Florigrafia: i fiori e il loro intrigante linguaggio

 

Che anche i fiori parlino, è risaputo. Il noto slogan “Ditelo con i fiori”, a tal proposito, è indicativo: ogni fiore veicola un messaggio, comunica qualcosa. Si associa, cioè, a un determinato significato simbolico. E attraverso la florigrafia, una disciplina diffusissima nell’ Ottocento, può sostituire le parole tramite l’accezione che viene data al suo colore e alla sua specie. I fiori sono stati collegati a specifici concetti sin dall’ epoca dell’antica Roma: esistevano tipologie di fiori con cui onorare le divinità, allontanare la sfortuna e propiziare la buona sorte. Durante il Medioevo e il Rinascimento, quella consuetudine andò evolvendosi e cominciò a identificarsi con nozioni morali da attribuire a ogni pianta. Il linguaggio dei fiori così come lo conosciamo oggi è stato introdotto in Europa da Mary Wortley Montagu, la consorte dell’ ambasciatore britannico a Costantinopoli. In alcune sue lettere date alle stampe nel 1763, Lady Mary Wortley Montagu raccontava di una tradizione turca denominata “selam”: i turchi, infatti, erano soliti associare una valenza emblematica a svariati fiori e frutti e agli arnesi più disparati. Ciò ha suscitato un immediato interesse nei confronti della suddetta usanza, che nell’età vittoriana ha conosciuto un vero e proprio boom.

 

 

Il linguaggio dei fiori, detto florigrafia, all’epoca iniziava ad essere legato ai sentimenti. Nell’Ottocento hanno cominciato a propagarsi i “flower books”, libri specificamente dedicati a quella disciplina, la cui grafica era un capolavoro di eleganza: incisioni, illustrazioni e litografie impreziosivano ogni pubblicazione, fornendo una sorta di validità scientifica alle convinzioni popolari che circondavano il mondo delle piante. In Europa era esplosa la passione per la florigrafia, e i libri a tema proliferavano letteralmente. Le opere più conosciute rimangono Abécédaire de flore, ou language des fleurs (1811) e Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (1818), che hanno visto la luce rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il volume che ha però raggiunto una fama straordinaria è Les Language des Fleurs di Charlotte de Latour, dato alle stampe nel 1819. Pare che il nome dell’autrice fosse l’alias di Louise Cortambert, moglie di un noto bibliotecario parigino. Del libro, ricco di litografie botaniche ad opera dell’artista Pancrace Bessa, sono state realizzate molteplici ristampe e il successo che ha riscosso è stato enorme.

 

 

Oggi, alla florigrafia non si guarda più con molto interesse. Il linguaggio dei fiori è una disciplina conosciuta solo da pochi esperti. Eppure, soprattutto al momento di regalare un bouquet floreale, parecchi di noi si pongono il quesito del significato di quei fiori: alcuni sono piuttosto noti, altri meno, ma di solito un fioraio è in grado di fugare i nostri dubbi. Le rose, ad esempio, rimangono il fiore più ricco di significati simbolici. In molti sappiamo che la rosa rossa è un emblema di passione, la rosa rosa di amicizia e soavità, la rosa gialla di gelosia e quella bianca di purezza. Del significato di tantissimi altri fiori, invece, purtroppo non tutti sono a conoscenza. Ne cito qualcuno in ordine sparso: la lavanda indica sfiducia, il girasole solarità, il narciso amore non corrisposto, il myosotis (comunemente noto come nontiscordardime) vero amore, il bucaneve speranza, l’orchidea completa dedizione amorosa e il glicine amicizia. Sarebbe bello ricominciare ad appropriarsi delle valenze che si associano a ogni fiore, e iniziare a comunicare attraverso il linguaggio dei fiori tutte le volte che vogliamo: i messaggi sottili e raffinati che la florigrafia veicola risulterebbero, senza dubbio, molto più intriganti di qualsiasi contatto via web.

 

Illustrazioni via Pixabay

 

Ben venga maggio

 

Ben venga maggio
e ‘l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera,
che vuol l’uom s’innamori:
e voi, donzelle, a schiera
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori,
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arbuscelli.
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d’amore il maggio.

Angelo Poliziano, da “Rime” (1454-1494)

 

 

Cottagecore: il ritorno dello stile bucolico

 

La Primavera è la stagione che più gli si addice: non è un caso che il Cottagecore, in questi giorni, sia tornato in grande stile. Il suo ideale estetico esalta la vita rurale, i cari vecchi tempi del fatto a mano contrapposti a quelli della modernità tecnologica. La campagna, in special modo quella inglese, costellata dai suggestivi cottage con tetto di paglia, è lo scenario Cottagecore (e ce lo dice persino il nome) per antonomasia. In campagna si vive a stretto contatto con la natura, assaporando atmosfere idilliache. Si allevano animali, la frutta e la verdura si raccolgono nel proprio orto, si prepara il pane in casa. Il verde si alterna a un tripudio di fiori dai colori incredibili, valorizzando luoghi che sembrano pensati apposta per un picnic. E poi c’è la moda: lo stile Cottagecore è fatto di grandi cappelli di paglia, abiti impalpabili, stampe con pattern floreali, balze, volant e maniche a palloncino. Tutto, dall’ abbigliamento al giardinaggio, è all’insegna della sostenibilità. La lettura è un hobby ampiamente praticato negli ampi spazi aperti; vengono privilegiati libri antichi, preferibilmente volumi di fiabe o trattati di botanica. Culturalmente, le radici del Cottagecore affondano nella poesia pastorale di Teocrito e nelle Bucoliche di Virgilio: opere che inneggiano a una ruralità sognante e fortemente idealizzata. In campagna è possibile evadere dal caos cittadino, apprezzare i vantaggi di una vita all’insegna della semplicità, riscoprire la natura e le sue meraviglie. Durante il Rinascimento, anche autori come il Petrarca, Boccaccio e William Shakespeare si dedicarono al tema bucolico. Alla base c’era l’Arcadia della Grecia antica, il “locus amoenus” per eccellenza della letteratura classica e moderna. Tornando al 2024, ho voluto dedicare una photostory al Cottagecore e alle sue atmosfere: scopritele attraverso le immagini di questo post.

 

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Dal rosso rame al Cowboy Copper: le sfumature dell’hair color di tendenza della stagione fredda

 

Quali tendenze colore per i capelli dell’Autunno Inverno 2023/24? Sicuramente, tonalità sfumate e tridimensionali ma decise, senza vie di mezzo: il biondo sarà scandinavo, il castano cioccolato fondente, il nero gotico e profondo. E il rosso? La nuance più scenografica in assoluto ha già spadroneggiato sulle passerelle dove sfilavano le collezioni dedicate alla stagione fredda. Trionfa il rosso rame, la gradazione che meglio si accorda con quelle, tipiche, che la natura ci regala in questo periodo dell’ anno: rievoca il rosso del foliage, del cielo che al calar del sole si tinge di cromie intense e spiccatamente aranciate.  Al top in classifica si posizionerà il Cowboy Copper, un rosso ottenuto accendendo di sfumature ramate una base molto scura. E’ un colore lucente, ricco di riflessi che virano al caramello, ma se volete osare vi consiglio di provare un rosso Tiziano luminoso e caldo: la tonalità che il pittore veneto utilizzava per dipingere le chiome delle sue dame, imitatissima dalla popolazione femminile del Rinascimento. Il rosso illumina il viso, si accorda a qualsiasi colore degli occhi ed incarnato (tranne che a quello olivastro). E’ teatrale, sbarazzino, catalizza l’attenzione su di sè…L’ideale per chi ha voglia di cambiare o di voltare pagina. E se volete renderlo ancora più spettacolare, provate a schiarire le punte: aggiungerete degli straordinari bagliori dorati alla vostra chioma.

 

 

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Il luogo: la Valle della Loira, tra maestosi castelli, vini pregiati e delizie gastronomiche

 

Per iniziare l’ Autunno con un viaggio iper suggestivo, puntate sulla Valle della Loira: situata nel nord ovest della Francia, è stata decretata Patrimonio dell’ Umanità Unesco nel 2000 ed è cosparsa di incantevoli castelli, borghi caratteristici e splendide città storiche. Il fiume Loira (con i suoi 1006 km il più lungo della Francia), fiancheggiato da distese sconfinate di vigneti, attraversa l’ intera Valle fino a sfociare nell’ Oceano Atlantico. Questo favoloso territorio, denominato “Paesaggio Culturale” dall’ Unesco, combina la straordinaria bellezza dei suoi scenari con una serie di vini e pietanze tipiche a dir poco prelibati; i mesi di Settembre e Ottobre sono gli ideali per degustarli e per lasciarsi ammaliare dallo splendore del foliage del territorio. In realtà, la Valle della Loira è composta da due regioni: nel Centro-Valle della Loira, non lontano da Parigi, sorgono le città di Orléans, Chartres, Bourges, Tours e Blois, mentre i Paesi della Loira, nei paraggi dell’ Oceano Atlantico, ospitano centri abitati come Nantes e Angers. La particolarità più nota della Valle della Loira è senz’altro rappresentata dai Castelli che, superbi e maestosi, si succedono l’uno dopo l’altro. Edificati a partire dal X secolo, complessivamente sono oltre trecento. La natura verdeggiante, la terra fertile e il clima temperato della Valle spronarono i Re di Francia a far costruire lì i propri castelli, e un gran numero di aristocratici seguì il loro esempio. A progettarli venivano chiamati i più prestigiosi architetti e le eccellenze del sapere dell’ epoca (basti pensare che Leonardo Da Vinci lavorò per molto tempo al Castello di Ambois): vivere in un castello sulle rive della Loira o di uno dei suoi affluenti era una sorta di status symbol.

 

 

Nel XVI secolo, quando il Re Francesco I si trasferì a Parigi decretandola centro nevralgico del potere, la nobiltà non abbandonò la Valle della Loira. Nuovi castelli furono costruiti durante tutto il Rinascimento, e molti di quelli già esistenti vennero restaurati. Se all’ inizio i manieri erano semplici fortezze, con il passar del tempo raggiunsero l’ apice della magnificenza architettonica; tra i più celebri risaltano il lussuoso Castello di Chambord, con una monumentale scala a doppia spirale, il Castello di Villandry e i suoi giardini a terrazze, il Castello di Chenonceau o “giardino delle donne”, in quanto gli spazi verdi che lo circondano furono sempre ideati dalle gran dame che lì dimoravano, e il Castello di Cheverny, a cui il fumettista Hergé si ispirò per una delle “Avventure di Tintin”. Nel Castello di Angers, un’ antica fortezza medievale ornata da torri alte 50 metri l’una, viene custodito uno scenografico Arazzo dell’ Apocalisse che sfiora i 104 metri di lunghezza, mentre nel parco del Castello di Valençay si può ammirare il labirinto più vasto di tutta la Francia. Ancora oggi, il riflesso delle pietre di tufo e di ardesia sulle acque della Loira rimanda immagini oniriche, senza tempo. Questa magia è diffusa nella totalità della Valle: per esplorare il territorio al meglio ci si sposta a piedi, in bicicletta o in bagarre, la caratteristica barchetta piatta che solca il “fiume dei Re”.

 

 

La natura rigogliosa e le delizie del gusto, nella Valle della Loira, costituiscono un connubio indissolubile. Qui i vigneti sono a perdita d’occhio e le tipicità enologiche si assaporano in caratteristiche caverne trogloditiche scavate nella roccia. Lungo la Strada dei Vigneti, le porte delle case vinicole sono sempre aperte per i turisti: visite ai laboratori e degustazioni sono all’ ordine del giorno. Questo percorso di ben 1000 km è un assoluto must. I vini della Loria sono eccellenze che i viticoltori vi invitano ad assaggiare e a conoscere anche in virtù della loro storia e della rinomata tradizione vinicola della regione. Il Bourgueil, lo Cheverny, lo Chinon, il Sancerre, il Vouvray, rappresentano solo alcuni dei vini più pregiati della Loira. Rossi pastosi e intensi, bianchi inebrianti, rinfrescanti rosé e vibranti bollicine convivono in un’ armoniosa sinfonia alcolica che comprende un buon numero di “Grand Crus”.

 

 

E la cucina? Un tripudio di leccornie che spaziano dalle andouillettes (caratteristiche salcicce) alle lenticchie verdi, dal pesce della Loira a una squisita selvaggina, da formaggi tipici come il crottin, la pyramide e il formaggio di capra alle tarte Tatin e Pithiviers, con ripieno di mandorle. Gustatele nei pittoreschi bistrot dei villaggi disseminati nella Valle o nei centri storici delle città più famose della regione. Eccone qualcuna da non perdere. A Orléans, dove visse Giovanna D’Arco, la Santa viene omaggiata ogni anno con una sfarzosa festa in stile medievale; imprescindibile anche una visita ai musei e ai suggestivi quartieri antichi della città. Bourges vanta, parimenti, un incantevole intreccio di vicoli su cui si affacciano le tipiche case a graticcio (con la caratteristica intelaiatura in legno, cioè, sulla facciata) risalenti al Medioevo. Tours si contraddistingue per i suoi molti boulevard fiancheggiati da Café di stampo parigino, mentre a Blois sembra che il tempo si sia fermato: sul centro abitato, affacciato sulla Loira ed esaltato dalla magnificenza del suo castello reale, aleggia un’ atmosfera fatata. Ad Amboise Leonardo Da Vinci trascorse i suoi ultimi anni di vita. Chi ama i cavalli adorerà Saumur, patria della Scuola Nazionale di Equitazione Cadre Noir; Angers, la culla degli Angioini, è ricca di monumenti storici e manifestazioni culturali: ospita rinomati festival dedicati al cinema e al teatro. Chinon abbonda invece di vigneti collocati in una cornice idilliaca. Sia Bourges che Chartres, Tours e Orléans, inoltre, sfoggiano le cattedrali gotiche più sublimi dell’ intera Francia.

 

 

Dulcis in fundo, sapevate che dire “Valle della Loira” equivale a dire “jazz”? Se quest’area della Francia potesse avere un sottofondo, sarebbe a base del suddetto genere musicale. I Festival inneggianti all’ arte dei suoni proliferano, in particolare quelli dedicati al Jazz come Jazz en Touraine e Jazz en Val de Cher. Nella zona dei Castelli e laddove svettano le splendide cattedrali gotiche, predominano invece le sonorità classiche: da segnalare manifestazioni di altissimo livello quali il Festival Internazionale d’Organo di Chartres, il Festival di Sully e del Loiret (ma i concerti spaziano anche nel jazz) e il Festival di Musica Rinascimentale del Clos Lucé, un omaggio all’ ultima dimora di Leonardo Da Vinci.

 

 

 

 

La colazione di oggi: la torta di mele, dolce d’Autunno per eccellenza

 

L’ Autunno è dietro l’ angolo: si riscopre il piacere di preparare dolci o quantomeno di mangiarli, anche a colazione. La scelta è ampia, quando cominciano a cadere le prime foglie. Sicuramente, però, la torta di mele vince su tutti. Soprattutto perchè siamo nel pieno della raccolta di questi frutti, che terminerà a fine Ottobre! E poi, perchè la mela è una vera e propria miniera di benessere. Priva di grassi, zuccheri e proteine, contiene sali minerali e vitamine – prevalentemente del gruppo B – in abbondanza: dei toccasana per la salute delle mucose intestinali e orali, ma anche delle unghie e dei capelli. Le fibre di cui la mela è ricca, in più, svolgono una funzione benefica per l’ organismo e l’ intestino, potenziata dall’acido citrico e malico che favoriscono l’ assimilazione del cibo senza intaccare l’ acidità dell’ apparato digerente. A proposito di intestino, è noto che la mela lo regolarizzi grazie alla presenza delle fibre, e in certi casi (se mangiata cruda) si rivela molto utile per sconfiggere la dissenteria. Ma non finisce qui: il fruttosio che abbonda nelle mele contrasta il gonfiore, i polifenoli combattono l’ invecchiamento cellulare causato dai radicali liberi, la pectina diminuisce il livello di colesterolo e protegge l’ apparato cardiovascolare. L’azione congiunta dei flavonoidi, della vitamina C e dell’ acido butirrico prodotto dalla pectina, dal canto suo, oltre a osteggiare i radicali liberi funge da efficace antitumorale. Tra le preziose sostanze contenute nella mela, inoltre, troviamo un’ alta quantità di acqua. Le fibre sono racchiuse soprattutto nella buccia: ecco perchè il famoso “frutto dell’ Eden” dovrebbe essere sempre gustato per intero, senza scartarla.

 

 

Anche quando viene utilizzato per preparare la torta di mele, un dolce che fa bene sia alla salute che alla linea. Anzi, aumentare la quantità di mele comprese tra gli ingredienti non fa altro che diminuire l’ alto tasso di zucchero tipico di questo dessert. Per dare il benvenuto all’ Autunno, non c’è dubbio, la torta di mele è davvero l’ ideale: soffice e deliziosa, sana e digeribilissima. Gustarla a colazione, poi, si rivela il top. Arricchitela con della cannella in polvere nell’ impasto e decoratela con una manciata di mandorle tostate, sarà semplicemente squisita.

 

 

Ma quali sono le origini di questo dolce goloso e profumatissimo che chi di noi leggeva Topolino ricorda come il “dolce di Nonna Papera”? Pare che le sue radici risalgano al 1300, nell’ Europa medievale. Un celebre chef francese dell’ epoca, Guillaume Tirel, citò la “tarte aux pommes” in un suo scritto. La torta, però, conteneva un ripieno di cipolle appassite (oppure del miele) come si usava allora. Nelle cucine dei monasteri la ricetta era presente e il dolce rappresentava un degno assaggio (in tutti i sensi) dei fasti gastronomici che avrebbero caratterizzato il Rinascimento. Tuttavia, la nascita della torta di mele viene generalmente localizzata nel Regno Unito; all’ epoca della colonizzazione dell’ America si diffuse soprattutto nel New England e qualche tempo dopo, ribattezzata American Pie, si tramutò in un dolce cult statunitense. Era un dessert che univa l’ utile al dilettevole, perchè le mele cotte potevano essere consumate anche a distanza di giorni: un particolare rilevante, se pensiamo che quando non esisteva ancora il frigorifero le donne solevano conservare la frutta e gli ortaggi nei più svariati modi. Inizialmente la torta constava di una serie di mele al forno poste su uno strato di impasto, ma nel corso degli anni la ricetta si fece maggiormente elaborata dando origine alla torta di mele odierna.

 

 

La classica “American Apple Pie” è costituita da due strati di pasta con ripieno di mele cotte e viene sormontata dalla panna o dal gelato alla vaniglia. Questo ghiotto dolce ha ottenuto un gradimento tale da proliferare, nelle più disparate versioni, in molti paesi del mondo. Un esempio su tutti? Lo strudel di mele che si prepara in Austria o – per rimanere entro i confini italici – nel Trentino Alto Adige. Nel Bel Paese, invece, la “torta di Nonna Papera” si guarnisce con le mandorle, la marmellata, la crema, il cioccolato e tutto quel che suggerisce la nostra proverbiale fantasia.

 

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice: un Natale sobrio, ma più sfavillante che mai

Un look in red molto natalizio, bombetta e farfallino: il Principe Maurice nel videoclip di  “I think we’d have a good time” di Lorenzo Bosio feat. UNITED ARTISTS

Sarà un Natale particolare, il Natale 2020. Un Natale condizionato dalle regole della “zona gialla” in cui confluiranno le varie “zone rosse” ed “arancioni”, un Natale di restrizioni e limitazioni negli spostamenti. Un Natale senza mercatini, senza party, senza eventi nè veglioni.  Le feste di fine anno, a causa del Covid, si preannunciano sobrie, all’ insegna del binomio “mascherina e distanziamento”. Una domanda sorge spontanea: riuscirà a sopravvivere, l’atmosfera natalizia, a tanti vincoli? La gioia del ritrovarsi, il calore familiare, il gusto di festeggiare torneranno puntuali (seppure in versione “emergenza sanitaria”) o verranno intaccati dalle molteplici proibizioni? Basti pensare che, per evitare assembramenti, persino i classici Happy Hour degli auguri e le cene al ristorante saranno off-limits. Quando incontro il Principe Maurice non posso fare a meno di pensare che le imminenti festività ci priveranno, giocoforza, anche delle sue sfavillanti esibizioni. Ma il Principe è tutt’altro che afflitto: combattivo come sempre, ancora più effervescente del solito, si sta buttando a capofitto in una miriade di nuovi progetti. Tra cui risaltano, in linea con il periodo, gli impegni a tutela dell’arte e degli artisti. Di recente, Maurice è stato infatti nominato Portavoce dei valori culturali e sociali del Silb-Fipe, l’ Associazione Nazionale che riunisce le imprese dell’ intrattenimento serale e notturno, ed è fortemente intenzionato a tenere alta la bandiera dei lavoratori dello spettacolo in questi mesi di incertezze e di profonda crisi. La nostra conversazione, di conseguenza, ha spaziato ad ampio spettro sul tema “Covid”, ma non solo: come ben sapete, il Principe è pieno di sorprese e mi ha raccontato molto altro ancora. Imperdibili, poi, sono i tradizionali (ma non convenzionali) auguri che dedica ai lettori di VALIUM ogni anno in occasione del Natale. Non vi resta che mettervi comodi e leggere con calma questa intervista, magari sorseggiando una squisita cioccolata calda o degustando qualche dolce tipicamente natalizio: per inneggiare a un’atmosfera che con il Principe Maurice, potete starne certi, non va mai perduta!

Eravamo rimasti ai racconti della tua sfolgorante estate e tre mesi dopo ci ritroviamo di nuovo in lockdown o quasi. Come stai vivendo questo “tira e molla” di aperture e di chiusure?

È una situazione frustrante e dannosa sia economicamente che psicologicamente. Il nostro settore è vittima di una vessazione ingiustificabile e inaccettabile. Certo è, l’ho visto con i miei occhi, che alcune gestioni un po’ leggere o impreparate non hanno magari fatto rispettare tutti i protocolli anticovid, ma sono stati episodi sporadici per colpa dei quali si è penalizzato tutto un settore importante dal punto di vista culturale, sociale ed economico per se stesso e per la filiera variegata che ingenera.

 

Il Principe circondato da una fiabesca atmosfera natalizia

So che ti sei impegnato molto, recentemente, per la tutela dei lavoratori dello spettacolo. La diffusione della pandemia, in effetti, li ha penalizzati in modo particolare…

Si, ne ho sentito la necessità e la responsabilità. La mia presenza in discoteca è più sporadica, ma conosco molto bene questo ambiente che è stato il palcoscenico privilegiato del mio Teatro Notturno. Ho sempre voluto conoscere e scambiare esperienze con tutti gli operatori del settore, dai colleghi performer e vocalist ai dj di ogni genere e provenienza, dagli addetti alla sicurezza ai tecnici audio e luci, dai bartender ai camerieri, dai manutentori ai parcheggiatori e agli addetti alle pulizie. Tutti siamo ingranaggi dello stesso meccanismo, se manca solo una rotella non può funzionare al massimo della sua potenzialità e prima o poi si rompe. Il mio concetto di dignità riguarda tutte le categorie, ovviamente anche e sopratutto quelle dei proprietari e gestori virtuosi senza il cui coraggio ed intuito imprenditoriale, filtrato da una direzione artistica confacente, i club italiani non sarebbero stati così di livello. Per via di questo mio ormai trentennale impegno e filosofia il Presidente del Silb-Fipe (l’Associazione che riunisce e tutela la gran parte dei locali nazionali e fa parte di un circuito europeo), Maurizio Pasca con il Direttivo Nazionale hanno deciso di nominarmi “portavoce e testimone dei valori culturali e sociali del nostro ambito nonché membro della Commissione Comunicazione e Organizzazione Eventi della nostra Associazione”, presieduta dalla straordinaria Barbara Zagami. Per me è un grande onore ed onere, in questo delicato momento. Il mio compito consiste nel rilasciare interviste e nel realizzare opere audiovisive per rilanciare il nostro ruolo. Ho già in fieri un cortometraggio molto bello ed importante nato una sera a cena nella mia Ca’ Pier a Venezia dalla comunione di idee con il mio collaboratore di fiducia Simone Fucci, performer col nome Simon the Prince, e l’amico e fotografo Attilio Bruni, un genio incontenibile. Si intitolerà #VUOTODISCENA e sarà interpretato da coloro che ho denominato gli Artisti Interrotti, rappresentanti, appunto, di tutte le categorie che contribuiscono a creare un evento in discoteca; tra questi ci sono protagonisti del mondo della notte e della comunicazione che possiamo considerare veri VIP (per ora top secret). La location prestigiosa e straordinaria in cui verranno girate le scene è il Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, un vero gioiello della seconda metà del ‘700. Vi domanderete: ma cosa c’entra un teatro antico con l’ambiente della notte? Come sempre a me piace partire dalle origini per spiegare il presente e inventare il futuro. Cito, per essere preciso, dal sito del Comune di Castelfranco Veneto: progettato nel 1746 dall’architetto Francesco Maria Preti di Castelfranco Veneto (1701-1774), su commissione della Società degli Accademici e, in particolare, da Jacopo e Giordano Riccati, fu costruito, secondo il progetto pretiano, tra il 1754 e il 1780, ad eccezione della facciata e dell’atrio, aggiunti tra il 1853 e il 1858 su disegni dell’ingegnere Antonio Barea di Castelfranco, autore, nello stesso periodo, anche della ristrutturazione interna, funzionale alla messa di scena di spettacoli operistici. Ceduto dalla Società del Teatro al Comune di Castelfranco Veneto nel 1970 per la simbolica somma di 101.000 lire, fu restaurato dallo stesso Comune tra il 1973 e il 1977 e destinato a sede di eventi culturali (concerti, spettacoli teatrali, convegni, mostre). L’originalità architettonica del Teatro consiste nella sua duplice funzione di sala teatrale per spettacoli e rappresentazioni musicali notturne e di aula per le riunioni diurne degli Accademici.

 

Il Teatro Accademico di Castelfranco Veneto

Entreremo nei dettagli del corto appena possibile in conferenza stampa (alla quale VALIUM sarà invitato), ma sta di fatto che devo assolutamente ringraziare per l’immediata disponibilità l’Amministrazione Comunale di questa bellissima cittadina, circondata da possenti mura medievali, esempio della generosa inventiva della “provincia” che è immenso patrimonio della nostra nazione, in particolare l’Assessore Gianfranco Giovine e il Direttore del Teatro Carlo Simioni (vedi video qui di seguito). Posso comunque dare l’indicazione che la metafora del Teatro della Vita si ritrova in un Teatro di Tradizione che rappresenta sul palcoscenico il Teatro Notturno. Per me sarà un momento magico in cui, finalmente, la mia intuizione di portare il teatro in discoteca chiuderà il cerchio portando il mondo della notte (nella mia visione di qualità) in teatro. L’intento non è quello di protestare ma quello di far capire il valore del nostro operato, frutto di talento, sacrificio, studio, fatica vera,  e il desiderio di riempire di nuovo quel #VUOTODISCENA che si è creato dal 23 febbraio scorso.

 

Al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto con l’ Assessore Gianfranco Giovine e il Direttore del Teatro Carlo Simioni

Un ritratto fotografico di Maurice, emblematico del concetto di “Artisti Interrotti”  e del #VUOTODISCENA che dà il titolo al corto

Quando ci libereremo dall’ incubo Covid, a tuo parere? Serve un antidoto scientifico o un diverso modo di convivere con il virus?

Domanda difficilissima alla luce delle informazioni sia scientifiche che politiche assolutamente contraddittorie e confuse… Si dice e si spera che per la prossima primavera ricominceremo a vedere la luce in fondo al tunnel dello sconforto. La risposta al secondo quesito penso stia in una commistione tra le due riflessioni: avere una buona cura e un vaccino, ma al tempo stesso accettare la “presenza” di questo nuovo virus nella nostra vita sarà importante per ricominciare a vivere con meno ansia e poter sperare in un futuro costruttivo. Nel frattempo, la resilienza e la sopravvivenza vera e propria devono essere le nostre ancore di salvezza anche psicologica.

 

Il Principe insieme al fotografo Attilio Bruni durante un sopralluogo al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto

Veniamo ora alla tua principesca vita. Dove ti trovi attualmente e quali impegni stai portando avanti?

La mia vita è indubbiamente privilegiata per certi versi, ma anche tribolata come per tutti… Sono in una fase di transizione logistica e mentale piuttosto complicata ed impegnativa. Per spiegare meglio voglio fare una citazione: “Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, politici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, sta ora a significare “Guidatore, dacci dentro!”… ma “crisi” non ha necessariamente questo significato. non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa”. (Ivan Illich) . Ecco, sto “asciugando” il mio status per raggiungere un ulteriore livello di essenza, impegnandomi ad amare e proteggere. Tutti i miei progetti sono votati a questa necessità che non è nuova per me, ma è diventata più intensa. Anche dal punto di vista artistico i temi primari saranno questi: AMORE e PROTEZIONE.

 

Ancora uno scatto del Teatro Accademico di Castelfranco Veneto. Da sinistra a destra: il regista del corto Miki Shipperman, il Principe e il Direttore di Produzione della Zoom Production Riccardo Boscato.

In questo periodo l’arte – un potente elemento rigenerante e consolatorio, poiché nutre la nostra anima – è pressochè KO o vive in una dimensione virtuale che poco si confà alla sua natura. Cosa pensi dell’utilizzo del web in questo senso, può davvero costituire un surrogato efficace?

NO! decisamente NO! La dimensione “virtuale” nelle espressioni artistiche non è “virtuosa”. Non c’è paragone tra l’ energia empatica anche solo di vedere un quadro dal vivo e quella di studiarlo al computer. La tecnologia non potrà MAI sostituirsi al valore della personalità e genialità vissuta de visu, e l’unica funzione che posso accettare è che si metta al servizio di una nuova elaborazione scenografica e musicale di spettacoli dal vivo.

Conoscendoti, secondo me neppure durante lo stand by attuale sei rimasto con le mani in mano…Immagino che, oltre al corto, bollano in pentola ulteriori progetti e ghiotte novità. Sarebbe possibile avere qualche anteprima o preferisci rimandare?

Per il momento, data la situazione, non posso anticipare con certezza nessun progetto futuro… State sicuri che molte iniziative “bomba” sono pronte ad esplodere appena possibile e lo saprete per primi… Nel frattempo sono usciti dei videoclip simpatici di auguri fatti in collaborazione con amici e colleghi di cui vi mando i link… “I think we’d have a good time” con United Artists organizzato da Lorenzo Bosio e “Happy day” con lo staff Odissea di Treviso.

 

Il videoclip di “We’d have a good time” di Lorenzo Bosio feat. UNITED ARTISTS

 

Qualche scatto dal backstage del video “We’d have a good time”

Ho notato che quasi tutti, chi più chi meno, tendono a evocare episodi particolarmente felici del passato per alleviare la drammaticità di questi mesi. C’è nostalgia di un tempo in cui eravamo “liberi” e non ci rendevamo conto del reale valore della nostra condizione…Qual è l’episodio che ricordi con maggior gioia, in tal senso?

Non uno in particolare, ma mi manca la frequenza di viaggi che mi facevano definire a ragione “jet-setter”.

Oltre alle ricadute economiche, il Covid rischia di fomentare la depressione e il malessere psichico. Cosa si può fare, a tuo parere, per scongiurare una conseguenza simile?

Non posso prendermi la responsabilità di indicare una soluzione generica… Ognuno vive a modo suo questo dramma esistenziale e deve trovare in sé la forza di reagire. Posso solo consigliare di prendere tutte le precauzioni possibili per scongiurare il contagio, e se arrivasse nonostante tutto pensare che ce la si farà e RESISTERE PER AMORE di se stessi e di chi ci contraccambia. La vera e unica cura di ogni male è l’Amore e anche l’accettazione reattiva (sembra un controsenso, ma pensateci bene…) di quello che  ci succede. A proposito di malessere ti dirò, inoltre, che gli episodi dilaganti di risse improvvise e immotivate tra giovani in tutta Italia mi preoccupano e rattristano molto…Sono sempre stato vicino spiritualmente e mentalmente ai ragazzi e non posso accodarmi al mero biasimo accusatorio a cui sono genericamente sottoposti da una società, in questo caso, molto colpevole. Partendo dalla famiglia, i giovani sono stati trascurati dai genitori e imbottiti di tecnologia (fin da piccoli!) per la mancanza di tempo da dedicare alla loro educazione. Padri e madri “impegnati” e “stanchi” hanno preferito demandare al vuoto cosmico della rete – pericolosissima, perché manipolata dai poteri commerciali – invece di dare affetto, attenzione e disciplina a figli sempre più sensibili ed esigenti. Abbandonarli a se stessi li ha trasformati in branchi annoiati e incontrollati che trovano nella violenza, e non nello scambio solidale, l’unico sfogo alla loro voglia di contatto. Non sono tutti così, ovviamente, ma molti, troppi ormai sono alla deriva. Aver chiuso ogni luogo in cui avrebbero potuto ritrovarsi in allegria, all’ insegna del controllo sanitario e in sintonia con i loro gusti ha dato il colpo di grazia. Parlo dei club, dei bar, dei circoli dell’intrattenimento, ma anche dei laboratori di arti varie e mestieri, fondamento di ogni società civile. Rivendico e urlo a tutti, in particolare ai politici, il nostro ruolo culturale e sociale! Credo fermamente che il nostro ambiente possa essere luogo di divertimento, senz’altro, ma anche e sopratutto di trasmissione di informazioni sulla prevenzione e di fruizione del tempo libero in maniera ludica, creativa e costruttiva. Voglio dire, attraverso VALIUM, che io in primis e tutti gli operatori del nostro settore non vediamo l’ora di accogliere, stimolare e “coccolare” i giovani come meritano perché sono la nostra risorsa, il nostro futuro, la nostra speranza. Molti di loro hanno talento e sono frustrati perchè sono impossibilitati a coltivarlo e ad esprimerlo…I nostri luoghi, quando si riaprirà, saranno aperti anche di giorno affinchè possano prepararsi ad emergere e ad essere se stessi, con le loro aspettative e la loro genialità. Forza ragazzi, non lasciatevi travolgere da “mode” assurde e dalla disperazione violenta, che se esploderà non farà altro che male a tutti! Siate fieri della vostra bellezza e purezza, non fatevi sporcare dalla confusione e dalla falsità della rete (che pure può offrire grandi vantaggi, se usata con testa e realismo). Resistiamo tutti insieme e prepariamoci ad un grande Rinascimento di cui sarete i protagonisti assoluti, con noi al vostro fianco per offrirvi la nostra esperienza e l’ascolto che vi si deve.

 

Un recente ritratto fotografico di Maurice realizzato da Attilio Bruni

Siamo vicini alle vacanze natalizie. Quest’ anno le vivremo in modo diverso dal solito: le disposizioni del Governo inneggiano alla sobrietà. Cosa ti aspetti da questo Natale 2020?

Intimità, calore, condivisione, speranza… nonostante tutto.

L’albero di Natale di Venezia sta facendo molto parlare di sé. “Natale Digitale”, l’opera ideata dall’artista Fabrizio Plessi, vanta 9 metri e mezzo di altezza ed è composto da 80 moduli rettangolari di led wall luminosi: l’intento è quello di instaurare un legame simbolico tra acqua, terra e cielo, emblemi della Serenissima per eccellenza. Tuttavia, pare che a molti veneziani l’albero non piaccia. A loro dire, risulta totalmente inadeguato sia nei confronti di Venezia che del Natale. Qual è il tuo pensiero al riguardo?

A me quell’ opera piace tantissimo. Trovo invece che sia perfettamente in tema con una città che guarda al suo straordinario passato per potersi proiettare nel futuro, ed è un completamento dell’ opera installata (e la cui esposizione è già stata prorogata) sulle finestre del Museo Correr che si chiama Pax Tibi: i moduli riproducono lo stesso scorrere dell’ oro. C’è quindi un po’ tutto il simbolismo di un’era dell’ oro che speriamo possa ritornare. Molti hanno detto che l’ albero  sarebbe stato più adatto come installazione della Biennale. Fabrizio Plessi abita alla Giudecca, ha compiuto 80 anni da poco ed è un artista di fama mondiale; la sua opera è raffinatissima, molto bella, elegante, sobria…Io proprio non capisco perché alcuni veneziani (non tutti) debbano per forza riferirsi alla loro città come a un qualcosa di antico, di filologico, di passato. Come si può competere con la meraviglia dell’ architettura lagunare riproducendo una qualsiasi altra installazione luminosa o albero che dir si voglia? L’ anno scorso era stato allestito un albero conico con delle luci, un pochino più tradizionale: non è piaciuto. Questo, non piace. Da parte dei veneziani c’è la tendenza, ormai pluriennale, a lamentarsi un po’ di tutto. Io sono un fan di Fabrizio Plessi e forse sarò di parte, ma devo dire che a me il suo albero piace tantissimo. Mi piace il suo simbolismo, la sua modernità, la sua concettualità…Penso che sia l’ opera migliore che si potesse installare per fare dei sobri e simbolici auguri in un Natale depauperato da tutta la sua umanità. Quindi si incastra benissimo nel contesto attuale. Prosegue il flusso di Pax Tibi, apre e chiude la piazza con la stessa immagine, bellissima e simbolica. Secondo me è un coronamento artistico ideale riferito al Natale nella forma dell’ albero, ma che poteva avere qualsiasi altra forma.

 

Il controverso albero di Natale di Venezia, “Natale Digitale”: un’ opera dell’ artista Fabrizio Plessi

Come trascorrerai il tuo primo Natale da neo-sposo?

La settimana prossima conto di tornare a Milano e di passare il Natale con mia moglie Flavia Cavalcanti. Se toglieranno il divieto di spostarsi da Comune a Comune andrò volentieri anche a trovare mia sorella, che vive in Brianza. Questo Natale lo voglio trascorrere all’ insegna dell’ intimità familiare. Spero che il veto venga abolito, perchè sarei molto felice di rivedere  mia sorella Lorella,  mio cognato, i miei nipoti e pronipoti. Soprattutto i pronipoti, perché il Natale dei bambini è quello più candido, più dolce e più consolatorio! Noi adulti in questo momento stiamo avendo troppe preoccupazioni, e  poter giocare con i bambini è uno svago meraviglioso. Naturalmente, prendendo tutte le dovute precauzioni!

 

La presentazione di #VUOTODISCENA by #artistiinterrotti, un’ elegante veste grafica per un corto che cattura sia visivamente che nei contenuti

Simone Fucci alias Simon The Prince, collaboratore di fiducia del Principe

Per concludere in bellezza la nostra conversazione, mi piacerebbe che mandassi il consueto – oltre che attesissimo –  messaggio di Auguri di Buon Natale a tutti i lettori di VALIUM e ai tuoi fan più irriducibili. Lascio a te la parola!

Natale è una ricorrenza dolcissima perché pone l’accento sulla NASCITA, che al di là della fede è una magia “divina”. Ecco, pensiamo che purtroppo si muore (il mio pensiero va a chi sta vivendo dolorosamente un lutto), ma anche che si nasce e si guarisce! Non perdiamo mai la speranza. Che il nostro Natale sia semplice, intimo, il più possibile sereno e all’insegna della SOLIDARIETÀ. Cerchiamo vicino a noi chi ha bisogno e aiutiamolo come se fosse un familiare che magari non possiamo raggiungere per regole stupide e assurde che non ce la faccio ad accettare. Ecco, consoliamoci con il fatto che i nostri vicini possono diventare nostro fratello, padre, madre, figlio, e che facendo del bene, regalando loro anche solo un augurio ed un sorriso avremo in cambio tante piccole felicità che, sommate, ci illumineranno come la cometa nella notte troppo buia del periodo che ci troviamo a vivere. Buon Natale di Luce (interiore)!

 

Un Maurice versione “Christmas Time” in compagnia della giovane cantante Emma Mach nello studio di registrazione dell’ Odissea di Spresiano (TV) per la realizzazione degli auguri  musicali dal titolo “Happy Day”

Auguri di Buon Natale e Buone Feste dal Principe Maurice a tutti i lettori di VALIUM!

 

Photos and videos courtesy of Maurizio Agosti

 

 

Il Gucci Garden, uno scrigno fatato nel cuore di Firenze

 

Il suo logo – il Gucci Eye – ricorda l’ “l’occhio che tutto vede”, un elemento che rimanda alla simbologia esoterica di cui sono intrise le collezioni di Alessandro Michele. Perchè a partire dall’ uroboros fino al sole, passando per il quadrupede nero e il serpente con tre teste, Michele ha sempre attinto all’ iconografia alchemica e il Gucci Garden, il multispazio appena inaugurato all’ interno del Palazzo della Mercanzia a Firenze, non poteva non evidenziare un leitmotiv ispirativo che è ormai parte integrante della sua estetica. Lo storico edificio fiorentino è lo location ideale per ospitare l’ universo Gucci in ogni sua sfaccettatura: concepito da Alessandro Michele stesso, distribuisce su tre piani una galleria espositiva, un ristorante e una boutique che traducono la nuova visione della Maison in puro incanto.

 

 

Moda, ispirazione, arte, ricordi, reperti d’archivio, gusto e savoir faire artigianale si fondono in un magico mix che prende il nome da una costante delle creazioni del designer, il giardino, ennesimo emblema dalla forte valenza mistica. L’ iter ha inizio con la Gucci Garden Galleria e più precisamente con una sala, Guccification, interamente all’ insegna della doppia G. Vi trovano spazio espressioni artistiche recenti, come il GucciGhost di Trouble Andrew o i  lavori di Coco Capitain e Jayde Fish.  Gli “hashtag” Guccy, Guccify e Guccification concentrano la quintessenza del brand: Gucci come un’ attitude, che spazia dal look a un modo di porsi di fronte al reale.

 

Guccification

A seguire, un approfondimento dedicato all’ heritage è suddiviso tra le sale Paraphernalia e Cosmorama, che rispettivamente rievocano i codici del marchio, i suoi celebri clienti del jet set e gli elementi araldici presenti nel suo logo. Al di là di spesse tende di velluto rosso, poi, l’ auditorium Cinema da Camera del Gucci Garden è adibito alla proiezione di film e corti sperimentali.

 

Paraphernalia

Cosmorama

L’ avventura prosegue al secondo piano con De Rerum Natura, una panoramica che sviscera in modo museale, quasi “scientifico”, l’ amore di Alessandro Michele per i giardini e gli animali. Ephemera è la sala conclusiva: qui, in un tripudio di video, di oggetti e di ricordi, la storia della Maison Gucci regna sovrana.

 

De Rerum Natura

Cinema da Camera

Ephemera

Il percorso è a dir poco spettacolare, un viaggio tra l’ onirico e il reale che fissa al 1921 il suo anno di partenza. Negli spazi del Gucci Garden si interfacciano passato e presente, vintage e pezzi cult, le più leggendarie creazioni del brand dialogano con gli stili iconici di Tom Ford, Frida Giannini e Alessandro Michele. A curare questa ipnotica galleria è il critico e fashion curator Maria Luisa Frisa, direttore del corso di Laurea in Design della Moda e Arti Multimediali all’ Università IUAV di Venezia.

 

Gucci Osteria di Massimo Bottura

Gucci Boutique

Ma nello scrigno fatato ideato da Alessandro Michele sono racchiuse due ulteriori chicche: la Gucci Osteria di Massimo Bottura, chef tre stelle Michelin, omaggia la Firenze crocevia di scambi culturali del Rinascimento con un menù che spazia dalle delizie locali a quelle internazionali, mentre la Gucci Boutique è un’ oasi delle meraviglie vera e propria. Collocata al piano terra, le pareti dipinte di giallo, al suo interno è possibile rintracciare pezzi unici, tutti assolutamente originali e contrassegnati dall’ esclusivo logo Gucci Garden. Il Bookstore, infine, affianca ai libri un’ ampia scelta di oggettistica rara, memorabilia, pubblicazioni d’antan e d’avanguardia, preziosi paraventi, arredi e prodotti di cartoleria sui generis. Visitare il Gucci Garden si configura come un’ esperienza intrisa di fascino: è penetrare a fondo nell’ immaginario della Maison, lasciarsi contagiare dalla sua creatività, calarsi in magnetiche atmosfere. Senza sottovalutare che la metà del costo del biglietto d’ingresso (8 euro) verrà devoluta agli interventi di restauro nel capoluogo toscano.

Per info: https://www.gucci.com/it/it/

Photo: Gucci