Il Calendario dell’Avvento, un concentrato quotidiano di magia natalizia

 

24 Dicembre, vigilia di Natale: l’ultima finestra, l’ultima casella da aprire, per tutti coloro che hanno acquistato (o ricevuto in regalo) un Calendario dell’Avvento. Ho aspettato fino all’ultimo, prima di parlarvi di questo celebre simbolo del periodo che inizia la quartultima domenica antecedente al Natale e termina la notte di Vigilia. Il Calendario dell’Avvento, scandendo giorno dopo giorno l’attesa per la nascita di Gesù bambino, ci accompagna in un percorso immensamente intriso di magia natalizia. Ma come e quando è sorta questa affascinante tradizione? In genere la si riconduce ai luterani che popolavano la Germania tra l’Ottocento e il Novecento: furono loro i primi a farne uso. In seguito, il Calendario dell’Avvento si diffuse anche presso la popolazione di fede cattolica sia europea che statunitense.

 

 

Il primo Calendario dell’Avvento così come lo intendiamo oggi, fu un’intuizione dell’editore tedesco Gerhard Lang. Era il 1908; fino ad allora, in Germania vigeva la tradizione dei piccoli pacchetti natalizi destinati ai bimbi: venivano scartati l’uno dopo l’altro dal 1 al 25 Dicembre in attesa della Natività. Lang rielaborò questo spunto dandogli una nuova connotazione. Creò un Calendario dell’Avvento di cartone, dalla forma rettangolare, in cui a ogni giorno corrispondeva un’illustrazione diversa. L’anno successivo, perfezionò ulteriormente la sua creazione. Ritagliò tante finestrelle coincidenti con ciascun disegno: celavano angeli, cherubini, il Bambinello, tutti riprodotti in materiale cartaceo, che furono in seguito sostituiti da cioccolatini  e dolcetti natalizi. Lo sfondo raffigurato sul Calendario mostrava dei tipici soggetti dell’Avvento, ma in chiave infantile e deliziosa. Era tutto un tripudio di stelle, angioletti, scene tratte dalla vita di Gesù bambino, Babbi Natale, e poi ancora giocattoli, paesaggi innevati e temi del folklore natalizio. In Germania, intorno al 1920, i Calendari dell’Avvento in cartone cominciarono ad essere richiestissimi. Venivano illustrati con la caratteristica iconografia del Natale e riempiti di leccornie tradizionali del periodo. Fu proprio a quell’epoca che l’usanza del Calendario dell’Avvento si propagò anche al di fuori dei confini tedeschi, dapprima approdando nel Nord Europa e poi in America.

 

 

Con il passar del tempo, il Calendario dell’Avvento subì un’evoluzione inarrestabile. I regimi totalitari lo utilizzarono a fini propagandistici, dopodiché presero piede calendari dalle tipologie più disparate: sacchetti di stoffa numerati, casette di legno, pacchetti realizzati con carta da regalo…Persino gli edifici cittadini, in anni recenti, si sono tramutati in enormi Calendari dell’Avvento: ad ogni finestra corrisponde un giorno. In Europa e in America non è difficile imbattersi in questi calendari viventi; a “travestirsi” sono musei, negozi, scuole, municipi e via dicendo, senza distinzioni di sorta. Lo status di must natalizio per bambini è stato ormai completamente superato. I brand più prestigiosi hanno puntato sul Calendario dell’Avvento per coccolare i consumatori, proponendone ogni anno uno più bello dell’altro. Le sorprese, va da sé, si sono evolute insieme all’oggetto: nelle caselle è possibile trovare prodotti per il make up, chicche di design, candele profumate, gioielli, articoli di cancelleria, attraverso i quali è possibile regalarsi qualcosa quotidianamente. E il conto alla rovescia per il Natale si arricchisce di un ennesimo tocco di incanto…

 

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Dicembre, il look del mese

 

A Dicembre, il look si tinge di rosso: non è un caso che sia il colore del Natale. Un total red fiammeggiante, vibrante e festivo esalta il lungo abito impalpabile e fluttuante. L’abito ha maniche a sbuffo trasparenti e uno scollo profondo sulla schiena; la gonna, ampia e drappeggiata in vita, danza con i movimenti e vanta un accenno di strascico. Questo outfit, straordinariamente scenografico, rievoca la suggestività delle fiabe di Natale. Ma lo fa in chiave moderna: al posto delle scarpette di cristallo, la rutilante principessa indossa un paio di sneakers bianche. Gli elementi che associano il rosso al 25 Dicembre sono molteplici. Nel Medioevo questo colore era considerato regale, un emblema di prosperità. Anche nell’ambito sacro: tant’è vero che la sontuosità del divino veniva cromaticamente tradotta in un connubio di rosso e oro. Il rosso simboleggia anche il sangue di Cristo, il suo supplizio, il sacrificio della sua morte per la redenzione universale. Sin dall’epoca pre-cristiana, inoltre, il rosso è stato legato alla vita e alla fertilità; non a caso rimandava ai riti celebrati a fine anno per propiziare il nuovo raccolto. Il fiore simbolo della Natività non poteva essere che rosso: la Stella di Natale, una pianta ornamentale diffusissima e molto regalata. Nonostante le apparenze, tuttavia, i suoi fiori sono piccoli e gialli; a sfoggiare un vivido scarlatto è la corona di brattee (foglie modificate) che li accompagna.

 

 

Il rosso, abbinato all’oro, è anche il protagonista del make up del mese. La bocca, di un rosso intenso, fa pendant con l’abito; l’oro illumina le palpebre avvalendosi di un finish shimmer e di una texture vellutata. Emblema sempiterno di luce, l’oro viene connesso al sacro sin dalla notte dei tempi. Essendo un metallo incorruttibile, rimane immutabile: non varia né in colore né in lucentezza. Di oro venivano ricoperte le statue, precedentemente costruite in pietra o legno, per garantire la loro inalterabilità. L’oro tra i capelli era un segno distintivo degli imperatori romani, giacché rimandava al divino. I luoghi di culto della Mesopotamia rifulgevano d’oro e di pietre preziose, e che dire dei mosaici bizantini? Le loro tessere dorate sono un tripudio di riflessi vibranti, quasi in movimento. Proporre un look di Dicembre all’insegna del rosso e dell’oro, dunque, può essere una scelta tutto fuorchè banale: i significati intrinseci di questi due colori li rendono perfetti per esprimere sia l’aspetto sacro che profano che contraddistingue l’ultimo mese dell’anno.

 

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Il mare, il turchese e la libertà

 

Uomo libero, amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio: tu contempli l’anima tua
nell’infinito muoversi dell’onda
E il tuo spirito non è abisso meno amaro.

(Charles Baudelaire, dalla poesia “L’uomo e il mare”)

 

Che mare e libertà vengano perennemente associati, non è una novità. Il senso d’infinito che ispira in noi la distesa marina, il suo insondabile orizzonte, le forme mutevoli delle sue onde, instaurano un legame indissolubile tra l’immensa massa d’acqua e il concetto di emancipazione. Il mare può essere anche crudele, imprevedibile, ma non importa: quegli spazi smisurati ci fanno sognare. Ci fanno pensare di poter prendere il largo e andare altrove, solcando il blu sconfinato per un numero imprecisato di giorni. Ritorneremo presto sull’argomento. Intanto, possiamo tramutare il colore del mare in un prezioso dettaglio di stile: tra le sue svariate nuance, la più ammaliante è sicuramente il turchese. Sceglietela per dipingervi le unghie, sarà un rimando simbolico al mare e alla sua valenza di libertà.

 

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Verso il Solstizio d’Estate

 

Manca solo un giorno al Solstizio d’Estate, il giorno più lungo dell’anno. Assisteremo al trionfo del Sole, che regnerà incontrastato per quindici ore, ma anche la notte ci riserverà delle sorprese irresistibili: Giugno è il mese migliore per osservare la Via Lattea, e il 22 farà il suo ingresso una splendida luna piena, la Luna delle Fragole. Anche la moda si rende partecipe di questo magnifico spettacolo naturale. Ed è così che all’ oro, colore-simbolo del Solstizio, affianca un argento lunare e un rosso che inneggia al tramonto, momento di congiunzione tra notte e giorno. Ho scelto alcuni look a tema dalle collezioni Primavera Estate 2024.

 

Genny

Blumarine

Elisabetta Franchi

Vivienne Westwood

Coperni

Chloé

N.21

Alberta Ferretti

Peter Do

Escorpion

Maitrepierre

 

Le uova colorate: un’antica tradizione pasquale tra leggenda, simbologia e sacralità

 

L’uovo è il simbolo pasquale per eccellenza. Sin da tempi remotissimi ha rappresentato la vita, il cardine dei quattro elementi, la fertilità, la rinascita. Regalare uova in occasione dell’arrivo della Primavera era una tradizione diffusa tra molti antichi popoli pagani. I Persiani, così come gli Egizi, i Greci e i Cinesi solevano scambiarsi uova di gallina per festeggiare la rinascita della natura, e non era raro che si trattasse di uova decorate manualmente. Con l’avvento del Cristianesimo, questa simbologia venne sostituita da quella prettamente associata alla Resurrezione: in Mesopotamia, tra i cristiani era d’uso donarsi uova tinte di rosso per rievocare il sangue di Cristo Crocifisso. La Chiesa Cattolica considerava l’uovo un emblema perfetto del Cristo che risorge. Esternamente, infatti, l’uovo somiglia alla pietra di un sepolcro, è freddo e inanimato; al suo interno, invece, germoglia la vita. Con questo significato, nel Medioevo, le uova si tramutarono in un tradizionale dono pasquale. Ma come ebbe inizio l’usanza di colorarle? Per tingerle delle tonalità più svariate, era comune farle bollire avvolte in delle foglie o insieme ai petali di certi fiori.

 

 

Tra i ceti aristocratici, nello stesso periodo storico, era molto in voga regalare uova interamente costruite in oro, platino o argento, oppure rivestite di questi metalli preziosi. Il popolo, tuttavia, adottò l’abitudine di colorare le uova anche per ragioni pratiche: durante la Quaresima, infatti, quando era proibito mangiare carne e prodotti di origine animale, le famiglie usavano bollire le uova per conservarle fino alla fine del digiuno; tingerle di vari colori si rivelava utile ai fini di distinguerle dalle uova crude. Tornando alla tradizione pasquale, le tonalità tipiche erano il giallo, il rosso, il marrone, il verde e il nero, che era possibile ottenere tramite coloranti naturali. Nei paesi dei Balcani e ortodossi, la millenaria usanza delle uova colorate è giunta fino ad oggi. Le uova, bollite, sono rosse a simboleggiare la Passione, ma di recente sono state introdotte anche altre cromie. Il pasto viene poi consumato a Pasqua e Pasquetta. Parlando di uova rosse, è interessante sapere che in Primavera, nella Roma antica, era abitudine sotterrarle nei campi affinchè fossero di buon auspicio per il raccolto. Esiste anche una leggenda, riguardante le uova tinte di questo colore.

 

 

Si narra che Maria Maddalena, quando scoprì che Cristo era risorto, corse a dare la bella notizia a tutti i suoi discepoli. Nessuno di loro, però, prestò fede alle parole della donna, e Pietro le disse che l’avrebbe creduta solo se le uova che portava con sè in un cestello si sarebbero tinte di rosso. Così avvenne: come per miracolo, tutte le uova di Maria Maddalena diventarono rosse in un batter d’occhio.

 

 

Oggigiorno, con la supremazia delle uova di cioccolato, la tradizione delle uova di gallina colorate è sempre viva, anche se un po’ in ribasso. Negli stati di fede ortodossa, tuttavia, permane in tutto il suo fulgore originario: le uova sode, tinte con coloranti alimentari, in questi paesi rappresentano un po’ una risposta al boom dell’uovo di cioccolato, che viene generalmente associato a connotazioni più consumistiche.

 

Foto di Roman Odintsov via Pexels

 

Quando la mimosa diventò il fiore simbolo dell’8 Marzo

 

Andavo a San Jeronimo
verso il porto
quasi addormentato
quando
dall’inverno
una montagna
di luce gialla,
una torre fiorita
spuntò sulla strada e tutto
si riempì di profumo.
Era una mimosa.
(Pablo Neruda, “Mimosa”)
La Giornata Internazionale della Donna e l’ Acacia Dealbata, in Italia, sono un tutt’uno. Questa pianta, meglio conosciuta con il nome di mimosa, appartiene alla famiglia delle Fabaceae e sfoggia una nuvola di fiori gialli, a grappoli e profumatissimi. Ma come è diventata il fiore simbolo dell’8 Marzo? Tutto ebbe origine nel secondo dopoguerra. La Festa della Donna, nel nostro paese, divenne una ricorrenza a partire dal 1946 e si cominciò a cercare un fiore che potesse rappresentarla. Inizialmente fu proposta la violetta, un’icona della sinistra europea. L’idea non incontrò però il favore di diversi dirigenti del Partito Comunista: la violetta, a loro avviso, era un fiore troppo dispendioso e neppure così presente sul territorio italiano. La soluzione arrivò per caso, del tutto all’improvviso. Due donne appartenenti all’UDI, Unione Donne Italiane, un giorno si imbatterono in un albero, l’Acacia Dealbata, che ostentava una chioma di magnifici fiori gialli. Teresa Mattei e Rita Montagnana, questi i nomi delle donne in questione, erano entrambe antifasciste. La prima era stata attivamente coinvolta nella lotta partigiana; la seconda, oltre ad aver fondato l’UDI, militava nel PCI. Insieme a Teresa Noce, annoverata tra i fondatori del partito, Mattei e Montagnana furono le più convinte sostenitrici della scelta della mimosa come simbolo dell’ 8 Marzo. E proprio Teresa Mattei appoggiò fortemente quest’opzione: la mimosa era un fiore modesto ma bellissimo, luminoso, molto diffuso nelle campagne, e i partigiani, durante la guerra, usavano regalarlo alle staffette.
Da allora, in Italia, la Festa della Donna è stata associata indissolubilmente a questo fiore di un giallo brillante. Molti altri elementi contribuirono a motivare la sua scelta: secondo la florigrafia, ovvero il linguaggio dei fiori, la mimosa è un emblema di forza, autonomia e sensibilità femminile; incarna un’idea di libertà ed emancipazione. In più, fiorisce poche settimane prima dell’8 Marzo e cresce spontanea un po’ ovunque, laddove il clima lo permette. E’ estremamente facile, quindi, reperire un mazzo di mimose da regalare a un’amica, una compagna, una madre o una collega (per fare solo qualche esempio) senza spendere troppo. E poi, non va dimenticato che è un fiore solare, particolarissimo, vibrante…molto scenografico.

Rose rosse a San Valentino

 

Il mio bacio ha il fiato delle rose rosse,
petalo che si scioglie sulla bocca.
(Sergej Esenin)

 

Se pensiamo ai simboli di San Valentino, quelli che ci vengono in mente per primi sono il cuore e le rose rosse. Già, ma perchè le rose, e perchè proprio le rose rosse? Il motivo affonda le sue radici nella notte dei tempi. La rosa rossa era il fiore prediletto da Venere, per i Greci Afrodite, la dea della bellezza, della fecondità, dell’amore e della potenza dell’eros. Già in epoche antichissime, quindi, la rosa rossa veniva associata agli innamorati e considerata un loro emblema. Ma il fiore tanto amato dalla dea, molti secoli dopo, entra anche a far parte di una leggenda che ha come protagonista San Valentino. Si narra che, mentre il Santo era impegnato nella cura del suo giardino, udì una coppia litigare furiosamente. Questo fatto lo colpì a tal punto che decise di intervenire: colse una rosa rossa e la posò tra le mani dei due innamorati, stando molto attento affinchè non fossero punti dalle sue spine. I fidanzati smisero immediatamente di bisticciare e pregarono San Valentino di benedire la loro coppia. Da allora, vissero in armonia per tutta la vita.

 

 

Il galateo dei fiori prevede per le rose delle regole ben precise; a seconda del loro colore e del numero compreso nel bouquet, infatti, trasmettono un messaggio completamente diverso. Cominciamo col dire che la rosa rossa rappresenta l’amore romantico e la passione.  Innanzitutto, il numero di rose che compone il bouquet dev’essere rigorosamente dispari. Esiste un’eccezione: il mazzo di dodici rose è perfetto così com’è, dato che ognuna è l’emblema di un mese dell’anno e svela il desiderio di passare il resto della vita insieme. Il linguaggio dei fiori stabilisce poi che regalare un’unica rosa rossa (ma priva di spine) indica un colpo di fulmine, e scongiura l’eventualità di spezzare il cuore.  Donare tre rose è un modo per comunicare il proprio amore, mentre un mazzo di cinque denota un amore all’apice della sua intensità. Sette rose sono un simbolo di possesso, dicono “ti voglio tutt* per me”. Nove rose rappresentano una coppia che basta a se stessa, dichiarano “io e te siamo il mondo intero”, undici sottolineano l’amabilità del partner. Dopo un litigio, si regalano quindici rose rosse per chiedere perdono; trentatré rose o, ancor meglio, centouno, significano che l’amore è ben saldo e rimarrà eterno.

 

 

E chi sceglie di trasmettere un messaggio pur senza buttarsi a capofitto in una relazione amorosa, quali possibilità ha? Può senza dubbio optare per rose in colori diversi dal rosso. Ad esempio, la rosa bianca simboleggia l’amore platonico; la rosa gialla la volontà di tramutare un’amicizia in amore, oppure rappresenta la gelosia; la rosa blu è un invito a scoprire il messaggio che si cela dietro il suo dono, la rosa rosa esprime ammirazione, omaggia il fascino di qualcuno. E voi, avete già pensato alle rose che vi piacerebbe ricevere o regalare a San Valentino?

 

 

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Argento di Natale

Christian Cowan

E’ il colore simbolo della Luna ed è da sempre associato al femminile. Ma l’argento viene considerato anche un emblema della spiritualità: purezza, umiltà, verginità, verità e giustizia sono solo alcune delle doti a cui si ricollega. Con i suoi bagliori freddi, ma luminosissimi, sembra rimandare all’Inverno, allo scintillio del ghiaccio, alle perlescenze della neve…Tra le virtù sociali che simboleggia troviamo l’amicizia, la gentilezza e la sincerità. Probabilmente è diventato un tipico colore del Natale per le qualità interiori che rappresenta. La moda dell’ Autunno Inverno 2023/24, poi, ha sancito il suo trionfo. L’argento ricorre quasi in ogni collezione, e non stupisce: è l’unica cromia in grado di emanare una splendida, magnetica allure lunare.

 

Nathalie Chandler

Yolancris

Bibhu Mohapatra

Coperni

Isabel Marant

Alberta Ferretti

Balenciaga

Abra

Lebor Gabala

Lili Blanc

Blumarine

Menchen Thomas

 

 

La cornucopia: storia, leggende e miti legati al “corno dell’abbondanza”

Carel Van Savoyen, “Un’ allegoria dell’abbondanza” (1651)

Che cos’è la cornucopia? Considerata un emblema dell’iconografia autunnale, oggi è perlopiù associata al Giorno del Ringraziamento che si celebra in America. Le sue origini, in realtà, sono antichissime ed affondano le radici nel Vecchio Continente. “Cornucopia” è un nome che deriva dall’ unione dei termini latini “cornu”, “corno”, e “copia”, “abbondanza”: questo corno dell’abbondanza, non a caso, viene raffigurato come un grande cono che strabocca di frutta, fiori, verdura o monete d’oro. La simbologia, evidente, rimanda alla fertilità della terra, ai doni del raccolto, e al tempo stesso alla fortuna. Perchè la fortuna è la “condicio sine qua non” per ottenere un ricco raccolto. E se la nascita della cornucopia viene generalmente fatta risalire alla mitologia greca, non sono pochi gli studiosi che la ricollegano ad un periodo antecedente alla civiltà ellenica: una dea italica, la dea Abundantia, aveva infatti come simbolo una cornucopia che la accompagna in tutte le sue rappresentazioni. Abundantia era la dea che dava vita e nutrimento ad ogni creatura vivente, ma anche la dea della fortuna e della prosperità. Il suo aspetto era quello di una giovane donna con una corona di fiori sul capo e un mantello verde impreziosito da decori floreali color oro. Regge nella mano destra una cornucopia ricolma di frutta e nella sinistra un mazzo di spighe. L’enorme corno dell’abbondanza rimanda al corno degli animali dai quali si ricava il latte: i bovini e i caprini, all’epoca, fornivano un prezioso mezzo di sostentamento.

 

Jan Bruegel, “Allegoria dell’ abbondanza” (XVII sec.)

Ma Abundantia era anche una dea lunare, il cui corno simboleggiava il corno della Luna, e in quanto tale era dotata di un ricco patrimonio interiore; regnava sul mondo dei vivi e su quello dei morti, ecco perchè in molte opere viene ritratta con una cornucopia vuota. Capace di dare la vita così come la morte, la dea proteggeva gli antenati delle famiglie romane. Gli spiriti protettori degli antenati, infatti, i cosiddetti Lari, sono raffigurati con una cornucopia in mano proprio come la dea Abundantia. La dea, inoltre, propiziava il benessere economico familiare e la conclusione di affari redditizi e vantaggiosi, da qui la miriade di monete che straripano dal suo corno. Con il passar degli anni, la figura di Abundantia venne assorbita da svariate dee del Pantheon romano, su tutte la dea Fortuna (divinità del Caso e del Destino). La dea Fortuna e i Lari erano figure veneratissime nell’ antica Roma:  vegliavano sulla gens e favorivano la sua prosperità. Agli spiriti protettori degli antenati si dedicava addirittura un larario, una sorta di sacrario domestico. Tuttavia, va detto che la cornucopia non era un’esclusiva della dea Abundantia o della dea Fortuna. Anche Cerere (divinità delle messi e dei raccolti), Tellus (divinità della Terra) e Proserpina (dea dell’ agricoltura e dell’ oltretomba) venivano associate al corno dell’ abbondanza: ciò costutuiva l’emblema della loro natura trina, che inglobava cioè cielo, terra e inferi. La madre di tutti gli dei e delle creature viventi, come abbiamo già visto, aveva il potere di dare la vita ma anche di toglierla.

 

Noel Coypel, “L’abbondanza” (1700 ca.)

Passiamo ora alla mitologia greca, dove le origini della cornucopia si intrecciano a due suggestive leggende. La prima vede protagonista Zeus, ovvero Giove, re e padre di tutti gli dei dell’ Olimpo. Zeus nacque dall’unione dei Titani Crono e Rea. Crono, suo padre, un giorno ebbe una premonizione: in futuro, uno dei suoi figli l’avrebbe spodestato. Così, decise di divorare la sua prole per impedire che si verificasse l’evento che tanto temeva. Rea, però, scoprì il piano di Crono e riuscì a nascondere Zeus in una grotta dell’ isola di Creta. Lì lo lasciò con Amaltheia, una capra che lo crebbe e lo nutrì con il suo latte. Esistono versioni della leggenda secondo cui Amaltheia sarebbe invece stata la ninfa proprietaria della capretta che allattò Giove. Figlia del Titano Oceano, la ninfa utilizzava uno dei corni dell’animale per nutrire Zeus: lo riempiva di frutta, miele, latte e tutto ciò che serviva per sostentare il piccolo figlio di Crono. La leggenda vuole che quando Giove crebbe, e divenne il re degli Olimpi, volle dimostrare la propria gratitudine alla capra innalzandola nel cielo con il suo corno e dando origine alla costellazione del Capricorno (da “caprum”, capra, e “cornu”, corno). L’altra versione del racconto narra invece che Zeus, una volta cresciuto, staccò un corno della capretta e lo dotò di poteri straordinari: bastava esprimere un desiderio e si sarebbe riempito di tutto ciò che veniva anelato. Ecco quindi come nacque la cornucopia, il corno dell’ abbondanza, per la mitologia greca. Ma esiste una seconda leggenda sulla sua genesi.

 

Frans Snyders, “Cerere e Pan” (1615-1620 ca.)

Acheloo, divinità fluviale greca, aspirava a sposare Deianira, la bellissima figlia di Eneo, il re degli Etoli. Ma anche Eracle, nato da Zeus e Alcmena, aveva chiesto la sua mano. Tra i due pretendenti scoppiò una lotta senza esclusione di colpi; Eneo annunciò quindi avrebbe dato Deianira in sposa al vincitore dello scontro. Acheloo e Eracle combatterono furiosamente: Acheloo, essendo un dio, approfittò delle sue doti trasformandosi dapprima in un serpente, poi in un drago, infine in un uomo con la testa di bue. Ma fu proprio grazie a quest’ultima metamorfosi che Eracle ebbe la meglio. Quando Acheloo si scagliò contro di lui per trafiggerlo con le sue corna, Eracle le afferrò e gliene strappò una. Acheloo cadde a terra stremato, la lotta era stata vinta dal figlio di Zeus. Vedendo il corno a terra, le Naiadi (ninfe delle acque) corsero a raccoglierlo e lo riempirono di frutta, fiori e ogni ben di Dio. Da quel momento in poi, il corno divenne sacro e fu considerato un simbolo di abbondanza: era nata la cornucopia.

 

Jan Bruegel Il Vecchio, “Le ninfe riempiono la cornucopia” (1615)

Gki emblemi a cui è legata la cornucopia, vale a dire la fertilità, la prosperità e l’abbondanza, rimangono più o meno gli stessi in tutte le civiltà che l’hanno adottata. Gli antichi Celti la scolpirono su una statuetta che raffigurava Epona, dea dei muli e dei cavalli, ma anche tra le mani di Olloudious, un dio che i Romani equipararono a Marte. Pare che per le popolazioni celtiche la cornucopia si associasse anche alla guarigione, mentre i persiani la collegavano alle offerte sacrificali con le quali i re omaggiavano dei. Ovidio nomina la cornucopia nelle “Metamorfosi”, il suo capolavoro, citando la leggenda di Eracle (ribattezzato Ercole dai Romani) e Acheloo. A Roma, intorno al II secolo d.C., la cornucopia rimandava prevalentemente alla dea Fortuna e ai Lari. Nel Medioevo, invece, il corno dell’ abbondanza si arricchì di un’ ulteriore valenza: l’onore. Ovvero l’abbondanza combinata con il prestigio e con il valore. In una miniatura dell’ Evangelario di Ottone III risalente all’anno 1000, quattro personificazioni delle province imperiali omaggiano Ottone III, Imperatore del Sacro Romano Impero, con preziosi doni. Inutile dire che tra essi spicca una cornucopia.

 

Evangelario di Ottone III, miniatura della scuola di Reichenau (1000 ca.)

Durante il Medioevo, dunque, l’accezione di abbondanza a cui rimanda la cornucopia si amplia, fondendosi a doppio filo con il lustro delle persone e dei luoghi. Non sono rare, infatti, le personificazioni di città, aree geografiche ed elementi naturali ritratte accanto ad una cornucopia; da allora, il corno dell’abbondanza appare di frequente nella simbologia araldica e lo ritroviamo persino sulle bandiere di determinati stati, uno dei quali è il Perù. Oggi la cornucopia viene associata soprattutto al Thanksgiving Day degli USA e del Canada. Il perchè è evidente: questa festa celebra l’abbondanza del raccolto dell’anno precedente e le sue benedizioni. La cornucopia, di conseguenza, quel giorno fa bella mostra di sè accanto al tacchino, alle patate dolci, alla salsa di mirtilli e alla torta di zucca. Naturalmente, è colma di frutta e verdura di stagione: zucche, uva, fichi, mele, noci, pere, granturco, cavolfiori…Cosa simboleggia, ormai lo sapete a memoria. E voi, quando inserirete la cornucopia tra le vostre decorazioni autunnali?

 

La cornucopia, imprescindibile sulla tavola del Thanksgiving

Pietro Paolo Rubens, “Cerere e due ninfe” (1624)

Dettaglio del Salone dell’Abbondanza alla Reggia di Versailles

Maarten de Vos, “Abbondanza” (1584)

Luca Giordano, “Maria Anna di Neuberg, regina di Spagna, a cavallo” (1693-94)

Jan Bruegel Il Giovane, “Allegoria dell’ Abbondanza” (1625)

Jan van Kessel Il Vecchio, “I quattro continenti: Europa” (XVII sec.)

Pietro Paolo Rubens, “L’unione di Terra e Acqua” (1618 ca.)

Una cornucopia contemporanea

Agnolo Bronzino, “Allegoria della Felicità” (1564)

 

Immagini dei dipinti (Public Domain) via Wikimedia Commons

 

Rosso d’Autunno

 

Rosso e biondo ghiaccio: due tonalità vincenti dell’Autunno Inverno 2023/24. Il primo è uno dei colori di tendenza per il look e per il make up, sebbene in quest’ultimo caso viri verso toni più profondi, come il ruggine e il burgundy. Ma a me piace immaginarlo anche così, in perfetto pendant con il rosso delle foglie autunnali: una sfumatura decisa, intensa, esuberante e un po’ sfrontata. Rievoca vagamente il Kumadori, il trucco utilizzato nel teatro Kabuki, dove sul volto tinto di bianco degli attori risaltano motivi e strisce in total red. Non è una tonalità scelta a caso. Il rosso, infatti, nel Kabuki è il colore degli eroi. Simboleggia il coraggio, la potenza, la lealtà, e per rafforzare il concetto viene declinato nella gradazione più sgargiante. Tra i brand che hanno inserito il rosso nelle loro collezioni make up Autunno Inverno, emergono Diego Dalla Palma e Chanel. Con Shadow Mistress, il noto make up artist spazia da toni come il ruggine e il rosso tramonto al terra di Siena e all’amaranto, colore in cui propone anche uno stilosissimo mascara. La leggendaria griffe fondata da Gabrielle Chanel si ispira invece alle cromie dell’Equinozio d’Autunno e lancia una collezione, Equinoxe de Chanel, che inserisce il rosso acceso, il rosso corallo e il terra di Siena tra le nuove nuance del rossetto Rouge Coco Bloom. Per quanto riguarda il biondo ghiaccio, stay tuned su VALIUM per un imminente approfondimento in materia di hair color di tendenza…

 

 

Foto: Ozan Cuhla via Pexels