La notte

 

“Aprimmo la finestra al cielo notturno. Gli uomini come spettri vaganti: vagavano come gli spettri: e la città (le vie le chiese le piazze) si componeva in un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare. Non era dunque il mondo abitato da dolci spettri e nella notte non era il sogno ridesto nelle potenze sue tutte trionfale? Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto ci appare ombra di eternità? A quale sogno levammo la nostalgia della nostra bellezza? La luna sorgeva nella sua vecchia vestaglia dietro la chiesa bizantina.”

(Dino Campana, da “Canti orfici – La notte – II – Il viaggio e il ritorno”, 1914)

 

Virginia Frances Sterrett: il talento di un’illustratrice da mille e una notte

Da “Arabian Nights” (1928)

Non conoscevo ancora la sua arte, ma proprio ieri, mentre cercavo un’immagine da abbinare all’estratto da “Le Mille e una Notte”, mi sono imbattuta in una delle sue illustrazioni: è stato amore a prima vista. Virginia Frances Sterrett, nata a Chicago nel 1900, si è imposta come una delle più grandi illustratrici del suo tempo. Eppure ha avuto una vita breve, è morta a soli 31 anni a causa della tubercolosi, e il destino l’ha messa alla prova duramente sin dall’infanzia. Dopo aver perso il padre, si trasferì in Missouri insieme alla famiglia. Ma non si trattò di un trasferimento di lunga durata: nel 1915 era di nuovo a Chicago, dove frequentò il liceo e potè iscriversi subito dopo alla School of the Art Institute grazie a una borsa di studio. Frequentava la Scuola da circa un anno quando sua madre si ammalò gravemente e fu costretta ad abbandonare gli studi. Cercò lavoro per sostentare la famiglia e lo trovò in un’agenzia pubblicitaria, ma ottenne anche un importante incarico: la Penn Publishing Company le commissionò una serie di illustrazioni per il volume “Old French Fairy Tales”, la raccolta di fiabe della Contessa di Ségur. Era il 1920, e Virginia Frances Sterrett si affermò immediatamente come uno dei talenti più abbaglianti dell’arte dell’illustrazione. La tubercolosi, all’epoca, le era stata già diagnosticata. L’anno successivo, la stessa casa editrice le chiese di illustrare “Tanglewood Tales”, un libro in cui l’autore statunitense Nathaniel Hawthorne rielaborava noti miti greci ad uso e consumo dei bambini. Nel 1923 fu la volta di “Arabian Nights” (“Le Mille e una Notte”), l’affascinante antologia di racconti risalenti all’età dell’oro islamica: questo lavoro, che Virginia realizzò mentre la tisi le stava minando la salute completamente, la rese celebre. Le illustrazioni che creò per il volume stupirono il pubblico e gli addetti ai lavori con il loro immenso fascino. I paesaggi, i luoghi e i personaggi sono impregnati di magia, di uno straordinario esotismo. Virginia Frances Sterrett non aveva mai avuto l’opportunità di visitare quelle terre lontane; paesi quali l’ Egitto, la Mesopotamia, la Persia, l’India, la Cina, rivivono nella sua fantasia come evocati da un sogno. “Arabian Nights” fu pubblicato nel 1928 e le tavole a colori dell’ illustratrice di Chicago vennero giudicate un vero e proprio cavolavoro. Tra il 1929 e il 1930, approfittando di un lieve miglioramento delle sue condizioni di salute, Virginia Frances Sterrett si trasferì in California, dove partecipò a svariati concorsi artistici e iniziò ad illustrare la raccolta “Myths and Legends”, un libro che non vide mai la luce: l’8 Giugno del 1931 Virginia morì, stroncata dalla tubercolosi.

 

Illustrazioni tratte da “Old French Fairy Tales” (1920)

 

Illustrazioni tratte da “Tanglewood Tales” (1921)

 

Illustrazioni tratte da “Arabian Nights” (1928)

 

Tutte le immagini by Virginia Frances Sterrett, Public Domain, via Wikimedia Commons

 

Una sposa in Primavera

 

Il matrimonio e le stagioni: un rapporto che VALIUM continua ad esplorare. Con l’arrivo della Primavera, la natura rinasce e rifiorisce. E’ un periodo di svolta, il periodo del risveglio. Non è un caso che molti decidano di fissare la data delle loro nozze proprio in questa stagione. I fiori appena sbocciati, le temperature miti e la vegetazione rigogliosa costituiscono lo scenario ideale per un giorno del sì da fiaba. I buffet possono essere organizzati all’aria aperta, sullo sfondo di uno splendido tramonto e con un tripudio di decorazioni floreali. La “primavera di flauto” citata da Jack Kerouac in “Maggie Cassidy” si tramuta in una magnifica realtà. L’ atmosfera si impregna di un mood etereo che si fonde con il sogno e la magia: il matrimonio, in Primavera, è un evento idilliaco la cui cornice ideale è la campagna, un inno al verde e agli straordinari colori dei fiori. E per brillare sotto i raggi del sole, anche la palette dell’abito da sposa è pervasa di luminosità. Il bianco trionfa, affiancato dall’ avorio, dal celeste e dal rosa tenue.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

“Canzone di Marzo”, la poesia che Giovanni Pascoli dedica al terzo mese dell’anno

 

Che torbida notte di marzo!
Ma che mattinata tranquilla!
che cielo pulito! che sfarzo
di perle! Ogni stelo, una stilla
che ride: sorriso che brilla
su lunghe parole.

Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo.
Guizzavano, udendo l’estate,
le verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le biscie acquaiole.

Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento:
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l’incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.

(Giovanni Pascoli)

 

Libertà

 

“Quando rientrai a Parigi nel settembre 1929 la cosa che subito m’inebriò fu la mia libertà. L’avevo sognata fin dall’infanzia, quando con mia sorella giocavo a fare “la ragazza grande”. Ho già descritto con quale passione l’avessi invocata da studentessa. E d’un tratto, ecco che la possedevo; ad ogni gesto che compivo mi meravigliavo della mia leggerezza. La mattina, appena aprivo gli occhi, mi sentivo stordita di felicità. (…) Pagavo una pigione alla nonna, e lei mi trattava con la stessa discrezione delle altre pensionanti; nessuno controllava le mie entrate e le mie uscite. Potevo rientrare all’alba o leggere a letto per tutta la notte, dormire in pieno mezzogiorno, restarmene murata per ventiquattr’ore di seguito, scendere improvvisamente in strada. Facevo colazione con un bortsch da Dominique, pranzavo alla Coupole con una tazza di cioccolata. Mi piacevano il cioccolato, il bortsch, le lunghe sieste e le notti di veglia, ma soprattutto mi piaceva vivere a mio capriccio. Non c’era quasi nulla che me lo impedisse. Constatavo con gioia che il “serio dell’esistenza” di cui gli adulti mi avevano intronato le orecchie, in realtà non era un peso troppo greve. Dare i miei esami, certo non era stato uno scherzo; avevo duramente penato, avevo avuto paura di non farcela, avevo cozzato contro ostacoli, stancandomi. Adesso non incontravo resistenze da nessuna parte, mi sentivo in vacanza, e per sempre. Qualche lezione privata, e un incarico al Liceo Victor Duruy, mi assicuravano il pane quotidiano; questi lavori non mi davano alcuna noia, poichè, eseguendoli, mi sembrava di dedicarmi a un gioco nuovo: giocavo alla persona adulta. Darmi d’attorno per trovare delle lezioni private, discutere con le direttrici e coi genitori degli allievi, combinare il mio bilancio, contrarre prestiti, rimborsarli, calcolare, tutte queste attività mi divertivano poichè le compivo per la prima volta. Ricordo l’allegria che mi diede ricevere il mio primo stipendio. Avevo l’impressione d’imbrogliare qualcuno.”

Simone De Beauvoir, da “L’età forte” (Einaudi)

 

Marzo, il look del mese

Sportmax

Marzo, voglia di leggerezza. Voglia di abbandonare maglioni, giacche, cappotti, per abbracciare tessuti impalpabili ed eterei come i fiori che, a poco a poco, si preparano ad accogliere la Primavera. Il look del mese è firmato Sportmax e “racconta” molto bene il desiderio di rinascita che si associa al cambio stagionale: la silhouette affusolata invita a riscoprire le forme del corpo, celate per mesi e mesi da volumi over; il colore ricorda l’incantevole tonalità del glicine, che fiorisce tra Marzo e Aprile. L’outfit, composto da un ensemble di blusa e gonna attillatissime, viene ammorbidito da drappeggi sui fianchi che lo dotano di una soave fluidità. Le spalle accentuate e il colletto, che riproduce quello tipico di una camicia, esaltano la linea minimal del look senza scalfirne l’allure estremamente femminile. Raffinatezza e accenti futuribili creano un connubio vincente impreziosito dalle audaci trasparenze dello chiffon tecnico.

 

 

Il periodo in cui l’Inverno è quasi alle nostre spalle ma non è ancora Primavera, propizia il sogno: suggestioni ed atmosfere oniriche associate all’idea del risveglio, di una natura che torna a vivere in un’esplosione di colori tenui, carichi di fascino, profusi di magia. Ed è proprio in questo incrocio tra passato e futuro, in questo limbo dove l’avvenire si impregna di accenti di poesia, che si colloca il look di Sportmax da me scelto per rappresentare il mese di Marzo.

 

Nel bosco incantato

 

Sempreverdi grondanti di neve, distese candide, specchi d’acqua ricoperti di gelo. Un falò arde inaspettato in una radura, gli animali selvatici si muovono lungo sentieri su cui imprimono le loro impronte…In Inverno, anche il bosco si riempie di rarefatta meraviglia. Chi osa addentrarsi nella sua fitta vegetazione può bearsi della visione di scenari magici e luoghi mozzafiato. Percorrerlo è inoltrarsi in un sogno, abbracciare un’esperienza onirica che il biancore della neve rende ancora più sublime. Buona giornata con la nuova photostory di VALIUM.

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Sprofondare nel sogno

 

“Molti anni fa mi resi conto che un libro, un romanzo, è un sogno che chiede di essere scritto nello stesso modo in cui ci s’innamora di qualcuno: il sogno diventa irresistibile, non c’è niente che tu possa fare, e infine cedi e soccombi anche se il tuo istinto ti dice di battertela a gambe perchè potrebbe trattarsi, dopotutto, di un gioco pericoloso – in cui qualcuno probabilmente si farà male. Per alcuni di noi le prime idee e immagini, le emozioni iniziali possono spingere chi scrive a immergersi automaticamente nel mondo del romanzo, nella trama e nell’ immaginario, nei suoi segreti. Altri possono metterci più tempo a sentire con chiarezza questa connessione, anni, perfino decenni, per arrivare a comprendere quanto avevano bisogno di scrivere un certo romanzo, o amare una certa persona, o rivivere quel sogno. L’ ultima volta in cui avevo pensato a questo libro, a questo specifico sogno, e a raccontare questa specifica versione della storia (…) risale a quasi vent’anni fa, quando mi dissi che potevo farcela a rivelare quanto era accaduto a me e ad alcuni miei amici all’inizio del nostro ultimo anno alla Buckley, nel 1981. Eravamo adolescenti, bambini superficialmente sofisticati, che non sapevano davvero nulla di come funzionava il mondo – lo stavamo sperimentando, immagino, ma senza averne cognizione. Almeno fino a quando non accadde qualcosa che ci proiettò in uno stato di esaltata consapevolezza. (…) Ma venne fuori che non era ancora il momento, e dopo aver scritto alcune pagine di appunti sui fatti accaduti in quell’ autunno del 1981, quando credevo di essermi anestetizzato con una mezza bottiglia di Ocho così da andare avanti, lasciando che la tequila mi calmasse il tremore delle mani, fui preda di un attacco d’ansia tanto forte da farmi finire in piena notte al pronto soccorso del Cedars-Sinai. Se vogliamo associare l’atto di scrivere alla relazione amorosa, allora mettiamola così: avevo desiderato di fare l’amore con questo romanzo che infine sembrava volermisi concedere e ne ero molto tentato, ma quando arrivò il momento di consumare la relazione scoprii che non ero in grado di sprofondare nel sogno. “

Bret Easton Ellis, da “Le schegge” (Giulio Einaudi Editore)

 

 

Pantelleria e le due Lune

 

” Quando Neil Armstrong sbarcò sulla superficie lunare, undici anni orsono, l’annunciatore televisivo esclamò emozionato: “Per la prima volta nella storia, l’uomo ha messo il piede sulla Luna.” Un bambino che si trovava con noi, e che aveva seguito con ansia i dettagli dello sbarco, gridò sorpreso: “Ma è la prima volta? Che stupidaggine!” Il suo disincanto era comprensibile. Per un bambino del suo tempo, abituato a vagare ogni sera nello spazio siderale della televisione, la notizia del primo uomo sulla Luna era come un ritorno all’ età della pietra. Anch’io rimasi con una sensazione di sconforto, ma per motivi più semplici. Stavamo passando l’estate nell’isola di Pantelleria, all’estremo sud della Sicilia, e non credo che esista al mondo un luogo più consono per pensare alla Luna. Ricordo come in un sogno le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta a calce fin negli scalini, dalle cui finestre si vedevano nelle notti senza vento i fasci luminosi dei fari dell’ Africa. Esplorando i fondali addormentati intorno all’isola, avevamo scoperto una fila di siluri gialli lì incagliati dall’ ultima guerra; avevamo recuperato un’anfora con ghirlande pietrificate che dentro aveva ancora i residui di un vino immemore corroso dagli anni, e avevamo fatto il bagno in una gora fumante le cui acque erano così dense che si poteva quasi camminarvi sopra. Io pensavo con una certa nostalgia premonitrice che così doveva essere la Luna. Ma lo sbarco di Armstrong aumentò il mio orgoglio patriottico: Pantelleria era meglio. Per noi che perdiamo tempo pensando a queste cose, ci sono a partire da allora due Lune. La Luna astronomica, con la maiuscola, il cui valore scientifico dev’essere grandissimo, ma che manca completamente di valore poetico. L’altra è la Luna di sempre che vediamo sospesa nel cielo; la Luna unica dei licantropi e dei boleros, e che – per fortuna – nessuno raggiungerà mai. “

Gabriel Garcìa Màrquez, da ” Taccuino di cinque anni” (Mondadori)