Arriva Tsuchinshan-Atlas, la cometa del secolo

 

Dopo la Superluna e l’eclissi lunare parziale, il cielo di Settembre è pronto a regalarci un nuovo spettacolo: la cometa del secolo. Così è stata ribattezzata C/2023 A3, chiamata anche Tsuchinshan-Atlas. Si tratta di una cometa che in quanto a luminosità non ha niente da invidiare a Halley, la cui ultima apparizione risale al 1986, e a Neowise, avvistata nel 2020. Ma che tipo di comete sono le C/2023 A3? Composte da rocce, polveri di ghiaccio e gas, si presentano come sfere che compiono un’orbita ellittica intorno al Sole. Esistono due condizioni che determinano la loro straordinarietà. Quando questa tipologia di cometa si avvicina all’astro attorno al quale orbita, la sua coda cresce in lunghezza. Ciò intensifica incredibilmente la luminosità del corpo celeste: l’energia radiante del Sole causa l’evaporazione di buona parte del ghiaccio che compone la cometa, distanziando il gas e la polvere dal nucleo inondato dalla luce dell’astro infuocato. La radiazione solare, quindi, accresce le dimensioni della coda dell’oggetto celeste nel momento in cui quest’ultimo comincia ad approssimarsi all’astro.

 

 

La seconda condizione che rende eccezionale C/2023 A3 riguarda la sua chioma. L’energia radiante del Sole, in questo caso, favorisce la formazione di un alone (provocato dalla sublimazione del ghiaccio, che passa direttamente dallo stato solido allo stato gassoso) attorno al nucleo della cometa. Non c’è bisogno di dire che tale fenomeno potenzi al massimo la luminosità del corpo celeste. Quando potremo vedere, dunque, C/2023 A3? Atlas raggiungerà il perielio (cioè il punto più vicino al Sole della sua traiettoria) il 27 Settembre. Ciò significa che nell’emisfero settentrionale sarà visibile da quella data fino a tutto il mese di Ottobre. Al perielio segue sempre un ritorno nei luoghi di origine, lontani dal sistema solare. Pare che il momento in cui Atlas risplenderà di più coinciderà con il 2 Ottobre: vicinissima al Sole, la sua coda ci lascerà senza fiato e brillerà come non mai. Per quanto riguarda il 27 Settembre, potremo ammirarla al meglio tra le 5 e le 7 del mattino. La avvisteremo nei pressi dell’orizzonte, lungo la traiettoria del Sole, prima che sorga l’alba. A Ottobre, Atlas si innalzerà man mano dall’ orizzonte, ma il suo fulgore scemerà progressivamente.

 

 

Sicuramente, vale la pena di osservarla: provenendo da un’area molto distante dal sistema solare, precisamente dalla nube di Oort, Atlas non ripasserà dalle nostre parti per chissà quanti altri secoli. Per visualizzarla in modo ideale, sarà meglio osservarla dall’alto e in zone prive di inquinamento luminoso. Dovrebbe essere visibile a occhio nudo, ma è consigliabile utilizzare binocoli, telescopi o macchine fotografiche per ammirarla in tutto il suo splendore. Appuntamento quindi il 27 Settembre, alle 5 alle 7 del mattino, con l’imperdibile cometa del secolo.

 

Notte d’estate

 

L’estate non è solo sole, caldo cocente e cielo azzurro. L’estate è anche magia notturna: cielo invaso da un tripudio di stelle, pleniluni che riflettono i loro bagliori sul mare, bagni di mezzanotte in bilico tra euforia e mistero, flirt vissuti sulla spiaggia sotto l’irresistibile luccichio astrale. Da oggi in poi, e per una settimana, con VALIUM esploreremo questo lato della stagione calda. L’incanto delle ore buie, dove il silenzio viene soppiantato dalla musica, dal vocio e dalle risate di chi “fa serata”, l’andirivieni sul lungomare o nelle strade e nelle piazze dove nascono gli amori e si intrecciano le relazioni. Ma la notte d’estate è fatata ovunque la si viva: pensate alla suggestività di un campo appena mosso dal vento, al canto ritmico dei grilli, allo sfavillio delle lucciole…a un assiolo che rompe la quiete con il suo canto ipnotico e inconfondibile. Da Giugno a Agosto, la notte si impregna di fascino in ogni luogo. Persino nel firmamento, dove a breve potremo ammirare diversi sciami meteorici in tutto il loro splendore e la luminosità ammaliante della Luna del Cervo. La notte, d’estate, non è fatta per dormire, ma per essere vissuta…Stay tuned su VALIUM!

 

I fiori di campo e la loro bellezza selvaggia

 

Che posto solitario sarebbe un mondo senza fiori di campo!

(Roland R. Kemler)

 

Cominciano a sbocciare già all’inizio della Primavera, e in Estate trionfano in tutto il loro splendore: i fiori di campo sfoggiano una bellezza selvaggia e costellano le distese campestri di una miriade di colori. Nascono spontanei, non hanno bisogno della semina nè della coltivazione, eppure sono meravigliosi. Non è un caso che siano stati immortalati da alcuni degli artisti più celebri di tutti i tempi: ricorrono nei dipinti di Claude Monet, Vincent Van Gogh, Gustave Klimt…Gli Impressionisti, che dipingevano en plein air in mezzo alla natura, li adoravano letteralmente. Anche perchè la loro comparsa nei prati, nei campi e nel sottobosco coincideva con il risveglio della natura. A sbocciare per prime sono le margherite, i cosiddetti occhi della Madonna (fiori di Veronica) e le primule; successivamente spuntano il tarassaco (su VALIUM ho parlato del buon miele che si ottiene da questa pianta) e la camomilla. Quando il clima si fa più caldo, e il sole invade i campi in attesa della mietitura, ecco che i papaveri cominciano a schiudersi; i loro petali rossi e impalpabili vibrano di rutilante splendore. In aree più ombreggiate ed erbacee, invece, le campanule e i muscari non passano inosservati. Questi ultimi, costituiti da raggruppamenti di piccoli fiori color indaco lungo uno stelo tubolare, sono utilizzatissimi anche come pianta ornamentale per la scenograficità della loro nuance. Ma oltre a quelli già citati, quali sono i fiori di campo più conosciuti?

 

 

Il fiordaliso, ad esempio, azzurrissimo e al centro di due affascinanti leggende della mitologia romana. Ma anche l’anemone, detto il fiore del vento, e poi la margherita di mais (glebionis segetum), così soprannominata perchè somiglia a una margherita completamente gialla. E ancora, la viola del pensiero, la viola riviniana, il ranunculo favagello.

 

 

La digitale rossa colpisce per il contrasto tra il suo nome ed i suoi fiori, infiorescenze pendule tipicamente viola, mentre il garofano dei poeti è diventata una nota pianta ornamentale, come d’altronde l’adonide estiva. Tra i fiori di campo troviamo anche il gittaione, la lantana, la dimorphoteca sinuata, con i suoi colori vivaci, il farfaraccio maggiore.

 

 

E infine il tussilago farfara, dai caratteristici petali giallissimi e sottili. A questa pianta venivano attribuite proprietà medicamentose sin dai tempi dell’antica Roma: pare che il suo nome derivi dal latino “tussis”(tosse), una patologia che il tussilago si era rivelato molto efficace nel curare.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Giugno

 

Com’è gradevole il tiglio nelle sere di Giugno!
L’aria è si dolce che a palpebre chiuse
annusi il vento che risuona – la città è vicina –
e porta aromi di birra e di vino…
(Arthur Rimbaud)

 

Ecco che arriva Giugno, il primo mese dell’Estate, anche detto Mese del Sole. Al Solstizio manca una ventina di giorni, ma l’aria è già calda e le giornate sono sempre più lunghe. Il 20 Giugno (il Solstizio d’Estate cadrà in questa data) le ore di luce trionferanno e inizierà l’incantato periodo che con la notte di San Giovanni raggiunge il suo culmine. Nell’ antica Roma, Giugno era il mese dedicato a Giunone: la divinità latina, moglie di Giove e dea del parto e del matrimonio, era anche il simbolo della fecondità della terra e ispirò il nome, Iunius, che i romani diedero a questo mese. A Giugno la natura esplode in tutto il suo splendore, maturano i frutti più succosi e l’orto ci regala prelibate primizie. Ma Giugno è anche e soprattutto il mese della raccolta del grano, da sempre elemento base del nostro nutrimento. La mietitura è un’autentica festa: mesi e mesi di lavoro ininterrotto vengono coronati dall’abbondanza e ci si prepara a inaugurare la nuova annata agricola.

 

 

Giugno ha trenta giorni ed è il sesto mese del Calendario Gregoriano. Astrologicamente predominano i segni zodiacali dei Gemelli e del Cancro, mentre dal punto di vista cromatico il Mese del Sole si associa sia al giallo che al verde. Anche le pietre preziose che lo contraddistinguono sono più d’una: l’ Alessandrite, la Perla e la Pietra di Luna. Questa molteplicità, forse, deriva dal fatto che Giugno è un’esplosione di vita, ed è difficile puntare su un unico emblema che lo caratterizzi. Tornando alle pietre, osserviamone per un momento le particolarità. L’ Alessandrite è una gemma rara declinata in sfumature che vanno dal verde al rosso lampone; la Perla, che tutti conosciamo, era il gioiello preferito da Elisabetta I d’Inghilterra (non a caso ribattezzata la “regina perla”); la Pietra di Luna è una pietra straordinaria, color bianco ghiaccio e attraversata da bagliori iridescenti. Le ricorrenze celebrate in Italia questo mese sono la Festa della Repubblica (il 2 Giugno) e San Giovanni Battista (il 24 Giugno), una solennità che segue al Solstizio d’Estate ed è associata a un tripudio di suggestive tradizioni. E’ importante sapere, peraltro, che a livello astronomico San Giovanni si colloca in esatta contrapposizione al Natale.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Torna la Luna Piena dei Fiori, che stasera splenderà accanto alla fulgida Antares

 

Con la speranza che il maltempo ci dia tregua, oggi potremo assistere a uno spettacolo astronomico che ogni anno ci lascia senza fiato: la Luna Piena dei Fiori si prepara a stupirci con tutto il suo splendore. Alle 15.53 raggiungerà la fase di piena, ma in quel momento la luce del giorno renderà pressochè impossibile distinguerla. Potremo però ammirarla stasera, sempre che le nuvole non ingombrino il cielo. Sarà facile notarla, in assenza di nubi: è visibile a occhio nudo. Si posizionerà nella costellazione dello Scorpione, perfettamente individuabile sull’orizzonte Sud Est. Non troppo lontano brilla Antares, la stella più fulgida del gruppo. Per osservare al meglio questo suggestivo evento, è consigliabile contemplare la Luna Piena dei Fiori sin dal momento in cui sorge; sarebbe opportuno trovarsi in un luogo che offra un’ampia visuale sull’orizzonte.

 

 

Ma perchè è chiamata “Luna Piena dei Fiori”? Ancora una volta, come nel caso di molti pleniluni, l’origine del nome viene attribuita alle antiche tribù dei nativi americani; pare che a denominarla così furono infatti gli Algonchini. I fiori fanno riferimento alla rinascita della natura, un concetto ricorrente in tutti gli appellativi che le sono stati affibbiati: gli Apache l’avevano ribattezzata Luna delle Foglie Verdi, i Mohawk Luna della Grande Foglia, gli Anishnaabe Luna in Fiore, mentre per altre tribù era la Luna delle Madri, della Lepre, dell’ Erba, del Latte e della semina del Mais. Questi ultimi due nomi rimandano alla stagione in cui il plenilunio appare; a Maggio la varietà delle erbe presenti nei pascoli permette ai bovini, i caprini e gli ovini di produrre un latte estremamente nutriente, mentre il mais viene seminato proprio a cavallo tra Maggio e Giugno.

Foto dei nativi americani: Boston Public Library via Unsplash

 

Pasqua, una solennità ricca di simboli

 

Giovedì abbiamo parlato dell’uovo, ma la Pasqua è una solennità piena zeppa di simboli che affondano le loro radici nella religione, nella cultura e nel folklore. La Resurrezione di Cristo, avvenuta tre giorni dopo la sua sepoltura, rappresenta la festività più importante del Cristianesimo: con il passar dei secoli si è andata ammantando, quindi, di molteplici connotazioni simboliche. Di alcuni di questi emblemi si sono perse le origini, mentre altri sono diventati così celebri da essere dati per scontati. Facciamo un po’ di chiarezza e addentriamoci nella ricca iconografia pasquale.

 

L’agnello

 

Simbolizza il sacrificio di Gesù, che ha dato la vita per l’uomo. La tradizione di mangiare agnelli risale alla Pasqua ebraica, il cui nome, Pesah, indicava originariamente la liberazione, ad opera di Mosè, dai lunghi anni di schiavitù che gli Ebrei sperimentarono in Egitto. Fu Mosè, infatti, a guidare il loro esodo verso la Terra promessa. Durante la Pasqua ebraica era tassativo cibarsi degli agnelli per commemorare la salvezza: quando Dio inviò l’ultima piaga, che uccise ogni primogenito egiziano, gli Ebrei (su direttive di Mosè) sacrificarono degli agnelli. Li mangiarono insieme al pane azzimo e tinsero gli stipiti delle porte con il loro sangue. In questo modo, Dio avrebbe potuto riconoscere le loro dimore e risparmiare i loro primogeniti.

 

La campana

 

Il giorno di Pasqua, le campane suonano festosamente per celebrare la Resurrezione di Gesù. Il loro suono comunica gioia, simboleggia la gloria di Gesù risorto. Il Venerdì Santo, invece, giorno della morte di Gesù, le campane suonano a lutto.

 

La colomba

 

Simboleggia la Pace, ma anche lo Spirito Santo, ovvero il Terzo Membro della Santissima Trinità. La Colomba è una figura strettamente legata al Diluvio Universale. Quando il Diluvio si placò, Noè ordinò a una colomba di volare fuori dall’ Arca. La terza volta che lo fece, la colomba tornò con un ramoscello d’ulivo nel becco. Per Noè fu un chiaro simbolo della riconciliazione tra Dio e l’uomo. La colomba divenne quindi un emblema di Pace e della rinascita di Gesù, che si immola sulla croce per la nostra Redenzione: Gesù auspica un mondo all’insegna della Pace e della comunione tra gli uomini. All’inizio del XX secolo, la forma di una colomba cominciò a identificare il dolce pasquale per eccellenza.

 

Il coniglio

 

La lepre, con l’avvento del Cristianesimo, era un simbolo di Cristo. Questo animale infatti non ha una tana, in Primavera vaga liberamente nel bosco. E Cristo si era definito privo di una dimora, di un luogo che lo ospitasse, che gli garantisse il dovuto riposo. Il coniglio vero e proprio, in particolare il coniglio bianco, è una figura molto presente nei paesi del Nord Europa e in quelli anglosassoni (se vuoi saperne di più, rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato): viene chiamato Easter Bunny e ha il compito di distribuire ai bambini le uova di cioccolato. Probabilmente il coniglio, essendo un animale molto prolifico e che fa la muta in Autunno e in Primavera, divenne un emblema di rinnovamento e di rinascita.

 

La croce

 

All’epoca dell’Impero Romano, una croce di legno veniva utilizzata per dare la morte ai condannati: li si crocifiggeva infliggendo loro un supplizio che provocava una lenta agonia. A rendere ancora più atroce il tormento era la flagellazione che lo predeceva. Gesù venne condannato a morte per crocifissione in quanto la Palestina, all’epoca, faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente. Quando Gesù risorse, i credenti cristiani assursero la Croce a simbolo della loro religione e tramutarono quello strumento di tortura in un potente emblema di fede.

 

Il fuoco

 

Con il fuoco che tradizionalmente arde davanti alle chiese la notte di Pasqua, viene acceso il cero pasquale. E’ un rito molto importante a cui i fedeli assistono in massa: il fuoco simboleggia, la vita, la luce, il calore che sconfiggono la morte, l’oscurità e il gelo, ma anche il rinnovamento dello spirito e la luminosità che ci guida verso lo splendore eterno.

 

L’acqua

 

In questo caso, l’acqua è quella del fonte battesimale: durante la veglia pasquale, infatti, si celebra un gran numero di battesimi. L’acqua ha una valenza purificatrice, e il battesimo è un momento di passaggio dal buio alla luce. Battezzandosi si diventa figli di Dio, si abbraccia la luce e si lasciano le tenebre del peccato alle spalle. Con il battesimo rinasciamo a vita nuova proprio come Gesù è morto e risorto.

 

L’ulivo

 

Quando la colomba dell’ Arca ritornò da Noè con un ramoscello di ulivo nel becco, Noè capì subito che l’ira di Dio nei confronti degli uomini era terminata. Il Diluvio Universale si era concluso, la Terra poteva ricominciare a popolarsi. L’ulivo, dunque, divenne un emblema di pace. La Domenica delle Palme, quella che precede la Pasqua, i rami d’ulivo vengono benedetti in ricordo dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, dove venne salutato da una folla entusiasta che agitava rami di palma e ulivo.

Foto via Pexels e Unsplash

 

“Gennaio”, una poesia di Rainer Maria Rilke

 

Respirano lievi gli altissimi abeti
racchiusi nel manto di neve.
Più morbido e folto quel bianco splendore
riveste ogni ramo, via via.
Le candide strade si fanno più zitte:
le stanze raccolte, più intense.
Rintoccano l’ore. Ne viene
percosso ogni bimbo, tremando.
Di sovra gli alari, lo schianto di un ciocco
che in lampi e faville , rovina.
In niveo brillar di lustrini
il candido giorno là fuori s’accresce,
diviene sempiterno, infinito.

(Rainer Maria Rilke)

 

 

Betelgeuse, il tributo di In Astra alla luminosissima “supergigante rossa” della costellazione di Orione

 

Betelgeuse: un nome che vi ricorda qualcosa? Esatto, è proprio lei…una delle stelle più splendenti della volta celeste, precisamente la decima. La brillantezza della cosiddetta “supergigante rossa” è tale da farla scorgere persino a occhio nudo. Anche perchè appartiene alla costellazione di Orione, famosissima, che per gli antichi era in grado di replicare la luminosità del giorno. E all’interno della nebulosa di Orione, così chiamata poichè rappresentava l’ascesa al cielo dell’omonimo gigante cacciatore della mitologia greca, Betelgeuse si piazza al secondo posto in un’ipotetica classifica del fulgore. La sua luce color rosso vivo appare a Oriente proprio in questo periodo dell’anno, tra Novembre e Dicembre, per poi regnare sulle notti di Gennaio e Febbraio. Betelgeuse è una stella invernale, maestosa e inconfondibile. Risplende di una tonalità vibrante, incastonandosi come un rubino nel firmamento impreziosito da bagliori siderali di diamante. In Astra, la Maison di profumeria artistica fondata dalle sorelle Sofia e Fabiola Bardelli (rileggi qui l’articolo in cui VALIUM parla del brand), non poteva che dedicarle un tributo: il marchio made in Italy, ispirato dall’eterna meraviglia delle stelle, in onore di Betelgeuse ha creato una fragranza che porta lo stesso nome.

 

 

Ogni dettaglio del jus rievoca lo splendore infuocato dell’astro nel gelido cielo d’Inverno. Betelgeuse esordisce con note speziate di coriandolo esaltate da un cuore di iris e osmanto. Il fondo, composto da accordi di muschio di quercia e caffè, avvolge la fragranza in un alone ipnotico. La scia floreale inebria l’olfatto rievocando un tripudio di accenti cipriati: il risultato è una Eau de Parfum seducente, magnetica. Un’ode alla stella che avvampa nell’Universo e lo pervade di tutta la sua magia.

 

 

Betelgeuse è disponibile in versione Eau de Parfum nell’unico formato da 50 ml.

 

 

Photo courtesy of In Astra

 

Un sorso di estate

 

” La marea gialla – essenza di un mese bellissimo – veniva versata nella macina e usciva dal becco di sotto per essere travasata nei recipienti di terracotta, fatta fermentare e racchiusa nelle bottiglie lavate per l’occasione. Poi veniva sistemata in file ordinate, dorate, negli scaffali bui della cantina. Vino di dente di leone. Parole che significavano estate. Il vino era l’estate catturata e messa in bottiglia. E adesso che Douglas sapeva di essere veramente vivo, e si muoveva fra le cose del mondo per vederle e toccarle tutte, pareva appropriato che un po’ di quella nuova coscienza, di quel giorno di vendemmia così speciale venisse conservato e tappato in cantina, per essere aperto magari in gennaio, durante una nevicata, quando il sole fosse dimenticato da settimane oppure mesi, e il miracolo della coscienza avesse bisogno di una rinfrescatina. Dato che quella sarebbe stata un’estate di inattese meraviglie, Douglas voleva conservarne e imbottigliarne il più possibile, in modo che gli bastasse scendere nel buio della cantina, in punta di piedi, e allungare la mano. E là, fila su fila, col delicato splendore dei fiori che sbocciano di primo mattino, con la luce di giugno che brilla sotto uno strato di polvere, avrebbe ritrovato il vino del dente di leone. Guardalo attraverso quel vino il giorno di inverno e la neve si scioglierà sull’erba e gli alberi saranno ripopolati di uccelli, e foglie e fiori si apriranno di nuovo come un continente di farfalle che volano nel vento. Guardaci attraverso e il cielo, da plumbeo, diventerà azzurro. Tieni l’estate in una mano, versala in un bicchiere (…); cambia stagione, nelle tue vene, portandoti un bicchiere alle labbra e mandando giù un sorso di estate. “

Ray Bradbury, da “L’estate incantata”

 

 

La notte di San Giovanni

 

“Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull’orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s’avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po’ obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava strisce di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d’asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali ed amuleti. D’altronde Olì pensava che anche non segnando i cespugli che voleva cogliere, nessuno glieli avrebbe toccati: i campi intorno alla cantoniera dove ella viveva col padre ed i fratellini, erano completamente deserti. Solo in lontananza una casa campestre in rovina emergeva da un campo di grano, come uno scoglio in un lago verde. Nella campagna intorno moriva la selvaggia primavera sarda: si sfogliavano i fiori dell’asfodelo e i grappoli d’oro della ginestra; le rose impallidivano nelle macchie, l’erba ingialliva, un caldo odore di fieno profumava l’aria grave. La via lattea e l’ultimo splendore dell’ orizzonte, fasciato da una striscia verdastra e rosea che pareva il mare lontano, rendevano la notte chiara come un crepuscolo. Vicino al fiume, la cui acqua scarsissima rifletteva le stelle e il cielo violaceo, Olì trovò due dei suoi fratellini che cercavano grilli. (…) Olì andò oltre: oltre l’alveo del fiume, oltre il sentiero, oltre le macchie di olivastro: qua e là si curvava e legava con un nastro le cime di qualche cespuglio, poi si rizzava e scrutava la notte con lo sguardo acuto dei suoi occhi felini. “

Grazia Deledda, da “Cenere”