Tarik ben Ziyad nel regno delle meraviglie

 

“Shahrazàd iniziò a raccontare un’altra storia al calare della sera: Mio buon sire, mi hanno narrato che, nella città di Toledo, c’era un lussuoso castello sempre chiuso. E, ogni volta che un re spariva dal palcoscenico della vita, ne veniva incoronato un altro che ordinava di chiudere la maestosa porta della fortezza con un catenaccio di ferro battuto. Con il passare degli anni sulla porta si accumularono ventiquattro catenacci. Alla morte del ventiquattresimo re, salì al potere un uomo che non era di sangue reale. Il nuovo sovrano decise di aprire i catenacci a ogni costo e di scoprire le meraviglie del castello fatato. Invano i dignitari e i notabili cercarono di evitare che compisse tale atto, offrendogli oro, gioielli e munizioni. Ma quegli non desistette dal suo proposito; così i paggi e i fabbri furono costretti ad aprire i catenacci e a spalancare la maestosa porta. Quando il re solcò la soglia del castello, la sua attenzione fu attratta dai dipinti raffiguranti alcuni Arabi che indossavano lunghe tuniche e turbanti colorati e cavalcavano i cammelli. I guerrieri portavano lunghe lance in mano, mentre le spade erano poste nei foderi. D’un tratto gli occhi del re caddero su un grande libro; lo prese e lesse le prime righe: “Se la porta del castello verrà aperta, gli spietati Arabi conquisteranno questo regno. Guardatevi dal dischiudere i battenti di questa porta. ” Quel castello si trovava in Andalusia; venne conquistato nell’VIII secolo dal nobile Tarik ben Ziyad, ai tempi del califfo al-Walid ben Abd al-Malik. (…) Quando entrarono nel castello, Tarik ben Ziyad e i suoi uomini trovarono centosettanta corone tempestate di zaffiri e di diamanti. (…) Tarik ben Ziyad in un salone rinvenne alcuni elisir che trasformavano ogni dirham d’argento in mille dirham d’oro puro e un meraviglioso specchio rotondo tempestato di rubini costituito da un insieme di metalli pregiati e realizzato per il profeta Salomone. Chiunque vi guardasse dentro, vedeva rispecchiate dettagliatamente le sette regioni del mondo. Tarik ben Ziyad portò tutte quelle meraviglie in dono al grande califfo di Allah al-Walid ben Abd al-Malik. Subito dopo, però, gli Arabi espugnarono l’Andalusia, il regno più ricco e meraviglioso del mondo.”

Da “Le mille e una notte”, a cura di Hafez Haidar. Traduzione dall’arabo di Hafez Haidar (Oscar Classici Mondadori)

 

Illustrazione: “Arabian Nights” di Virginia Frances Sterrett

 

La Luna e la scoperta di Galileo

 

“In cima al campanile di San Marco, nell’agosto 1609 Galileo Galilei mostrò ai consiglieri del doge un nuovo strumento all’avanguardia. Si trattava di un tubo portatile: bastava guardarci dentro e sembrava che gli oggetti ti venissero incontro. Ciò che si trovava lontano diventava apparentemente a portata di mano.  (…) Il campanile di San Marco, ornato dalla statua dorata dell’arcangelo Gabriele, gli sembrò il luogo ideale per mostrare ai notabili veneziani il funzionamento di questo “cannocchiale olandese”. Sotto la cella campanaria si trova una loggia dove lo sguardo spazia a 360 gradi. (…) Proprio sotto la cella campanaria (“è proibito suonare le campane”) è collocata una targa commemorativa: GALILEO GALILEI CON IL SUO CANNOCCHIALE DA QUI IL 21 AGOSTO 1609 ALLARGAVA GLI ORIZZONTI DELL’UOMO. E’ proprio così, ma non perchè il suo tubo con le due lenti una dietro l’altra lo puntò verso il mare! L’importante è che abbia puntato il cannocchiale verso l’alto. Di notte. Sulla Luna, tanto per cominciare. Galileo l’avvicina a sè di venti volte. Cosa vede? Pieghe. Nervature. Margini rialzati dei crateri. Montagne. La faccia della Luna non è uniforme e liscia, ma crepata e ammaccata. Si riconoscono le sagome delle catene montuose delle ombre, che hanno un profilo frastagliato, non diverso da quello degli Appennini o delle Dolomiti al calar del sole. Galileo fa le sue osservazioni per la metà di un ciclo lunare (mezzo mese). I suoi disegni a penna della ruvida superficie della Luna mettono la parola fine all’idea ecclesiastica del cosmo. Secondo la dottrina dominante, l’universo è diviso in un regno divino e uno diabolico. La crosta terrestre è un’area grigia brulicante di bipedi, che dopo la loro morte hanno due possibilità: sprofondare nelle viscere dell’inferno o ascendere al paradiso celeste. I due poli hanno lo stesso scopo, guidare gli esseri umani attraverso la vita. La cima dell’ Olimpo e le nuvole appartengono ancora al peccaminoso mondo “sublunare”; dalle vette della Luna hanno inizio le pure “sfere celesti” cantate all’inizio del 1300 da Dante Alighieri nel Paradiso. Tre secoli dopo Dante, Galileo vede che ben poco di questa rappresentazione delle cose corrisponde a verità. Il dogma del (magnifico) cielo perfetto e la (grinzosa) Terra imperfetta va in frantumi. E’ come se Galileo con il suo cannocchiale avesse mandato in pezzi la cristallina cupola celeste. “

Frank Westerman, da “La Commedia Cosmica” (Iperborea Edizioni)