
Del Carnevale di Venezia, MyVALIUM ha parlato moltissime volte. L’ultima in ordine di tempo, in occasione dell’intervista con il Principe Maurice (rileggi qui l’articolo), storico Gran Cerimoniere e “Casanova” per eccellenza della kermesse. In questo post, invece, vorrei approfondire un aspetto poco conosciuto del Carnevale lagunare, o perlomeno sconosciuto ai più: gli aneddoti storici e tradizionali relativi alla più celebre festa veneziana. Andiamoli subito a scoprire.
Il 1700, l’epoca del massimo splendore

Il XVIII secolo, per il Carnevale di Venezia, può essere considerata un’epoca d’oro: la festa è ormai famosa in tutta Europa e attira migliaia di turisti. Le botteghe dei “mascareri” (i fabbricanti di maschere), così come quelle di costumi, diventano sempre più numerose. I luoghi del Carnevale sono Piazza San Marco, la Riva degli Schiavoni, i campi veneziani. E’ qui che si concentra la miriade di artisti di strada – saltimbanchi, giocolieri, danzatori e musici – che anima la manifestazione, a cui prendono parte anche svariate compagnie teatrali e le maschere della Commedia dell’Arte. Gli spettacoli si susseguono ovunque, all’aperto ma anche nei teatri e nelle antiche dimore, dove, non di rado, raggiungono un alto tasso di licenziosità.
Il codice di condotta delle maschere

Sapevate che le maschere hanno delle norme da seguire? E’ una tradizione antica che prevede regole ben precise. Eccone alcune. Se una maschera viene interpellata da qualcuno che indossa abiti civili, potrà rispondere soltanto a gesti o in impercettibili sussurri. Secoli orsono, infatti, le maschere non potevano comunicare tra loro se non bisbigliando. Questa regola ha anche a che fare con il rispetto che si doveva, e si deve, ad ogni persona in costume: è assolutamente proibito cercare di scoprire chi si cela dietro alla maschera e, di conseguenza, farla parlare. Se le maschere si incontrano, devono salutarsi con un inchino. Chiunque incontrasse una maschera ai tempi d’oro del Carnevale (che dal 1979 è ritornato ai suoi antichi fasti), era tenuto a salutarla con un “Buongiorno, siora maschera!”.
L’usanza degli ovi

Lanciarsi “ovi odoriferi”, durante il Carnevale settecentesco, è di gran moda. Gli ovi non sono altro che gusci ricolmi di profumo, riempiti appositamente dai veneziani. Viene quasi sempre utilizzata l’acqua di rose: la tradizione vuole che i giovani uomini lancino ovi odoriferi alle donne da cui sono attratti, ma ben presto questo “gioco” degenera. Gli ovi cominciano ad essere riempiti di sostanze inaspettate, dall’inchiostro a quelle più repellenti, e tutto volge in burla.
Il medico della peste

E’ la maschera più inquietante e spaventosa del Carnevale di Venezia. Non è un caso che sia rimasta celebre: il lungo becco, il mantello e il copricapo neri, in realtà, sono la divisa storica del medico della peste. Il medico, cioè, che nella Venezia cinquecentesca si recava di casa in casa per curare coloro che avevano contratto il morbo della peste. Il becco, interminabile e voluminoso, veniva riempito di erbe officinali, medicinali e aromatiche allo scopo di proteggere il dottore dall’olezzo dei cadaveri e dal contagio. L’epidemia di peste che si verificò a Venezia tra il 1575 e il 1577 fu terrificante: uccise 50.000 persone, che a quell’epoca rappresentavano un terzo della popolazione lagunare.
La maschera preferita di Giacomo Casanova

Il grande seduttore, ebbene sì, ha una sua maschera (rileggi qui l’articolo in cui parlo delle maschere veneziane) preferita: la bautta. Non c’è da meravigliarsi, dato che si tratta della maschera che più di ogni altra assicura l’anonimato. Il travestimento include un mantello, il cosiddetto tabarro, un cappuccio nero e un cappello tricorno (a tre punte). La maschera che cela il volto, detta larva (dal latino “spettro”), è solitamente bianca o color oro e forma una sorta di triangolo sporgente nella parte inferiore. Ciò permette di bere e di mangiare, ma, in primis, di camuffare la propria voce. E per Casanova, di certo, tutto ciò ha un valore aggiunto: indossa la bautta quando vuole rendersi irriconoscibile, o ammantarsi di mistero in occasione delle sue avventure galanti. Non disdegnando tutti quei vantaggi che il tabarro può offrire…
Chi lavora non festeggia

Nel 1700, durante il Carnevale di Venezia, lavorare è proibito. Si, avete capito bene: a Carnevale, a Venezia, è vietato lavorare. Far baldoria, divertirsi e festeggiare sono invece tassativi. I veneziani credono talmente in questa festa che arrivano perfino ad arrestare chi prosegue la sua attività lavorativa nel periodo carnascialesco. Costui può essere trascinato in chiesa a mò di penitenza o, più spesso, viene obbligato e bere litri e litri di vino prima di essere eletto Re del Carnevale nel giubilo generale.



Foto via Pexels e Unsplash
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