San Valentino

 

“Eppure, per una di quelle intuizioni dell’animo, apparentemente assurde, che magari al momento non ci si bada ma rimangono dentro, per poi ridestarsi a distanza di mesi e di anni, quando il meccanismo del destino scatterà, Antonio ebbe un presentimento: come se quell’incontro avesse importanza nella sua vita, come se il coincidere rapidissimo degli sguardi avesse stabilito fra loro due un legame che non si sarebbe spezzato mai più, a loro stessa insaputa. Già in passato, più di una volta, aveva constatato l’incredibile potenza dell’amore, capace di riannodare, con infinita sagacia e pazienza, attraverso vertiginose catene di apparenti casi, due sottilissimi fili che si erano persi nella confusione della vita, da un capo all’altro del mondo…”

Dino Buzzati, da “Un amore”

 

Buon San Valentino! Ve lo auguro con un brano tratto dal libro-capolavoro “Un amore” di Dino Buzzati e con una serie di immagini in cui il cuore – rappresentato in svariate versioni – fa da leitmotiv. Come disse Antonio Machado, “il cuore è la regione dell’ inatteso”: un concetto che lo associa all’ amore da sempre e che calza a pennello, peraltro, con la trama del romanzo di Buzzati (chi l’ha letto, mi capirà al volo). In un mondo dove dilaga l’ usa e getta dei sentimenti, celebrare l’ amore “puro” (inteso cioè nella sua quintessenza) è confortante. Viva l’ amore, dunque, e soprattutto viva il cuore: perchè se nasce dal cuore, qualsiasi cosa possiede un valore aggiunto.

 

L’ idromele: il fascino nordico del “nettare degli dei”

 

Se pensate che la più antica bevanda alcolica sia il vino, forse non conoscete l’idromele. E’ un fermentato dalle origini remotissime e la sua storia è estremamente affascinante: i Celti e i popoli germanici lo consideravano sacro e lo definirono “nettare degli dei”, poichè a loro dire era un dono celeste; ma anche perchè, in effetti, al nettare era direttamente associato. L’ idromele viene ottenuto dalla fermentazione del miele, che combinato con l’acqua e con il lievito dà vita ad una bibita dal discreto tasso alcolico (oscilla tra i 6 e i 18 gradi). Il fatto che derivasse dal polline, che rimandasse alla laboriosità delle api e all’ acqua pura di sorgente lo collegava ai concetti di perenne rinascita e di trasformazione, paragonandolo a una potente linfa vitale. Non è un caso che, proprio presso gli antichi Celti ed i Germani, l’idromele fosse ritenuto la bevanda dell’ immortalità. Prima ancora che l’uomo si dedicasse alla domesticazione della vite, dunque, si diffuse l’ usanza di sorseggiare la raffinata bibita a base di miele. Il suo nome proviene dal greco “hydor”, ovvero “acqua”, e “méli”, “miele”, mentre il termine anglosassone “mead” risale all’ inglese antico “meodu”. Inizialmente, l’idromele si sorbiva soprattutto nelle corti e durante le cerimonie religiose. In particolare, è stato accertato che nel lasso di tempo compreso tra il IX e il I secolo a.C. i Druidi ne facessero uso in occasione delle ricorrenze che sancivano i cicli stagionali: Samhain (il Capodanno celtico), Yule (il Solstizio d’ Inverno), Imbolc (la nostra festa della Candelora), Ostara (l’Equinozio di Primavera), Beltane (la festa del primo maggio), Litha (il Solstizio d’Estate), Lughnasadh (il culmine dell’estate) e Mabon (l’ Equinozio di Autunno). Il consumo di idromele si integrava con i rituali effettuati durante quelle feste, giacchè il suo tasso alcolico favoriva l’alterazione degli stati di coscienza e facilitava il contatto con il divino. Per i Celti, il “nettare degli dei” possedeva un valore simbolico potentissimo. Recipienti con depositi di idromele sono stati rinvenuti nei sepolcri di svariati principi vissuti tra il VI e il IV secolo a.C.: di questa bevanda pregiata, infatti, gli aristocratici facevano scorta per portarla con sè anche nel Sidh, l’ Oltretomba celtico. 

 

 

Gli appassionati di cultura Vichinga e di mitologia norrena sapranno già che l’idromele (chiamato mjöðr nelle lande del Nord) riveste un ruolo molto importante per il mondo scandinavo precristiano. Le leggende lo fanno risalire alla capra Heidrun, che racchiudeva idromele nelle sue mammelle, e raccontano che era la bevanda più amata dal dio Odino e dagli Asi, gli dei nordici che governavano il cielo. Sempre secondo la mitologia norrena, per impossessarsi dell’ idromele Odino si tramutò di volta in volta in serpente e in aquila, mentre Thor, il dio del tuono, riuscì a impadronirsene strappandolo ai giganti. Un’ altra leggenda ancora vede protagonista il vate Kvasir. Costui, durante un viaggio intrapreso per erudire il popolo, una notte pernottò presso l’ alloggio di due fratelli nani, Fjalarr e Galarr. I nani lo uccisero, versarono il suo sangue in delle coppe e aggiunsero del miele per addolcirlo. La fermentazione prodotta da quella miscela diede vita all’ idromele, una magica bevanda che conferiva il dono della saggezza e della poesia a chiunque la assaporasse. Adesso, una piccola curiosità: sapete da cosa deriva la locuzione “luna di miele”? Secondo una tradizione medievale, ai neo-sposi si usava regalare idromele in una quantità sufficiente per un mese lunare; il calendario gregoriano fu infatti introdotto solo nel 1582. Scopo di quel dono era favorire la procreazione: la coppia, nelle prime settimane di nozze, avrebbe beneficiato della prodigiosa energia che l’ idromele infondeva. Da qui “luna”, ovvero “mese lunare”, e “miele”, come l’ ingrediente base della bevanda.

 

In questo pub svedese, a Gamla Uppsala, si può bere idromele in speciali corni potori “Vichingo style”

Le origini dell’ idromele si perdono nella notte dei tempi. Numerose testimonianze ne attestano l’esistenza già nell’ antico Egitto (circa 2000 anni a.C.), presso i Greci e presso i Romani. Persino il culto di Dioniso, antecedente all’ inizio della coltivazione della vite, veniva originariamente associato alla bevanda: il dio greco del vino e della vendemmia intreccia la sua storia mitica con quella dell’ idromele. Non a caso, si usava far fermentare il miele e l’ acqua che lo compongono in un sacco di pelle di toro, animale di sovente identificato con Dioniso. Va precisato che l’ebbrezza donata dall’ idromele era notevole;  bastava aggiungere del miele durante la fermentazione per conferire la massima gradazione alcolica alla bevanda.

 

“Cup of Honey Drink”, 1880 circa. Dipinto conservato nel Donetsk Regional Museum of Art in Ucraina

L’esistenza dell’ idromele nell’ antica Roma è attestata nei libri di Columella (dove un intero volume, il dodicesimo, è dedicato ai vari modi di preparazione del “nettare degli dei”) e di Plinio. Tuttavia, la “bevanda dell’ immortalità” non rivestì mai un’ importanza pari a quella che aveva assunto nell’ Europa del Nord: il miele era molto più costoso rispetto al vino e il cristianesimo decretò il decisivo trionfo di quest’ ultimo, che utilizzava durante la liturgia eucaristica, rispetto al “pagano” idromele. 

 

Foto n. 2 e n. 3 (dall’ alto): n. 3 via Madison Scott-Clary via Flickr, CC BY 2.0, n. 4 by Marieke Kuijjer from Leiden, The Netherlands, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Felice Anno Nuovo

 

 

” Anche la neve contribuisce all’idea

che ci si debba decidere.

Ma appena entrati nell’aria di gennaio,

che è come sempre forzare una porta

o sospingere un vetro con delicatezza,

non è più imbarazzante enumerare i sintomi

di quelle forme bianche rigorosamente

irregolari, contingenti, malgrado

la straordinaria chiarezza della luce, sul fondo,

che ci vediamo costretti a interpretare.

In questo senso la neve ci identifica: segno

del movimento, incessante, compiuto

cominciamento. “

 

“Aria”, poesia di Roberto Sanesi

Buon Halloween, felice Samhain

 

Che odore ha, secondo voi, la notte di Halloween? Come immaginate il suo imprinting olfattivo? Io la penso impregnata di un vago sentore di fumo: sì, proprio il fumo di un camino acceso. Che d’altronde, per me, è il tipico odore dell’ Autunno sin dai tempi dell’ infanzia. Mi è rimasto dentro quando ero piuttosto piccola, avrò avuto tre o quattro anni. Era l’ odore che aleggiava in certi borghi di montagna, dove mia madre, insegnante nella scuola elementare locale, tornava anche di pomeriggio se era molto impegnata. Naturalmente mi portava con sè, e ho ancora dei ricordi nitidi di quelle case in cui a volte ci invitavano per uno spuntino: il camino era il fulcro dell’ abitazione, più familiare e intimo rispetto al termosifone. Persino la cena veniva cotta puntualmente sul fuoco. Il mio Halloween ideale è in armonia con la natura, di conseguenza lo associo a un focolare e all’ aroma che sprigiona. Esistono diversi metodi per impedire che l’odore di cenere predomini, alcuni di questi semplicissimi da attuare: bruciare un po’ di cannella (la spezia dell’ Autunno per antonomasia), degli aghi di pino o del rosmarino tra le fiamme, ad esempio, può rivelarsi un’ ottima idea. Un’ altra opzione è l’utilizzo dell’ incenso aromatizzato. I fumi che diffonde, oltre a profumare la casa, accentueranno l’ alone di magia che circonda la notte del 31 Ottobre. Forse non sapevate che esistono piante tradizionalmente associate a Samhain: l’ alloro, pianta sacra ad Apollo, possiede la straordinaria virtù di donare capacità divinatorie e di tenere a distanza la malasorte, i malanni e le energie negative; la noce moscata ha proprietà purificatrici, potenzia la memoria e le abilità mentali calamitando, al tempo stesso, la buona sorte. La salvia è un toccasana per il benessere del corpo. Anticamente, veniva considerata il rimedio per qualsiasi patologia e si pensava addirittura che facesse tornare in vita i trapassati. Tra i punti di forza di questa miracolosa pianta, infatti, spiccava la presunta facoltà di rendere immortali. La mulleina, nome comune del Verbascum Thapsus, è un potente schermo contro la negatività, le forze demoniache e le fatture realizzate tramite la magia nera. I suoi gambi, avvolti in un amalgama di grassi o nella cera, un tempo plasmavano torce denominate “il foglio dei coni della strega”. L’ assenzio romano, invece, ha la funzione di accrescere le capacità psichiche. Gli aromi dell’ alloro, della salvia e della noce moscata sono quelli su cui puntare per la notte di Halloween.

 

 

Per esaltare l’atmosfera avvolgente originata dagli incensi e dal caminetto acceso, non resta che un ultimo dettaglio: una cena a lume di candela. Senza dimenticare che le candele dovrebbero essere rigorosamente tinte di color arancio, una delle tonalità emblematiche di Samhain.

Buon Halloween a tutti!

 

 

 

Buon San Valentino

 

Che sia l’amore tutto ciò che esiste
È ciò che noi sappiamo dell’amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.

(Emily Dickinson)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Epifania di Luce

 

” «Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore. “

Papa Francesco, dall’ Omelia del 6 Gennaio 2014

 

 

 

 

 

 

Immagini: Gentile da Fabriano, “Adorazione dei Magi” (1423), particolari del dipinto. Photo courtesy of Uffizi, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Felice Anno Nuovo

 

Vi auguro un 2021 sfavillante, scoppiettante, pirotecnico, che spazzi via ogni cupezza. Che il nuovo anno sia un anno all’ insegna di un rinnovato fermento, di una ritrovata armonia. Della gioia di vivere messa a dura prova nei mesi scorsi.

Buon 2021 di rinascita a tutti gli habitués di VALIUM, a chi ci legge di tanto in tanto e a chi non ci conosce ancora!

 

 

 

 

 

Buon Natale

 

” Fa bene a momenti tornar bambini, e più che mai a Natale, ch’è una festa istituita da Dio fattosi anch’egli bambino.”
(Charles Dickens)

Vi auguro un Natale sereno, pieno di gioia e di stupore. Un Natale che ammanti il vostro stato d’animo di candore e vi faccia riscoprire quell’ entusiasmo tutto infantile con cui guardavamo a questa festa magica, oggi più che mai all’ insegna del calore familiare.