“Le stagioni determinano le forme: or le stagioni differiscono tra di esse; la medesima stagione differisce da se stessa nei diversi paesi; e le forme degli esseri vìventi rappresentano tutte queste diversità.”
(Ippocrate di Coo)
Il blog di Silvia Ragni
Il matrimonio e le stagioni: un rapporto che VALIUM continua ad esplorare. Con l’arrivo della Primavera, la natura rinasce e rifiorisce. E’ un periodo di svolta, il periodo del risveglio. Non è un caso che molti decidano di fissare la data delle loro nozze proprio in questa stagione. I fiori appena sbocciati, le temperature miti e la vegetazione rigogliosa costituiscono lo scenario ideale per un giorno del sì da fiaba. I buffet possono essere organizzati all’aria aperta, sullo sfondo di uno splendido tramonto e con un tripudio di decorazioni floreali. La “primavera di flauto” citata da Jack Kerouac in “Maggie Cassidy” si tramuta in una magnifica realtà. L’ atmosfera si impregna di un mood etereo che si fonde con il sogno e la magia: il matrimonio, in Primavera, è un evento idilliaco la cui cornice ideale è la campagna, un inno al verde e agli straordinari colori dei fiori. E per brillare sotto i raggi del sole, anche la palette dell’abito da sposa è pervasa di luminosità. Il bianco trionfa, affiancato dall’ avorio, dal celeste e dal rosa tenue.
Afa di luglio. Il canto che non varia
delle cicale; il ciel tutto turchino;
intorno a me, nel gran prato supino,
due fili d’erba immobili nell’aria.
Un sopor dolce, una straordinaria
calma m’allenta i muscoli. Persino
dimentico di vivere. Mi chino
coi labbri ad una bocca immaginaria…
E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.
Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell’immensa afa s’annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.
Camillo Sbarbaro
(dalla raccolta “Resine”, Caimo, Genova 1911)
Luglio è anche uguale a caldo torrido, bollore, afa. L’aria si fa densa, sembra quasi galleggiare nell’atmosfera. Niente si muove, non tira un alito di vento. Cerchiamo refrigerio senza trovarlo, neppure nella natura. Anzi: il meteo di oggi prevede 40 gradi all’ombra, provate a immaginare quali temperature avremo sotto il sole. Il caldo smisurato è sempre annientante. Non è benefico per la salute, toglie le forze, impigrisce. E soprattutto ci toglie il piacere di godere dell’aria aperta, uno dei vantaggi più osannati dell’estate. Accantonando le escursioni ad alta quota o le ore trascorse a mollo in piscina o in riva al mare, l’unica ancora di salvezza che ci rimane è ricorrere al benessere artificiale: aria condizionata più o meno a palla per mantenerci tonici, pimpanti, immuni dagli effetti deleteri dell’afa. Ci ritroviamo così a rincorrere le oasi del fresco su misura proprio nella stagione in cui la natura trionfa e la sensorialità raggiunge il suo apice…Ma non abbiamo altra scelta. L’importante è continuare ad apprezzare le meraviglie che il nostro pianeta ci regala e l’autenticità della sua bellezza. Dando il nostro contributo, naturalmente, affinchè i cambiamenti climatici non continuino ad alterare il flusso e le peculiarità delle stagioni.
Se pensate che la più antica bevanda alcolica sia il vino, forse non conoscete l’idromele. E’ un fermentato dalle origini remotissime e la sua storia è estremamente affascinante: i Celti e i popoli germanici lo consideravano sacro e lo definirono “nettare degli dei”, poichè a loro dire era un dono celeste; ma anche perchè, in effetti, al nettare era direttamente associato. L’ idromele viene ottenuto dalla fermentazione del miele, che combinato con l’acqua e con il lievito dà vita ad una bibita dal discreto tasso alcolico (oscilla tra i 6 e i 18 gradi). Il fatto che derivasse dal polline, che rimandasse alla laboriosità delle api e all’ acqua pura di sorgente lo collegava ai concetti di perenne rinascita e di trasformazione, paragonandolo a una potente linfa vitale. Non è un caso che, proprio presso gli antichi Celti ed i Germani, l’idromele fosse ritenuto la bevanda dell’ immortalità. Prima ancora che l’uomo si dedicasse alla domesticazione della vite, dunque, si diffuse l’ usanza di sorseggiare la raffinata bibita a base di miele. Il suo nome proviene dal greco “hydor”, ovvero “acqua”, e “méli”, “miele”, mentre il termine anglosassone “mead” risale all’ inglese antico “meodu”. Inizialmente, l’idromele si sorbiva soprattutto nelle corti e durante le cerimonie religiose. In particolare, è stato accertato che nel lasso di tempo compreso tra il IX e il I secolo a.C. i Druidi ne facessero uso in occasione delle ricorrenze che sancivano i cicli stagionali: Samhain (il Capodanno celtico), Yule (il Solstizio d’ Inverno), Imbolc (la nostra festa della Candelora), Ostara (l’Equinozio di Primavera), Beltane (la festa del primo maggio), Litha (il Solstizio d’Estate), Lughnasadh (il culmine dell’estate) e Mabon (l’ Equinozio di Autunno). Il consumo di idromele si integrava con i rituali effettuati durante quelle feste, giacchè il suo tasso alcolico favoriva l’alterazione degli stati di coscienza e facilitava il contatto con il divino. Per i Celti, il “nettare degli dei” possedeva un valore simbolico potentissimo. Recipienti con depositi di idromele sono stati rinvenuti nei sepolcri di svariati principi vissuti tra il VI e il IV secolo a.C.: di questa bevanda pregiata, infatti, gli aristocratici facevano scorta per portarla con sè anche nel Sidh, l’ Oltretomba celtico.
Gli appassionati di cultura Vichinga e di mitologia norrena sapranno già che l’idromele (chiamato mjöðr nelle lande del Nord) riveste un ruolo molto importante per il mondo scandinavo precristiano. Le leggende lo fanno risalire alla capra Heidrun, che racchiudeva idromele nelle sue mammelle, e raccontano che era la bevanda più amata dal dio Odino e dagli Asi, gli dei nordici che governavano il cielo. Sempre secondo la mitologia norrena, per impossessarsi dell’ idromele Odino si tramutò di volta in volta in serpente e in aquila, mentre Thor, il dio del tuono, riuscì a impadronirsene strappandolo ai giganti. Un’ altra leggenda ancora vede protagonista il vate Kvasir. Costui, durante un viaggio intrapreso per erudire il popolo, una notte pernottò presso l’ alloggio di due fratelli nani, Fjalarr e Galarr. I nani lo uccisero, versarono il suo sangue in delle coppe e aggiunsero del miele per addolcirlo. La fermentazione prodotta da quella miscela diede vita all’ idromele, una magica bevanda che conferiva il dono della saggezza e della poesia a chiunque la assaporasse. Adesso, una piccola curiosità: sapete da cosa deriva la locuzione “luna di miele”? Secondo una tradizione medievale, ai neo-sposi si usava regalare idromele in una quantità sufficiente per un mese lunare; il calendario gregoriano fu infatti introdotto solo nel 1582. Scopo di quel dono era favorire la procreazione: la coppia, nelle prime settimane di nozze, avrebbe beneficiato della prodigiosa energia che l’ idromele infondeva. Da qui “luna”, ovvero “mese lunare”, e “miele”, come l’ ingrediente base della bevanda.
In questo pub svedese, a Gamla Uppsala, si può bere idromele in speciali corni potori “Vichingo style”
Le origini dell’ idromele si perdono nella notte dei tempi. Numerose testimonianze ne attestano l’esistenza già nell’ antico Egitto (circa 2000 anni a.C.), presso i Greci e presso i Romani. Persino il culto di Dioniso, antecedente all’ inizio della coltivazione della vite, veniva originariamente associato alla bevanda: il dio greco del vino e della vendemmia intreccia la sua storia mitica con quella dell’ idromele. Non a caso, si usava far fermentare il miele e l’ acqua che lo compongono in un sacco di pelle di toro, animale di sovente identificato con Dioniso. Va precisato che l’ebbrezza donata dall’ idromele era notevole; bastava aggiungere del miele durante la fermentazione per conferire la massima gradazione alcolica alla bevanda.
“Cup of Honey Drink”, 1880 circa. Dipinto conservato nel Donetsk Regional Museum of Art in Ucraina
L’esistenza dell’ idromele nell’ antica Roma è attestata nei libri di Columella (dove un intero volume, il dodicesimo, è dedicato ai vari modi di preparazione del “nettare degli dei”) e di Plinio. Tuttavia, la “bevanda dell’ immortalità” non rivestì mai un’ importanza pari a quella che aveva assunto nell’ Europa del Nord: il miele era molto più costoso rispetto al vino e il cristianesimo decretò il decisivo trionfo di quest’ ultimo, che utilizzava durante la liturgia eucaristica, rispetto al “pagano” idromele.
Foto n. 2 e n. 3 (dall’ alto): n. 3 via Madison Scott-Clary via Flickr, CC BY 2.0, n. 4 by Marieke Kuijjer from Leiden, The Netherlands, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
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