La colazione di oggi: la casetta di pan di zenzero, tra tradizione, arte e gusto

 

Tradizione natalizia tipica della Germania e dell’ Europa del Nord, la casetta di pan di zenzero è diffusissima anche negli Stati Uniti. In tedesco si chiama  Lebkuchenhaus o Pfefferkuchenhaus  e viene considerato il dolce più goloso e conosciuto preparato con il famoso impasto speziato (“pepparkakor” il suo nome in svedese). Ho già parlato di questa pasta biscotto a base di miele, melassa e zucchero di barbabietola aromatizzati con zenzero, cannella e chiodi di garofano (rileggi l’articolo qui), stavolta voglio soffermarmi sulla casetta e sulla sua storia. Prepararla non è molto difficile, sono le decorazioni a renderla un’opera d’arte: la pasta dev’essere compatta, dopodichè si taglia in modo da formare le parti di una casa. I pannelli, una volta cotti, si assemblano delineando la struttura di un’abitazione. Per unirli vengono usati la glassa o lo zucchero fuso; la glassa, ricoperta di zucchero a velo, serve anche a creare l’effetto neve o dettagli specifici del dolce, come le tegole. Confetti, zuccherini colorati e caramelle completano l’opera, dando un aspetto oltremodo invitante alla casetta. Lo zenzero, che ha una lunga durata di conservazione, contribuisce a mantenerla integra per molto tempo.

 

 

La preparazione dell’ impasto si avvale, oltre che del pan di zenzero, di farina, uova, burro, noce moscata e cacao; al fine di rendere la pasta sufficientemente compatta, la si lascia indurire per alcune ore. Con il pan di zenzero si possono realizzare dolcetti dalle forme più disparate: alberi di Natale, stelle, cuori (basti pensare a quelli, tipici, dei mercatini natalizi tedeschi), renne, fiocchi di neve, animali, cavalieri, santi protettori sono ed erano le più diffuse. Questi dolci cominciarono ad essere prodotti in Germania sotto forma di biscotti (i Lebkuchen) tra il XIII e il XIV secolo. Norimberga, in particolare, considerata la “capitale mondiale del pan di zenzero”, divenne celebre per i capolavori artistici che i fornai realizzavano con il pan di zenzero nel 1600. Nel resto d’Europa, la golosissima pasta biscotto arrivò nel XIII secolo. In Svezia il “pepparkakor” venne diffuso dagli immigrati tedeschi, mentre pare che gli omini al pan di zenzero fossero abitualmente preparati alla corte di Elisabetta I Tudor a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

 

 

Nel XVII secolo, produrre dolci al pan di zenzero si tramutò in una professione che rientrava in una corporazione specifica. Le creazioni erano elaboratissime, impreziosite da elementi ornamentali, e coniugavano il gusto con la pura bellezza; a Natale, venivano vendute soprattutto nei mercatini e nelle bancarelle poste in prossimità delle chiese. La produzione “artistica” di pan di zenzero, in Europa, divenne una realtà consolidata nelle città di Norimberga, Lione, Praga, Pest, Torùn e in molti altri centri sparsi tra la Germania, la Polonia e la Repubblica Ceca. Con la massiccia emigrazione tedesca negli Stati Uniti, successivamente, la tradizione invase paesi a stelle e strisce come il Maryland e la Pennsylvania. Ma come nacque l’usanza delle casette al pan di zenzero?

 

 

La loro origine viene fissata a Norimberga, dove tra il 1500 e il 1700 i mercanti erano soliti importare enormi quantità di spezie quali appunto lo zenzero, la cannella, il pepe e le mandorle, mentre l’apicoltura a cui era consacrata la foresta reale garantiva una produzione di miele continua. Secondo una leggenda, la creazione delle prime casette risalirebbe proprio a quell’epoca: un fornaio che viveva nella città tedesca cominciò a prepararle sostituendo la farina con le mandorle per destinarle a sua figlia, affetta da una patologia rara. Secondo gli studiosi, invece, la casette al pan di zenzero vennero prodotte a partire dal 1800: in seguito alla pubblicazione della fiaba “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm, nel 1812, un gran numero di fornai pensò di riprodurre la casa di leccornie con cui la strega attira i due protagonisti. Inutile dire che fu il pan di zenzero a plasmare quelle casette, che prontamente andarono a ruba. Questo dolce si impose durante le festività natalizie, e a tutt’oggi nulla è cambiato.

 

 

Nel 1800, le casette “raggiunsero” anche il Regno Unito: Thomas Hardy le cita in “Jude l’oscuro”, che apparve sotto forma di romanzo nel 1895, mentre nel ricettario “Dinner With Dickens: Recipes Inspired by the Life and Work of Charles Dickens”, uscito non molti anni orsono, la casetta di pan di zenzero è inclusa tra i dolci associati alla vita e all’opera di Dickens.

 

 

Oggi, a Norimberga vengono prodotte annualmente più di 70 milioni di casette. La città tedesca può essere considerata la città simbolo di questo dolce natalizio, che ha ottenuto peraltro il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Tuttavia, la gingerbread house rientra a pieno titolo anche tra le tradizioni natalizie del Nord Europa: il pan di zenzero, ricco di calorie, è un valido aiuto per contrastare le temperature polari della penisola scandinava. Nei paesi in cui la casetta è diffusa, inoltre, la tipicità gioca un ruolo molto importante. In famiglia, nei giorni che precedono il Natale, ci si riunisce tutti insieme per preparare il dolce; in Germania è possibile trovarlo in ogni mercatino nel periodo delle festività. In Svezia, la ricorrenza di Santa Lucia coincide con l’inizio della preparazione delle casette. In determinati luoghi vengono creati dei maestosi villaggi al pan di zenzero: il più grande a livello mondiale è Pepperkakebyen, costruito in Norvegia dagli abitanti di Bergen; notevoli e molto conosciuti sono anche Gingertown, la città di pan di zenzero realizzata a Washington, e il villaggio dell’ Hotel Marriott Marquis di New York, che contiene persino un treno.

 

 

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Il luogo: Copenaghen, per vivere il magico Natale del Grande Nord

 

“Qualunque somiglianza la Danimarca possa presentare con il resto del mondo scompare al tramonto, quando Copenaghen s’illumina. Nel cielo esplodono i fuochi d’artificio del Tivoli. La torre luminosa della Carlsberg risplende come un gigantesco rubino.”

(James Stewart-Gordon)

 

Dove vivere appieno il Natale se non in Scandinavia, nelle innevate lande del Grande Nord? Quest’ anno lo trascorreremo in Danimarca, il secondo paese più felice del mondo in base alla classifica del World Happiness Report. La città che ho scelto è Copenaghen, la capitale danese. Qui morì Hans Christian Andersen, uno dei più noti autori di fiabe. E quest’aura fiabesca sopravvive, in particolare durante le feste, in ogni angolo della città scandinava: non è un caso che Copenaghen venga definita la capitale del Natale. Quando comincia il periodo dell’Avvento, un tripudio di luminarie scintillanti si staglia sullo sfondo del cielo grigio. Le strade e le piazze brulicano di luci, mercatini, Babbi Natale, Nisse dispettosi…annotatevi questo nome (che indica i folletti del folklore nordico), perchè torneremo presto sull’argomento. Nelle vie si insinua il sapore dello zenzero, l’ingrediente principale di tipici biscotti, al’interno dei ristoranti si degusta il menu tradizionale e la Julebryg, una speciale birra scura dedicata al periodo delle feste, abbonda in ogni locale. La stessa Copenaghen, città adagiata sulle isole Selandia e Amager, vanta uno scenario altamente suggestivo che ben si presta ad esaltare la magica atmosfera del Natale. Tant’è che da oltre un secolo, precisamente dal 1904, in Danimarca viene emesso un francobollo natalizio annuale che ha come sfondo la capitale.

 

 

Iniziamo ad esplorare, dunque, la “città delle guglie” danese vestita a festa. L’inaugurazione ufficiale del Natale di Copenaghen coincide con la festa di Santa Lucia: il 13 Dicembre, una spettacolare parata di kayak illuminati invade i canali della città. L’evento prende il via alle 17.00, ora in cui tutte le imbarcazioni, capeggiate da una dove troneggia una giovane biancovestita a simboleggiare Santa Lucia, iniziano un percorso che comprende le zone di Nyhavn, Christianshavn e Højbro Plads. La parata, a cui tutti possono partecipare, si conclude alle 19 nell’antico porto di Nyhavn. La cerimonia è estremamente suggestiva: i canoisti, al baluginio delle candele poste sui kayak, intonano la celebre canzone di Santa Lucia, mentre le sponde dei canali si affollano di gente accorsa per assistere all’evento. Poter ammirare la Copenaghen addobbata e costellata di luci è un vero e proprio privilegio; la città, il porto storico e i suoi canali sprigionano un incanto che non ha eguali.

 

 

Per scoprire la Copenaghen natalizia è d’obbligo visitare lo Strøget, un’area pedonale in pieno centro storico che include la via dello shopping più lunga d’Europa. Lì potrete trovare negozi, boutique, locali, pub e ristoranti di ogni genere e tipo, ma non dimenticate di esplorare le strade contigue: lo Strøget, che a Natale si riempie di luci, ghirlande e antiche melodie, ha un’estensione di circa 100.000 metri quadri. Vi consiglio di fare un salto da Royal Copenaghen, il prestigioso negozio di porcellane danesi, dove è possibile assistere a dimostrazioni di lavorazione della porcellana e gustare deliziosi dolcetti allo zenzero nella pasticceria interna. Nei ristoranti, che proliferano in tutta la zona, non mancate di assaggiare lo Smørrebrød, un sandwich di pane di segale imburrato condito con formaggi, salumi, pesce o carne a volontà; è tassativo, poi, degustare il menu natalizio della tradizione: lo Julefrokost (ovvero “pranzo di Natale“) rappresenta uno degli eventi più attesi nel periodo delle feste. Si tratta di un pasto che può durare dalle 4 alle 8 ore, nel corso delle quali si consumano cibi tipici come il maiale e l’anatra arrosto, le patate al caramello, il cavolo rosso, le aringhe, il prosciutto cotto in gelatina, il patè di fegato, le salcicce e via dicendo, per concludere con il risalamande, un porridge di riso con mandorle tagliate a pezzetti; rinvenire l’unica intera nel proprio piatto è beneaugurale e dà diritto a ricevere un premio.

 

 

Ovunque decidiate di andare, a Copenaghen troverete un’atmosfera festosa e baracchini ad ogni angolo di strada: la città pullula di ambulanti che vendono caldarroste, salmone alla griglia, salsicce, birra, risalamande e il tipico gløgg, un vin brulé scandinavo. A proposito di birra, in Danimarca quella del periodo natalizio è particolarmente rinomata. La cosiddetta “birra di Natale” si chiama Julebryg ed è una birra scura, molto alcolica e aromatizzata la cui distribuzione ha inizio, di solito, il primo venerdì del mese di Novembre: una ricorrenza attesissima che i danesi hanno battezzato J-Dag. La Julebryg viene venduta in carretti posizionati lungo le vie della città ma anche nei locali, dove arriva stipata in sorprendenti calessini. A Copenaghen, una città in cui la causa ambientalista è di primaria importanza, ci si sposta comunemente in bicicletta; la cattedrale di Nostra Signora (Vor Frue Domkirke) non è difficile da raggiungere su due ruote. E’ situata nei pressi dell’Università e nel periodo dell’Avvento chiude i battenti solo in tarda serata. Lì vengono celebrate le messe più suggestive, animate da cori che intonano i canti tipicamente natalizi.

 

 

Nella capitale danese il Natale è molto sentito, si comincia a festeggiare dall’inizio di Dicembre. Questo mese, in Danimarca, è davvero il più magico dell’anno! Se volete assaporarne appieno l’atmosfera, visitate i mercatini: sono sette, dislocati nel cuore della città. Il più grande è quello di Tivoli, il parco più antico del mondo, che vanta oltre 80 espositori: nelle classiche casette di legno, debitamente addobbate a festa, si vendono tipicità culinarie, splendide porcellane, decorazioni natalizie, balocchi e via dicendo. Non va tralasciata una pausa all’insegna del gusto, che vi permetterà di deliziare il palato con le tradizionali aebleskiver (il dolcetto natalizio di cui vi ho parlato qui) accompagnate a un bicchiere di gløgg fumante. Al Tivoli, inoltre, viene organizzato un ricco programma di spettacoli ed eventi. Le grandi giostre sono un divertimento amatissimo da avventori di ogni età; ristoranti, alberghi e una Sala Concerti rappresentano il plus del Parco, dove è presente anche un laghetto e vengono addobbati più di mille alberi di Natale.

 

 

Un altro mercatino da non perdere è quello di Nyhavn, l’antico porto. Qui, tra le luci scintillanti e i tradizionali addobbi di ghirlande, potrete immergervi nella profonda magia che circonda i canali: i bagliori delle luminarie riflessi nell’acqua accentuano il fascino di una zona ricca di caffetterie e ristoranti. A pochi passi di distanza, sulla grande pista di pattinaggio del Broens Gadekøkken, vengono organizzate performance di pattinaggio artistico e tornei di hockey su ghiaccio. Dal 2 al 10 Dicembre, ogni fine settimana è operativo il mercatino che si tiene nel Castello di Kronborg: William Shakespeare ambientò in questa location la sua tragedia “Amleto”. In omaggio al Bardo, nel castello tutte le estati viene organizzato lo Shakespeare Festival, a cui partecipano compagnie teatrali di spicco sia danesi che internazionali. Al termine della via dello shopping più lunga d’Europa, nello Strøget, si trova il mercatino di Kongens Nytorv; è uno dei più grandi della città e propone, tra l’altro, originali souvenir e oggetti da collezione. Notevoli anche gli spettacoli di luci tridimensionali e i numerosi eventi che lo animano. A Højbro Plads si può ammirare un mercatino fitto di alberi di Natale riccamente ornati; molti ambulanti provengono dalla Germania, motivo per cui abbondano specialità culinarie tedesche. In Piazza Nytorv, invece, viene allestito un mercatino che riproduce la fatata atmosfera delle fiabe di Hans Christian Andersen: sono presenti l’autore “in persona” e una miriade di Nisse, i folletti che aiutano lo Julemanden (il Babbo Natale danese) nella produzione e nella consegna dei regali. Parlando di Babbo Natale, è interessante sapere che ogni anno, a Luglio, in Danimarca viene organizzato il World Santa Claus Congress, un meeting di tutti i Santa Claus del globo.

 

 

Mercatini a parte, vi suggerisco di regalarvi l’esperienza di una crociera sui canali o, ancora meglio, di una Christmas Jazz Cruise, dove il percorso viene vivacizzato dai brani tipicamente natalizi eseguiti da una jazz band. Per concludere, qualche curiosità sulle tradizioni del Natale in Danimarca: tra le decorazioni spicca la candela dell’Avvento, adornata con 24 simboli per ciascun giorno del periodo, immagini di abeti e degli immancabili Nisse. Il calendario dell’Avvento è un’altra usanza molto comune. In occasione della Vigilia di Natale, invece, la tradizione vuole che all’esterno della propria casa si esponga un covone di grano destinato agli uccelli. La sera di Vigilia, prima di scartare i regali sotto l’albero (una vera istituzione del Natale danese), si organizza un girotondo e si intonano canti natalizi intorno all’abete. I regali vengono portati da Julemanden insieme alla sua corte di Nisse; a impersonarlo è un uomo della famiglia che indossa il tipico abito rosso di Babbo Natale. Non mi resta che augurarvi un Glædelig jul!

 

 

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La leggenda di Santa Lucia: il 13 Dicembre del folklore

 

 

Santa Lucia diffondeva la luce dei suoi occhi sulla lunga notte del solstizio.
(Martirologio Romano)

 

Arriva Santa Lucia, la Santa della luce: una delle ricorrenze più importanti del periodo dell’Avvento. VALIUM ha sempre trattato questa festa approfonditamente, evidenziandone vari aspetti a partire dalle celebrazioni organizzate in Svezia (rileggi qui l’articolo). Oggi, invece, rimarremo in Italia e ci concentreremo sulla Lucia del folklore. Perchè la Santa, in certe zone del nostro Paese, è una sorta di precorritrice di Babbo Natale. Ma come nasce questa usanza? Le sue origini si radicano in una leggenda. Santa Lucia, dopo la sua morte, viveva una vita tranquilla nei paesaggi idilliaci del Paradiso. Da San Pietro e gli altri Santi venne accolta con tutti gli onori, fece subito molte amicizie. Però, a poco a poco, la sua serenità iniziale si tramutò in tristezza. Quando San Pietro le chiese quale fosse il problema, Lucia rispose che il pensiero dei bambini che vivevano sulla Terra, in particolare i più bisognosi, le dava tanta malinconia. Allora San Pietro le donò una chiave dorata e le disse che, aprendo una porticina, avrebbe potuto vedere tutti i bambini del mondo. Ma dopo averli guardati per un po’, Lucia scoppiò a piangere: sulla Terra c’erano troppi bambini affamati, che pativano il freddo e non avevano giocattoli con cui giocare. San Pietro, quindi, le diede un’altra chiave e le indicò una nuova porta da aprire. Quando la Santa la spalancò, vide un vero e proprio cumulo di giocattoli, dolciumi, coperte e caldi cappotti. San Pietro le spiegò che appartenevano a dei bambini ricchi e capricciosi: dopo un po’, si erano stancati di quei regali e se ne erano sbarazzati. Aggiunse poi che Lucia avrebbe potuto portare tutto ai bambini poveri, ma aveva a disposizione solo quella notte. Lei accettò con gioia, tuttavia raccogliere la roba accumulata nella stanza non era un compito semplice; San Pietro chiamò dunque Castaldo, un giovanotto robusto che aiutò la Santa di buon grado. Ben presto, il carretto di legno che San Pietro si era procurato si riempì di doni. Lucia era pronta, rimaneva da cercare chi avrebbe trainato il carretto. Insieme a Castaldo e a San Pietro, così, sondò gli animali suoi amici. Ma quando chiese se qualcuno di loro era disposto ad aiutarla, ricevette solo risposte negative. Il gatto disse che l’avrebbe aiutata volentieri, ma era troppo piccolo e gli era impossibile trainare il carretto; il cane che era il miglior amico dell’uomo e doveva rimanere al suo fianco, il bue che era troppo lento, il cavallo che il carretto pesava troppo…Lucia, disperata, si mise a piangere. Il tempo a sua disposizione si sarebbe esaurito velocemente e i bambini poveri avrebbero continuato a patire il freddo carichi di tristezza. Improvvisamente, però, si udì un lungo raglio: era arrivato un asinello, che dichiarandosi forte e veloce si offrì di trainare il carretto ricolmo di doni. Lucia ne fu felicissima, lo abbracciò e prese a battere le mani. Da allora, nella notte tra il 12 e il 13 Dicembre, Santa Lucia, Castaldo e l’asinello tornano ogni anno a portare regali ai bimbi buoni.

 

 

La tradizione di Santa Lucia portatrice di doni è diffusa in molte regioni e province dell’ Italia settentrionale: la ritroviamo in Trentino, a Udine e nella sua provincia; in Lombardia Santa Lucia si festeggia nelle province di Brescia, Bergamo, Lodi, Cremona e Mantova, mentre in Veneto il carretto della Santa “arriva” a Verona e nell’area Sud-Ovest della regione. In Emilia Romagna, invece, sono coinvolte le province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Secondo il folklore popolare, la sera del 12 Dicembre Lucia scende dal cielo vestita interamente di bianco, un chiaro emblema di luminosità (non dimentichiamo che, in questo periodo dell’anno, gli antichi popoli celebravano il graduale ritorno della luce). Il carretto ricolmo di doni viene trainato dall’asinello e accanto alla Santa c’è Castaldo, che l’aiuta nella consegna dei regali. L’usanza vuole che sul portone di casa o sul davanzale si lascino biscotti e vin santo per Lucia e fieno e carote, oppure latte, per l’asinello, un animale generoso e umile che aiuta l’uomo nei lavori più pesanti. Quando il carretto percorre le vie dei paesi, Santa Lucia suona un campanellino d’argento: in quel momento i bambini devono essere tutti a letto, altrimenti non riceveranno alcun dono. E a chi non dorme, o rimane sveglio per vederla entrare nella propria casa, la Santa lancerà cenere negli occhi per impedirgli di scorgerla e dimenticarla nel caso l’abbia vista. La conditio sine qua non per ricevere i regali, insomma, è essere un “bravo bambino”. E i bravi bambini vanno a letto presto, ma soprattutto non cercano di spiare il passaggio di Santa Lucia.

 

 

Anche perchè ai bambini che si comportano male, la Santa consegna del carbone anzichè i regali: un dettaglio che rievoca la figura della Befana. C’è un altro particolare importante, legato alla tradizione. La stesura, cioè, di una lettera dove i bambini scrivono l’elenco dei doni che vorrebbero ricevere, con la promessa di tenere, in cambio, un comportamento impeccabile in qualsiasi circostanza. La lettera (che ricorda quelle scritte a Babbo Natale) viene affiancata agli omaggi per la Santa e l’asinello la sera del 12 Dicembre. La mattina dopo, i bambini potranno ammirare i propri doni in tutta la loro magnificenza.

 

 

Le tradizioni che variano di zona in zona mirano a tener viva la leggenda di Santa Lucia, e la onorano in diversi modi. In provincia di Cremona, ad esempio, i bimbi preparano personalmente i biscotti che offrono alla Santa: si mettono al lavoro nel pomeriggio per averli già pronti per la sera. La “strozega”, invece, è una parata che i bambini effettuano in Trentino e nell’area del Garda; mentre avanzano, trascinano una corda a cui sono legati svariati barattoli di latta: un modo per farsi udire da Santa Lucia, che non può vederli essendo priva degli occhi. Questa sfilata viene organizzata ogni 12 Dicembre. Non mancano, poi, le fiere e i mercatini intitolati alla Santa. A Verona, dal 10 al 13 Dicembre si tiene una fiera composta da oltre 300 bancarelle: i Banchetti di Santa Lucia. Tra prodotti dolciari, tipicità gastronomiche, decorazioni natalizie e artigianato locale non mancano le caratteristiche  “frolle” di Santa Lucia, dei biscotti a base di farina, burro e zucchero a forma di stella, albero di Natale, cuore e così via. La sera del 12, tutta la famiglia è coinvolta dall’arrivo della Santa: dopo cena, ognuno mette a tavola un piatto vuoto cosicchè, durante la notte, Lucia lo possa riempire di dolciumi. Anche a Bergamo è in programma un mercatino, dove i profumi e i sapori del Natale danno vita a un appuntamento irrinunciabile; secondo la tradizione, inoltre, i bambini consegnano le loro lettere a Santa Lucia nella chiesa che le è stata dedicata. In molti paesi della provincia di Bergamo, la Santa distribuisce i suoi doni in piazza: i bambini, per riceverli, si riuniscono proprio lì. Questo tipo di evento è generalmente organizzato dai vari Comuni. Com’è ovvio, è impossibile citare qui tutte le iniziative dedicate alla festa del 13 Dicembre; ciò che conta, è cogliere il significato atavico insito nelle celebrazioni di Santa Lucia: la luce che trionfa, seppure impercettibilmente, sul buio; il bene che trionfa sul male. Perchè il giorno che segue alla cosiddetta “notte più lunga dell’anno” assume una profonda valenza simbolica. Da qui l’importanza rivestita dalle candele, emblemi di luminosità per eccellenza insieme alle fiaccole e i falò che si accendono, non a caso, durante il Solstizio d’Inverno.

 

 

Illustrazione di copertina di Jenny Nyström, immagini via Pixabay

 

VALIUM accende le luminarie

 

“I cieli grigi e le luci di dicembre sono la mia idea di gioia segreta.”
(Adam Gopnik)

E’ arrivato il momento di accendere le luminarie! VALIUM, come ogni anno, inaugura il periodo che ci conduce al Natale risplendendo di mille luci simboliche e beneaugurali. Oggi prende ufficialmente il via lo Speciale Natale del blog: d’ora in poi si succederanno articoli che, sia che appartengano alle consuete rubriche o meno, ruoteranno attorno alla festa più magica dell’anno. Ci occuperemo di tradizioni, curiosità, viaggi, libri, usanze natalizie nel mondo, della storia e dell’iconografia del Natale. Senza naturalmente trascurare la moda, il beauty, il make up e tutto ciò che fa brillare, come una frizzante coppa di champagne, l’ultimo mese del calendario. Ma l’incanto di Dicembre, e chi segue VALIUM lo sa già, inizia molto prima del giorno della nascita di Cristo. Le settimane dell’Avvento abbondano di ricorrenze suggestive e celebrate dalla notte dei tempi. Due esempi su tutti? Santa Lucia, il Solstizio d’Inverno…Ne parleremo ancora, anche se da un’angolazione diversa. Rimanete sintonizzati su VALIUM per riscoprire, giorno dopo giorno, il fascino sempiterno del “Christmas Time”: perchè, come Leopardi proclamava ne “Il sabato del villaggio”, l’attesa della festa è essa stessa gioia e felicità.

 

 

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Da Lussi a Santa Lucia: il 13 Dicembre in Scandinavia tra Paganesimo e Cristianesimo

 

“Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia.”
(Proverbio)

 

Oggi festeggiamo Santa Lucia, una delle ricorrenze più importanti dell’Avvento. VALIUM ne ha parlato spesso, focalizzando l’attenzione sulla sua celebrazione in Svezia e sulla storia della “Santa della Luce” (clicca sui due link per rileggere gli articoli). In questo post, invece, approfondirò la matrice pagana della festa. Le location sono ancora una volta le magiche, innevate lande del Nord Europa: in Scandinavia, anticamente, la notte del 13 Dicembre era dedicata a una suggestiva festività dell’ era pre-cristiana. Innanzitutto, va precisato lo scenario in cui tale data si andava a collocare. Per i popoli nordici, Dicembre è il mese più buio dell’anno; l’oscurità fagocita le distese di fitti boschi, i campi, i laghi, i villaggi. Le forme si fanno indistinte. Questo periodo, molti secoli orsono,  veniva identificato con il caos primordiale:  l’ indefinito, le tenebre antecedenti alla creazione. Quando arrivava l’ Inverno, era come se si regredisse a quella condizione. La notte del 13 Dicembre, con il suo buio interminabile, rivestiva una precisa valenza simbolica. Era la più lunga, e quindi la più oscura notte dell’ anno; poteva nascondere insidie e pericoli. In Scandinavia venne battezzata “Lussinatt” o “Langnatt”, ovvero “lunga notte”, e si riteneva che Lussi, una divinità pagana il cui nome significa “luce” poichè era considerata la “Madre del Sole Nuovo”, regnasse su di essa.

 

 

Lussi era anche la madre degli spiriti dell’ Altro Mondo, e la notte del 13 Dicembre soleva volare nelle tenebre con il suo corteo di gnomi, fate, elfi e troll: un seguito sinistro e fantasmatico denominato Lussiferda. Questo particolare connette la figura di Lussi con il mito della Oskoreia, la “Caccia Selvaggia” capeggiata da Odino; imbattersi in una simile processione soprannaturale non era certo di buon auspicio, si rischiava di essere rapiti e trascinati nel Regno dei Morti. Ma anche Lussi e il suo corteo non scherzavano. Quando arrivava la Lussinatt, sorvolavano le case castigando tutti coloro che non si comportavano a dovere. Lussi si calava nei camini per prelevare i bambini malvagi e portarli nel Regno dei Morti, e puniva le famiglie che non adempivano ai preparativi per la festa di Yule. La notte del 13 Dicembre, inoltre, anche gli animali erano dotati del dono della favella: si riteneva che conversassero tra loro e commentassero come venivano trattati dai rispettivi padroni. Ogni istante della Lussinatt, insomma, era intriso di magia. Il motivo è molto semplice. Nel mese di Yule, quando il buio imperversava, cadevano le barriere tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti e delle creature fatate. Un numero illimitato di ombre poteva celarsi nell’ oscurità; incantesimi e pericoli erano in agguato dietro l’angolo.

 

 

Potremmo considerare Lussi la controparte oscura di Santa Lucia. La divinità pagana portava un nome che inneggiava alla luce, eppure regnava sulla notte più lunga dell’ anno; era rappresentata come una vecchia, a metà tra la strega e la maga, ma aveva il compito di concepire l’astro solare, che immergeva in un caldaio e rigenerava grazie al bollore delle fiamme. Queste ambivalenze, in realtà, appaiono frequentemente nel Paganesimo. In quanto Madre del Sole Nuovo, Lussi era anch’essa, come Lucia, una “portatrice di luce”: il suo nome aveva una valenza potentemente simbolica.

 

 

Ma quando avvenne, esattamente, la transizione dal culto di Lussi a quello di Santa Lucia? In Scandinavia il passaggio non fu così rapido. Il Cristianesimo cominciò a diffondersi nell’ anno 1000 in quelle lande nordiche, e tuttavia svariate testimonianze dimostrano che, nel XIII secolo, la figura di Lussi era ancora saldamente ancorata nell’ immaginario collettivo. La venerazione di Santa Lucia, e i riti che a tutt’oggi la contraddistinguono, sono fenomeni che in Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia si affermarono dalla fine del 1800 in poi (in Norvegia, il culto di Lucia di Siracusa prese piede addirittura dopo il secondo conflitto mondiale): prova ne è il fatto che “Santa Lucia”, la celebre canzone napoletana che si accompagna alle celebrazioni nordiche, fu scritta da Teodoro Cottrau nel 1849. Solo nel XX secolo la devozione a Lucia, portatrice di luce e protettrice della vista, si consolidò nella penisola scandinava. Fino a quel momento, soprattutto nelle zone rurali, le tracce delle antiche tradizioni pagane non erano mai scomparse del tutto.

 

 

Lussi e Lucia: due figure agli antipodi accomunate, però, da più d’una caratteristica. La prima è l’essere entrambe “portatrici di luce”. Lussi in quanto artefice del rinnovamento del Sole, Lucia per il suo nome e poichè nel suo sguardo vibrava la luce spirituale del cambiamento e della speranza. Non è un caso che, secondo la leggenda, le furono cavati gli occhi. Ma gli elementi che Lussi e Lucia hanno in comune sono anche altri. Uno di questi è venato di accenti vagamente sinistri, e sembra riportare al clima oscuro della Lussinatt: gli antichi popoli sostenevano che guardare negli occhi le divinità femminili più “tenebrose” (e tra queste rientrava Lussi) portava a conseguenze terribili e irreversibili. Curiosamente, tutto ciò riporta a una credenza relativa a Santa Lucia. Ai bambini si raccomandava di non guardarla, quando passava di casa in casa per consegnare i doni, perchè avrebbe gettato cenere nei loro occhi accecandoli temporaneamente.

 

 

Gli stessi occhi che Lucia conserva in un piattino sono un’ immagine inquietante. Eppure, al tempo stesso, hanno una valenza positiva: emblema di luce, gli occhi giacciono inanimi così come il Sole soccombe all’ oscurità dell’ Inverno. Ma la luce e il Sole rinasceranno a Yule, il giorno del Solstizio, quando il buio comincerà ad arretrare progressivamente. In omaggio al Sole che rinasce, gli svedesi hanno ideato un dessert tipico della festa di Santa Lucia: i Lussekatter, ribattezzati in Italia “Gatti di Santa Lucia”. Si tratta di dolcetti soffici e di un giallo luminoso (come lo è, appunto, il Sole) ottenuto con lo zafferano. La loro forma ad “S” rimanda, non a caso, alla rinascita ciclica del Sole, anche se da molti viene associata alla coda del gatto protagonista di un’antica leggenda sui Lussekatter.

 

 

L’ illustrazione è dell’ artista svedese Gerda Tirén

 

Santa Lucia

 

” Il 13 Dicembre, al mattino presto, quando freddo e oscurità regnavano sulla terra del  Värmland fino ai tempi della mia infanzia, santa Lucia di Siracusa entrava in tutte le case sparse tra le montagne della Norvegia e il fiume Gullspång. Portava ancora, almeno agli occhi dei bambini, una veste bianca di luce di stelle e sui capelli una ghirlanda verde con fiori ardenti di luce, e svegliava sempre chi dormiva con una bevanda calda e profumata che versava dalla sua brocca di rame. Mai mi capitò all’ epoca visione più meravigliosa di quando la porta si apriva e lei entrava nel buio della mia stanza. E vorrei augurarmi che mai smetta di apparire nelle fattorie del Värmland. Perché è lei la luce che sconfigge le tenebre, è la leggenda che vince l’oblio, è quel calore interiore che rende le contrade gelate ammalianti e piene di sole nel cuore dell’inverno. “

Selma  Lagerlöf, da “La leggenda della festa di Santa Lucia” (ne “Il libro di Natale”)

 

La rubrica Le perle di VALIUM si fonde con il post odierno per celebrare la Festa di Santa Lucia, la “Santa della Luce”. Voglio omaggiarla tramite un estratto che ho selezionato da “Il libro del Natale” (1933) di Selma Lagerlöf, scrittrice svedese Premio Nobel per la Letteratura nel 1909. Tra gli otto racconti a tema natalizio in cui Lagerlöf esplora ricordi, atmosfere, fiabe popolari della tradizione scandinava, ne appare infatti uno intitolato “La leggenda della festa di Santa Lucia”. E’ suggestivo e magico, e volevo proporvene il finale. Perchè Santa Lucia è una delle feste dell’ Avvento che mantiene un’ impronta indelebile nell’ immaginario collettivo. Il nome stesso della Santa, che deriva dal latino “Lux” (“luce”), sembra emanare un avvolgente alone luminoso: un dettaglio indicativo, nel periodo in cui le notti si allungano a dismisura. Non è un caso che, anticamente, il 13 Dicembre coincidesse con i festeggiamenti per il Solstizio d’Inverno, giorno più corto dell’ anno ma anche punto di partenza del nuovo ciclo di ascesa del Sole. Dodici mesi fa ho dedicato un approfondimento alle celebrazioni svedesi di Santa Lucia (rileggi qui l’articolo). Il magnetismo sprigionato da questa ricorrenza mi spinge oggi a soffermarmi sulla sua storia e sulle sue leggende in terra italica.

 

 

Dove a Lucia ci si riferisce sempre come a “Santa della Luce”, seppure con motivazioni leggermente diverse. Se nelle lande del Nord Europa il suo bagliore inaugura il primo baluginio di luminosità dell’ Inverno, in Italia viene associato alla vista (nello specifico, a leggende inerenti al sacrificio dei suoi occhi) e al chiarore delle candele che la accompagnava durante l’ operato svolto a sostegno del cristianesimo. Si narra infatti che portasse segretamente i viveri ai cristiani rifugiatisi nelle catacombe per sfuggire alla persecuzione di Diocleziano, e che per farsi strada nel buio li raggiungesse con una corona di candele fissata sul capo. L’ agiografia descrive Lucia come una giovane di nobili origini nata nel 283 d.C. a Siracusa. Profondamente cattolica, Lucia consacrò la sua verginità a Cristo sin da bambina. Era orfana di padre e viveva con la madre, Eutychia, malata da tempo. Dopo un pellegrinaggio al sepolcro di Sant’Agata, che Lucia invocò affinchè la aiutasse a guarire, la donna riacquistò la salute miracolosamente. Sant’ Agata apparve in sogno a Lucia esortandola ad onorare la fede a cui si era votata con tanta dedizione. La giovane donna, quindi, decise di dedicarsi alla carità: rinunciò al suo patrimonio devolvendolo ai bisognosi, dai quali si recava per portare aiuto, e supportava i cristiani perseguitati in seguito all’ editto che Diocleziano emise nel 303 d.C. . Tutto ciò provocò l’ira del promesso sposo di Lucia, un nobile pagano, che si vendicò denunciandola in quanto cristiana e la costrinse a sottoporsi a un processo conclusosi con il martirio della ragazza. Era il 13 Dicembre del 304 d.C.. Secondo alcune leggende, Lucia perse gli occhi quando fu martirizzata, altre raccontano che se li strappò dalle orbite spontaneamente. Altre ancora, che li offrì in sacrificio a un pretendente. Quando glieli donò, posati su un piattino, venne dotata per miracolo di occhi addirittura più splendenti. L’ innamorato, furibondo, pretese che glieli sacrificasse nuovamente, ma al suo rifiuto la uccise pugnalandola al cuore. Nacque in questo modo il culto di Santa Lucia come protettrice degli occhi e della vista. Luce, occhi e vista si uniscono dunque in un affascinante amalgama che rimanda a svariati miti pre-cristiani.

 

 

Alcuni di questi si ricollegano proprio alla tradizione scandinava: pare che ciò sia dovuto ai Longobardi, stanziatisi nel Nord Europa durante il I secolo a.C.. Quando invasero l’ Italia nel 568, diffusero il culto di Lussi (il cui nome significava “luce”), divinità che in Scandinavia regnava sugli spiriti dell’ Aldilà e sul “piccolo popolo” (gnomi, elfi, fate e folletti). Lussi dominava la notte del 13 Dicembre, la più lunga dell’ anno, chiamata “Lussinatt”, ed era solita volare sui tetti seguita da un bizzarro corteo di anime erranti. Puniva i bambini malvagi, che venivano trascinati su per il camino e condotti nel regno dei morti, e le famiglie che non si stavano preparando adeguatamente alla festa di Yule (il Solstizio d’Inverno). In quella notte fatata, si pensava anche che gli animali avessero facoltà di parola.

 

 

Ma Lussi non era l’unica figura ad appartenere a questo patrimonio mitico. Nella Roma Imperiale veniva venerata la dea Lucina, divinità del parto. Lucina, il cui nome (come quello di Lucia) risalirebbe a “Lux” e potrebbe essere tradotto con “colei che porta i bambini verso la luce”, era anche battezzata Candelifera poichè i parti si svolgevano a lume di candela. Un cero votivo, inoltre, veniva acceso dalle partorienti che invocavano la protezione della dea. La festa di Lucina, di conseguenza, era celebrata nel mese di Dicembre, il periodo del “Dies Natalis Solis Invicti”: quando il Sole, cioè, “rinasceva” e il giorno cominciava progressivamente ad allungarsi dal Solstizio d’Inverno in poi.

 

 

Innumerevoli fattori hanno contribuito a combinare la figura di Santa Lucia con quella di Lussi e della dea Lucina. Generalmente, si ritiene che l’ evangelizzazione cristiana in Scandinavia fu determinante nella propagazione della storia della Santa. Tra popoli che sperimentavano tanto spiccatamente il divario tra buio e luce, la martire di Siracusa che squarciava le tenebre con la sua luminosità divenne popolare al punto tale da dar origine a una festa – quella di Santa Lucia, appunto – celebrata sin dagli inizi del Medievo. Ciononostante, moltissimi altri elementi della tradizione pagana e pre-cristiana germanica ebbero il loro peso nel diffondere il culto di Lucia. Il tema della luce che trionfa sul buio, non a caso, è uno dei cardini portanti della ricorrenza di Yule, anticamente salutata con un tripudio di rituali, convivialità e banchetti. Diamo quindi il benvenuto alla giornata di Santa Lucia: la Festa della Luce.

 

 

Foto di Santa Lucia in Svezia (la 2 dall’ alto) di Claudia Gründer, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

La festa di Santa Lucia in Svezia: il trionfo della luce sul profondo buio del Nord

 

In Svezia, prima dell’ avvento del calendario gregoriano, la festa di Santa Lucia coincideva con il Solstizio d’Inverno: era una ricorrenza significativa, che preannunciava il trionfo della luce sul buio imperante. Ma se le celebrazioni furono anticipate al 13 Dicembre, la loro valenza è rimasta inviariata. L’ oscuro e interminabile inverno scandinavo, quella notte, viene squarciato da un tripudio di bagliori. Una giovane donna che impersona Santa Lucia, sfoggiando una corona di candele fiammeggianti, capeggia una processione composta da un gruppo di sue coetanee. Indossano tutte un abito bianco stretto in vita da una fascia rossa, ognuna regge in mano una candela accesa. L’ effetto che sortisce la parata è irresistibile, altamente suggestivo: miriadi di fiammelle baluginano nel buio e i dolci canti delle donne trasportano in un’ atmosfera incantata. La canzone trainante è “Santa Lucia”, l’ antico brano (risale al 1849) scritto a Napoli da Teodoro Cottrau, ma il testo è differente, incentrato sulla vittoria della luce sulle tenebre invernali. Man mano che la processione avanza, il magnetismo che  sprigiona raggiunge il suo apice. Si rimane letteralmente ipnotizzati da quella visione magica, da quel connubio onirico di cori e luci che invade ogni città della Svezia. A Stoccolma la processione attraversa la metropoli fino a raggiungere lo Skansen, il museo all’ aperto, mentre nel Duomo, nello Storkyrkan e nelle chiese del Gamla Stan (la città vecchia) si tengono concerti di Santa Lucia da mattino a sera.

 

 

Ogni particolare della sfilata possiede una forte valenza emblematica: l’abito bianco simboleggia la purezza di Santa Lucia, la fascia rossa il sangue del suo martirio, le candele il fuoco che si rifiutò di divorarla con le sue fiamme, quando fu condannata al rogo. Le stesse candele, tuttavia, rimandano a significati molteplici e sono anche una metafora della luce che sconfigge il buio. Secondo la tradizione svedese, la Santa viaggiava di città in città regalando leccornie ai bimbi. Un’ usanza che non si è persa, a giudicare dalle celebrazioni che hanno preso piede nel 1927: da allora in poi, si è sempre fatto riferimento a queste ultime. Proprio quell’ anno ebbe inizio la consuetudine di eleggere una “Lucia” in ogni centro urbano e una “Lucia” nazionale, selezionata oggi tramite la TV di Stato. Le giovani donne scelte, durante le processioni del 13 Dicembre,  visitano svariati luoghi (piazze, teatri, ospedali, centri commerciali, residenze per anziani, chiese e via dicendo) distribuendo i tipici dolcetti allo zenzero – i Pepparkakor – e intonando i canti tradizionali del Luciadagen.

 

 

Le parate non sono ad appannaggio esclusivo del gentil sesso: anche i ragazzi partecipano, interpretando vari ruoli. Ci sono gli stjärngossar (ragazzi stella), che indossano un cappello conico adornato di stelle color oro, i tomtenissar (gli elfi di Babbo Natale), che illuminano il cammino con le loro lanterne, altri ancora indossano costumi che li tramutano in omini al pan di zenzero viventi.  Ai cori di Sankta Lucia, i “maschietti” alternano canzoni imperniate sulla storia di Santo Stefano (il primo martire cristiano). Ma quando e come nascono, queste tradizioni? Alcuni le fanno risalire ad un’ antica usanza in vigore presso le famiglie protestanti tedesche: il rito del Christkind prevedeva che i doni di Natale venissero distribuiti da eteree donne-angelo. Nel 1700, tra le classi abbienti svedesi cominciò ad imporsi  il Kinken Jesus, probabilmente un’evoluzione di quella consuetudine; la vigilia di Natale, ragazze con il capo incoronato di candele visitavano le case e donavano dolcetti ai più piccoli. Altri studi individuano l’ origine delle celebrazioni di Santa Lucia nei Cantori della Stella, un’ antichissima tradizione svedese: a Natale e nei giorni dell’ Avvento, giovani angeli biancovestiti si esibivano in gorgheggi natalizi nel corso di svariati eventi. Donne in candide vesti e con corone di candele pare che abbiano fatto la loro apparizione, a Santa Lucia, nei dintorni del lago di Vänern alla fine del ‘700. Un secolo dopo, questa usanza si diffuse in molteplici zone della Svezia.

 

 

I festeggiamenti di Santa Lucia, nelle “lande delle nevi” scandinave,  continuano ad esercitare un fascino immenso. La tradizione della Santa che reca in dono luce e bonbon viene perpetrata anche in famiglia, dove la figlia maggiore è solita dare il buongiorno ai propri cari con caffè e dolci caratteristici indossando un abito bianco, una sciarpa rossa e una corona di candele. A proposito di tipicità dolciarie, non si può tralasciare di citare i Lussekatter: queste deliziose focaccine a forma di “S” esaltano il gusto delle uvette e dello zafferano e si accompagnano alla perfezione con del buon Glögg caldo, un vino speziato che ricorda il nostro vin brulé.

 

 

 

 

 

 

 

Foto della processione di Fredrik Magnusson, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons