per esplorare quello delle tradizioni e delle leggende associate al frutto ottobrino, scopriamo notizie estremamente interessanti. Le sue radici pare che risiedano nell’ antica Grecia: lì, in Tessaglia (una regione centrale del paese), sorgeva una città nel bel mezzo di vasti castagneti. I Romani, ghiotti di castagne a tal punto da decantarle nei componimenti poetici, non esitarono nel diffondere il castagno non solo in Italia, bensì in tutta Europa. Grazie alle loro proprietà nutrienti, le castagne vennero subito utilizzate dai poveri come pasto principale; abbiamo già visto, infatti, che la ricchezza di amidi del frutto fa sì che possa sostituire il pane (lo storico Senofonte, vissuto tra il 400 e 300 a.C., non a caso aveva battezzato il castagno “albero del pane”). Dal 1770 in poi, tuttavia, anche l’aristocrazia cominciò ad apprezzarle sotto forma di marron glacé. Con il passar del tempo, le castagne spopolarono soprattutto in versione “dessert”: in Francia era ricercatissima la crema di cioccolata e farina di castagne preparata dal dottor Bonneau, un farmacista parigino. Da allora, cucinate in modi incalcolabili, quei frutti divennero un “basic” della gastronomia europea.

 

 

Esistono moltissime leggende sulle castagne, sia correlate al loro aspetto che alla loro valenza di “pane dei poveri”. Una di queste, ad esempio, narra che le castagne, stanche di patire il freddo dell’ Inverno, chiesero al castagno che le aveva generate se avesse qualche consiglio da fornire al riguardo. L’ albero suggerì ai suoi frutti di convocare i ricci del bosco: avrebbero avuto, per caso, amici non più in vita a cui sottrarre il manto spinoso? Le castagne seguirono il suggerimento e i ricci le aiutarono di buon grado. Consegnarono loro una serie di manti ispidi e, da quel momento, le castagne rimasero per sempre al riparo dai rigori dell’ Inverno. Sapete, invece, perchè il guscio delle castagne si apre a croce? Racconta una leggenda che il popolo medievale, attanagliato dalla fame, avrebbe voluto nutrirsi di castagne, ma non poteva a causa delle spine dei loro ricci. Supplicò quindi San Benedetto affinchè venisse in suo aiuto; al che, il Santo benedisse i frutti e questi si aprirono formando una croce per onorare il sacrificio di Cristo. Sempre riguardo le spine dei ricci, esiste un’ altra leggenda: Dio aveva creato le castagne perchè potessero sfamare le popolazioni della montagna. Il loro guscio era liscio, apribilissimo. Ma il Diavolo, per impedire che la povera gente raccogliesse quei frutti, lo cosparse di spine. Non appena se ne accorse, Dio benedisse le castagne e il guscio, apertosi a forma di croce dopo il suo gesto, cadde a terra in modo che tutti i bisognosi potessero coglierlo facilmente.