Un Halloween delizioso: 10 dolci e piatti tradizionali tra l’Irlanda e gli Stati Uniti

 

Abbiamo già parlato delle “torte dell’anima”, le torte tradizionali che in Irlanda e nel Regno Unito venivano donate ai questuanti in cambio di preghiere per i defunti (rileggi qui l’articolo). Ma quali altri dolci o cibi tipici sono soliti preparare gli anglosassoni per festeggiare la vigilia di Ognissanti? Ne prenderemo in esame alcuni spaziando dall’ Irlanda agli Stati Uniti: le lande celtiche dove è nato Samhain che nel XIX secolo, in America, è diventato Halloween grazie alla comunità irlandese emigrata nel paese a stelle e strisce.

 

La Pumpkin Pie

E’ la torta più famosa dell’ Autunno, protagonista principale (insieme al tacchino) sulla tavola del Thanksgiving Day americano. Ha un aspetto inconfondibile: è composta di pasta frolla e contiene un ripieno di crema di zucca aromatizzata con spezie quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata. La si farcisce con “riccioli” di panna montata che accentuano la sua golosità.

 

La Whoopie Pie

Ideata con molta probilità dalla comunità Amish, questa torta consta di un delizioso ripieno di crema di marshmallows, o crema al latte aromatizzata alla vaniglia, racchiuso tra due strati tondeggianti a base di cacao. Per il 31 Ottobre è gettonatissima in versione biscotto, ognuno preferibilmente riempito di crema all’arancia.

 

Le mele caramellate

VALIUM ne ha parlato già (rileggi qui l’articolo). Sono ghiotte sia per la vista che per il palato: rossissime e rivestite di un lucente strato di zucchero caramellato, possono essere decorate con un tripudio di confettini o zuccherini multicolor.

 

Le Candy Corn

Ricordano i semi del mais, un frutto tipicamente autunnale; in realtà sono chicchi di riso soffiato caramellati a cui viene data una forma conica. I colori di cui si tingono le Candy Corn sono caratteristici: bianco, arancione e giallo all’insegna di una solare giocosità.

 

La Bundt Cake

E’ un’altra specialità americana, nonostante il suo nome vanti un’origine germanica. Ha una forma a ciambella che la rende molto simile al ciambellone italiano; ne esistono varie versioni, ma per celebrare Halloween si predilige la variante al cacao ricoperta di squisita glassa al cioccolato.

 

La Divinity Candy

Sono dolcetti molto popolari nel Sud degli Stati Uniti. Somigliano a delle meringhe, oppure a dei torroncini, e tra i loro ingredienti risaltano lo zucchero bianco, l’estratto di vaniglia, gli albumi d’uovo sbattuti e lo sciroppo di mais. Per renderli ancora più deliziosi vengono guarniti con frutta secca e noci pecan, una varietà dal sapore particolarmente intenso diffusa in paesi come il Texas e la Louisiana. Oltre che ad Halloween, negli USA si gustano durante le feste natalizie.

Passiamo ora a quattro cibi tradizionali irlandesi.

Il Barmbrack

E’ il dolce di Halloween per eccellenza. Si tratta di un pane dolce (o di pagnotte) contenente uva passa e uva sultanina, ed è legato ad usanze antichissime: si dice che il bàirìn breac (questo il suo nome in irlandese) sia “chiaroveggente”. Al suo interno, infatti, si soleva inserire alcuni oggetti che avevano un significato ben preciso. Il pisello indicava che si sarebbe rimasti single fino alla fine dell’anno, il panno era foriero di povertà, la moneta di ricchezza e di un matrimonio imminente, e così via. Il medaglione con l’immagine della Madonna presagiva addirittura una vita consacrata a Dio. Oggi tutti quegli oggetti sono stati eliminati, ma ne rimane uno: l’anello, simbolo di un radioso futuro.

 

Il colcannon

Dal dolce passiamo al salato, ma sempre all’insegna della bontà. Il Colcannon è un piatto composto da latte, burro, patate e cavolo (in irlandese “càl”, da qui probabilmente il nome “colcannon”) riccio o cappuccio. A volte si aggiungono delle cipolle, erbe varie ed erba cipollina, per poi consumare il pasto con un “ensemble” di carne di maiale. Quando arriva Halloween, anche il Colcannon diventa “chiaroveggente”: al suo interno vengono inseriti un bastoncino, alcune monete, il lembo di uno straccio e un ditale. Come avveniva per il Barmbrack, lo straccio è l’emblema di un futuro di povertà; il bastoncino, invece, annuncia dei problemi nella vita di coppia.

 

I Boxty

Un’altra ricetta tipicamente irlandese: i Boxty sono frittelle di patate la cui origine risale alla grande carestia che flagellò l’isola di smeraldo durante la metà dell’800: anche le patate eccessivamente ricche di acqua dovevano essere utilizzate. I Boxty, non a caso, contengono un mix di patate bollite e crude a cui vengono aggiunti il lievito, la farina, il burro e il latte. Dopo averli uniti in un composto omogeneo, con esso si preparano delle frittelle lievemente dorate e insaporite con una cipolla tritata, erbe aromatiche o spezie e una buona dose di panna acida.

 

Il Champ

Simile al Colcannon, il Champ proviene dall’ Irlanda del Nord; più precisamente dall’ Ulster, dove è nato nelle case che costellano le verdi lande di campagna. I suoi ingredienti principali sono il purè di patate, lo scalogno tritato, il latte caldo, il burro, il sale e il pepe. Per donargli un pizzico di sapore in più, non è raro che si aggiunga una manciata di cipollotti. Nel Sud dell’ Irlanda viene spesso chiamato “Poundies”. La notte di Halloween, il Champ è associato a una magica tradizione: si usa offrirlo alle fate lasciandolo in un piatto (munito di cucchiaio) sotto a un biancospino.

 

Foto del Colcannon di TheCulinaryGeek from Chicago, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto del Champ di Glane23, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Countdown to Halloween: inizia la maratona di VALIUM

 

“Il vento si appollaiava tra gli alberi, poi spazzava i marciapiedi con gli artigli sottili di un gatto. Tom Skelton rabbrividì. Tutti sapevano che il vento, quella sera, era un vento insolito; anche l’oscurità era insolita perchè era Halloween, la vigilia di Ognissanti. Tutto pareva tagliato in un morbido velluto nero, dorato, arancione. Il fumo si arricciolava fuori da mille camini, come i pennacchi di un corteo funebre. Dalle cucine esalava il profumo delle zucche; quelle svuotate della polpa e quelle che cuocevano dentro il forno. Il chiasso dietro le porte chiuse delle case crebbe in maniera impossibile, mentre ombre di ragazzi si stagliavano dalle finestre. Ragazzi semisvestiti, con la faccia truccata; qua un gobbo, là un piccolo gigante. Si frugava nelle soffitte, si forzavano chiavistelli, si buttavano all’aria vecchi bauli alla ricerca dei costumi. Tom Skelton si mascherò da scheletro. Sghignazzò soddisfatto ammirando la colonna vertebrale, le costole, le rotule che spiccavano candide sulla stoffa nera. Che fortuna il mio nome! pensava. Tom Skelton. Fantastico per Halloween! Tutti ti chamano Scheletro per canzonarti! Quindi come mi travesto? Da scheletro. “

Ray Bradbury, da “L’albero di Halloween”

 

Questo brano, tratto dal romanzo “L’albero di Halloween” di Ray Bradbury, inaugura la maratona che VALIUM dedica ogni anno alla vigilia di Ognissanti. Ci aspetta una settimana (o poco più) all’ insegna di un countdown perfettamente in linea con il 31 Ottobre e i suoi temi: eventi, moda, food, tradizioni, lifestyle, leggende e molto, molto altro ancora. Il tutto, va da sé, in salsa rigorosamente halloweeniana. Omaggeremo Samhain, l’antico Capodanno Celtico, che i mutamenti socio-epocali hanno tramutato in Halloween, la festa più attesa dell’ Autunno – una stagione, peraltro, ribattezzata “spooky season” dagli americani proprio in virtù dell’influenza che Halloween esercita su questo periodo dell’anno. Nelle città a stelle e strisce, zucche intagliate e decorazioni in stile horror stazionano davanti alle case già da inizio Ottobre. Noi dedicheremo a Samhain solo otto giorni, ma sono più che sufficienti per immergerci appieno nella sua atmosfera. Stay tuned e…segui il sentiero di mattoni arancioni!

 

Le mele caramellate, il dolce più sfizioso della stagione fredda

 

Sono invitanti al solo sguardo: rosse, tondeggianti e lucide come non mai, le mele caramellate vengono considerate (soprattutto in America) uno dei dolci più tipicamente autunnali. La raccolta delle mele, infatti, ha inizio a metà Agosto e si conclude a fine Ottobre. Ecco perchè, da Halloween in poi, questi frutti la fanno da padrone su ogni tavola e come ingredienti dolciari: pensate solo alla torta, alle crostate, ai muffin e alle frittelle di mele. Ma per un ghiotto spuntino, molto facile da preparare, le mele candite sono l’ideale. La loro storia inizia nel 1908, quando un venditore di caramelle di Newark, William W. Kolb, decise di ideare una ricetta inedita per il periodo natalizio. Inizialmente pensò a delle caramelle a base di cannella rossa, e preparò subito la miscela. Poi, all’ improvviso, ebbe un’intuizione. Nella miscela immerse alcune mele e si accorse che erano diventate talmente rosse e brillanti da mozzare il fiato. Si affrettò ad esporle in vetrina, avrebbero attirato moltissimi clienti. Non sbagliava: il primo lotto andò a ruba, e tutti gli anni le mele vendute ammontavano a qualche migliaio. Nel 1948, le mele candite venivano commercializzate nelle zone turistiche, nei luoghi di intrattenimento come i circhi e i luna park e in ogni negozio di dolci degli Stati Uniti.

 

 

Oggi, in America sono il dolce-leitmotiv di ogni ricorrenza della stagione fredda. Ma non solo: alla celebrazione delle mele caramellate è stata dedicata una data, il 31 Ottobre, dichiarata ufficialmente il National Candy Apple Day – e coincide con Halloween non a caso, dato che sono una tipicità dolciaria anche di questa festa (da qui l’appellativo di “mele stregate”). Prepararle è molto semplice. Basta lasciar caramellare lo zucchero insieme all’acqua, allo sciroppo di glucosio (o di mais) e a un aromatizzante, come la vaniglia o la cannella. Quando la miscela raggiunge una temperatura di 125 gradi, si aggiunge del colorante alimentare rosso e si immergono le mele una ad una. Ogni frutto, nel frattempo, è stato munito di un lungo stecchino di legno per rendere più facile l’operazione e la successiva degustazione. Infine, si lascia indurire il caramello e il gioco è fatto. Se poi volete sbizzarrirvi a sperimentare, le opzioni sono molteplici: potete utilizzare ingredienti quali il pistacchio tritato, gli zuccherini multicolor o la frutta secca grattugiata per guarnire le mele. Esiste persino un dolcetto, la Toffee Apple, dove la mela è completamente ricoperta di caramella mou. Un’altra versione delle “mele stregate” prevede l’aggiunta di cioccolato fondente (in alternativa bianco, o al latte) e di una manciata di confettini colorati: le mele vanno sempre immerse nello zucchero caramellato, ma una volta che si sarà indurito l’operazione viene ripetuta nel cioccolato sciolto. Dopodichè, si guarniscono le mele con i confettini. Il risultato? Una vera e propria bomba di golosità.

 

 

Foto via Piqsels, Pixabay e Unsplash

 

Il Ceppo di Yule, un’ antica e suggestiva tradizione del Solstizio d’Inverno

 

” Solstizio d’inverno.
Sembra che il mondo voglia dare le spalle alla luce.
I colori nascondono il loro volto.
La terra coltiva l’ombra
come se fosse l’unica cosa che cresce.”
(Fabrizio Caramagna)

 

21 Dicembre, Solstizio d’Inverno: è il giorno più corto dell’ anno. Le ore di buio trionfano, fagocitando quelle di luce. Il Sole, giunto al punto di declinazione minima nel suo moto apparente lungo l’eclittica, sembra arrestarsi (non è un caso che il termine “Solstizio”, in latino “Solstitium”, derivi da “sol”, sole, e “sistere”, ovvero fermarsi). L’atmosfera è sospesa, la natura e il cosmo partecipano silenziosamente a questo importante momento di transizione. Perchè quando l’oscurità raggiungerà il suo apice, la luce ricomincerà ad avanzare a poco a poco. E il Sole rinascerà, si rinnoverà, tornerà a regnare sulla notte. Nell’ era pre-cristiana, i popoli germanici battezzarono “Yule” il giorno del Solstizio: “Hjòl” designava, in norreno, la ruota dell’ anno, che si trova nel suo punto più basso quando l’ Inverno entra ufficialmente. “Hjòl” si tramutò poi nel norreno Jòl e nel tedesco Jul. Tuttora è possibile rinvenire questi termini nelle lingue scandinave, dove indicano sia il Solstizio d’Inverno che il Natale“Jul” in svedese e danese, “Jol” in norvegese, “Joulu” in finlandese (con il significato, però, esclusivamente di “Natale”).

 

 

In un’ epoca in cui la sopravvivenza era legata a doppio filo ai cicli della natura, è facile intuire l’importanza che rivestiva Yule. La resurrezione della luce era un evento ricco di magia, di rituali associati a una simbologia antichissima. Per approfondire questi aspetti, vi rimando all’ articolo “Yule” che ho pubblicato su VALIUM l’anno scorso (rileggilo qui). Oggi ci concentreremo invece su un particolarissimo cerimoniale associato al Solstizio, il Ceppo di Yule o Yule Log.

 

 

I popoli nordici dell’ età pre-cristiana solevano celebrare il Solstizio d’Inverno con  un grosso tronco beneaugurale. La notte più lunga dell’ anno il ceppo si adornava di nastri, bacche e ramoscelli d’edera, poi veniva benedetto e fatto ardere per i dodici giorni dei festeggiamenti solstiziali. Secondo la tradizione, il fuoco precedente doveva essere spento dal capofamiglia e per riaccenderlo si doveva utilizzare un tizzone del tronco bruciato durante il Solstizio dell’ anno prima. Questo rituale aveva una potente valenza emblematica: il fuoco e il suo calore simboleggiavano la nuova luce, l’ardore del Sole che quella notte rinasceva e sarebbe tornato a splendere progressivamente. Ma il fuoco era anche una metafora della vita stessa. Nelle gelide lande del Nord Europa, i focolari erano sempre accesi; il caminetto riscaldava e risultava essenziale per il nutrimento, dal momento che il fuoco si utilizzava per cucinare. Il Ceppo di Yule, dunque, era un emblema di buon auspicio associato alla luce, alla rinascita della natura, alla prosperità: i fondamenti della sopravvivenza.

 

 

Quando il Cristianesimo sostituì le celebrazioni natalizie a quelle solstiziali, lo Yule Log divenne una costante della vigilia di Natale. Le prime testimonianze relative a questa tradizione risalgono alla Germania del XII secolo: un documento del 1184 cita un ceppo di Natale che, acceso la notte di vigilia, veniva fatto bruciare fino all’ Epifania. Alla ricerca del legno adatto si dedicavano giornate intere. I tronchi dovevano essere di albero secco, idonei alla combustione, e non essere stati eletti a tana da qualche animale. In Scozia, gli antichi Celti erano soliti scolpire una figura femminile nel ceppo: raffigurava la Cailleach Nollag, una dea dell’ Inverno, il cui aspetto sinistro veniva stemperato dalle fiamme. Era un emblema della ciclicità della natura; dopo la notte del Solstizio, ogni ora di luce in più equivaleva a un passo verso la Primavera. Con l’avvento del Cristianesimo, la valenza simbolica dello Yule Log mutò completamente: il ceppo aveva la funzione di scaldare Gesù Bambino, mentre il fuoco incarnava l’emblema della Redenzione.

 

 

Dalla Germania, la tradizione dello Yule Log si diffuse in Gran Bretagna, nella penisola scandinava, in tutta la zona alpina, in Spagna, nei paesi dei Balcani e, last but not least, in regioni italiane quali la Lombardia e la Toscana. Successivamente, l’usanza sbarcò persino negli Stati Uniti. Il cerimoniale era simile ovunque: la vigilia di Natale, il ceppo veniva decorato (bacche, pigne, aghi di pino, vischio e piante rampicanti erano gli elementi più usati) e bruciato nel camino con una solenne cerimonia beneaugurale. Lo Yule Log si lasciava ardere per dodici notti di fila, fino all’ Epifania, e i suoi rimasugli, considerati magici, venivano conservati con cura. Ad essi si attribuivano benefici per la fecondità femminile, il raccolto, gli animali da allevamento, il benessere fisico, ed era d’uso utilizzarli per accendere il ceppo del Natale successivo. Ogni paese ha donato la propria impronta a questo rituale. Anche la pianta scelta per il ceppo variava da nazione a nazione: in Gran Bretagna, dove l’ usanza dello Yule Log venne adottata massicciamente, si preferivano la quercia, il pino, la betulla; i serbi optavano per la quercia, mentre i francesi puntavano sugli alberi da frutto.

 

 

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la tradizione del Ceppo di Natale scomparve pressochè totalmente. L’ avvento delle stufe e il minor numero di camini presenti nelle case dell’ epoca fece sì che l’usanza, a poco a poco, si perdesse. Lo Yule Log, tuttavia, continua a esistere sotto un’altra forma: il tronchetto di Natale, uno dei dolci più golosi delle feste. Si tratta di un tronchetto di Pan di Spagna ricoperto di cioccolato e farcito con svariate creme. L’ aspetto è quello di un ceppo ornato di molteplici decorazioni: provate a prepararlo in casa per un Solstizio all’ insegna del gusto. Oppure, ripristinate la tradizione dello Yule Log. Procuratevi un ceppo su cui praticherete dei fori per inserirvi alcune candele. I colori di queste ultime potranno essere tipicamente natalizi, come ad esempio il rosso, il verde, l’oro. Decorate il ceppo con piante, fiori e bacche stagionali. Le candele andranno fatte bruciare durante la notte di Yule: è una variante contemporanea del Ceppo di Natale, ma risulta sempre di grand’effetto.

 

 

Foto del Ceppo di Yule con candele di Jeremy Fulton via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

La colazione di oggi: lo yogurt greco, un alto potere evocativo e nutrizionale

 

E’ gustoso, cremoso, fresco…e soprattutto salutare. Dello yogurt greco si fa un gran parlare, ultimamente. A colazione, in estate, è un alimento ideale. Scopriamo subito il perchè. Il suo sapore, la sua pastosità, sono del tutto diversi da quelli del classico yogurt. Rispetto alla produzione di quest’ultimo, infatti, si avvale di un terzo processo di filtrazione: nel liquido eliminato sono presenti grandi quantità di sodio e di lattosio non fermentati dai batteri, per cui la parte solida rimane particolarmente ricca di proteine. Lo yogurt greco, di conseguenza, viene considerato l’ optimum per gli intolleranti al lattosio e per chi necessita di diete iposodiche. L’ alta quantità di proteine lo rende nutriente, grasso e molto denso, mentre il basso contenuto di zuccheri gli dona il tipico sapore leggermente aspro. Un ulteriore metodo di raffinazione, tuttavia, riduce i grassi dello yogurt al 3%: in questo caso, si parla di yogurt greco “light”. Prenderò in esame la versione light poichè risulta meno calorica. I suoi punti di forza sono rappresentati dalle eccellenti proprietà nutrizionali. Gli amminoacidi essenziali, che contiene in abbondanza, hanno un elevato valore biologico. La notevole concentrazione di un minerale quale il calcio apporta benefici alle ossa, ai denti e muscolari, combinandosi con le virtù del fosforo, dello zinco, del potassio e del magnesio. Lo yogurt greco, inoltre, è ricco di vitamine idrosolubili del gruppo B (prevalgono la vitamina B2 e B 12) e liposolubili del gruppo A come il retinolo. Nonostante la sua cremosità, possiede una quantità d’ acqua considerevole grazie ai nutrienti idrosolubili che vengono assorbiti dalle caseine e dal siero durante la terza filtrazione.

 

 

Lo yogurt greco è un alimento assai saziante, ma si adatta perfettamente a quasi tutti i regimi dietetici. L’ esigua presenza di calorie e di grassi, unita alle massicce dosi di proteine, amminoacidi essenziali e a un cospicuo numero di carboidrati, lo rendono uno spuntino must dopo l’ esercizio fisico: tenetene conto se dedicate la mattina al running, al jogging o a qualsiasi altro allenamento. Fare colazione con questo particolare tipo di yogurt, in più, fornisce tutta l’ energia necessaria per affrontare la giornata. E’ possibile abbinarlo a della frutta fresca, ai cereali, al miele, a svariati sciroppi (qualche esempio? Di amarene, d’acero, d’agave…) per arricchirlo di dolcezza. Durante la stagione calda, lo yogurt greco spopola: degustato con le fragole o con i frutti di bosco è davvero il top, ma lo troviamo anche sotto forma di frozen, gusto di gelato, mousse, guarnizione per dessert quali le torte, i tronchetti e i plumcake.

 

 

Piace perchè oltre che risultare delizioso, è un autentico toccasana per l’ organismo. Andrebbe consumato con moderazione solo da chi è affetto da ipercolesterolemia o da obesità. Riguardo alle “curiosità”, invece, ve ne svelo una che vale per mille: lo yogurt greco, in realtà, è uno yogurt tradizionale bulgaro. E viene prodotto negli Stati Uniti in grandi quantità. Ma allora perchè questo nome? E’ presto detto. Si deve alla magia del marketing, che ribattezzando il prodotto “yogurt greco” mirava a potenziarne il fascino evocativo. Associandolo all’ azzurrità e all’ appeal turistico di un paese che ognuno di noi ha già scoperto o si accinge a scoprire…

 

La colazione di oggi: il cheesecake, a qualcuno piace freddo

 

Le fragole sono, senza dubbio, uno dei frutti più golosi della Primavera. Per rievocare le loro proprietà e i loro benefici cliccate qui. Se invece volete saperne di più sul cheescake alle fragole, continuate a leggere: oggi scopriremo questo delizioso dolce che sembra creato apposta per la stagione calda. Non va tuttavia tralasciato che la succosissima “Fragaria vesca” (questo il suo nome botanico) possiede una versatilità tale da venire utilizzata per preparare, o per guarnire, innumerevoli alimenti. Con le fragole si realizzano sciroppi, marmellate, frullati, gelati, yogurt…inoltre, arricchiscono dessert a dir poco deliziosi. Qualche esempio? Il tiramisù, il soufflé, la crema, la bavarese…per non parlare poi di torte e di dolcetti di ogni genere. Tornando al cheesecake, essendo un dolce freddo è estremamente veloce da preparare. Dall’ aspetto inconfondibile, è composto da due strati: una base di pasta frolla o pan di Spagna sormontata da circa 4 cm di panna e crema di formaggio aromatizzati. La base si ottiene grazie ad una serie di biscotti sbriciolati e amalgamati con il burro, oppure intinti nel liquore o nel caffè; lo strato superiore si avvale, invece, di formaggi estremamente soffici e soprattutto spalmabili, tipo il mascarpone e la ricotta. Per realizzare il topping non c’è che l’ imbarazzo della scelta: via libera alla marmellata, alla salsa di frutta (nel nostro caso, di fragole), alla crema di cioccolato, ai canditi e via dicendo.

 

 

Il cheesecake ha origini molto antiche. Il poeta e filologo greco Callimaco rinvenne riferimenti al dolce in un testo dell’ età ellenistica, il “Plakountopoiikón sýngramma” di Egimio, che eleva la preparazione delle torte al formaggio ad una vera e propria arte. In “De agri cultura”, Marco Porcio Catone descrisse diversi dolci simili al cheesecake nel 160 a. C.. Il Savillum è quello che lo ricorda di più: tra i suoi ingredienti, non a caso, spiccavano la farina, il formaggio, il miele e i semi di papavero. Esistono poi testimonianze relative a un dolce che, nel 776 a.C., in Grecia veniva offerto agli atleti dei Giochi Olimpici; il dessert, preparato combinando il miele con il formaggio pecorino, era noto anche nella Roma antica. A Roma, all’ epoca, si soleva servire inoltre un dolce a forma di pagnotta che conteneva miele, farina e ricotta. Dalle leccornie sopracitate derivano i moderni cheesecake italici, caratterizzati da ingredienti quali la ricotta (o in alternativa il mascarpone), l’ estratto di vaniglia e lo zucchero.

 

 

Come ben saprete, il cheesecake è diffuso in svariati paesi del mondo. E non sempre si tratta di un dolce crudo: negli Stati Uniti, per esempio, la variante cotta è predominante. I cheesecake cotti prodotti a Chicago, in particolare, esibiscono un sontuoso mix di pasta frolla, formaggio cremoso, zucchero e burro. Il cheesecake alla fragola, invece, è tipico soprattutto dell’ Irlanda e del Regno Unito, dove i topping a base di frutti di bosco e di “Fragaria vesca” spopolano letteralmente. 

 

La Superluna rosa, visione d’incanto nel cielo di Aprile

 

La luna, in questi ultimi mesi, continua a sorprenderci con incantevoli spettacoli astronomici. Il prossimo evento che la riguarda è previsto a cavallo tra il 26 e il 27 Aprile: annotatevi subito la data, perchè coinciderà con un fenomeno cosmico senza pari. Preparatevi ad ammirare la Superluna rosa, un plenilunio che vi sembrerà enorme, luminosissimo e più che mai vicino. Alle 5.31 del 27 Aprile, infatti, la luna sarà al perigeo, ovvero nel punto di minor distanza tra la Terra e la sua orbita; da qui quel particolarissimo, affascinante effetto visivo. Non aspettatevi, però, di veder virare al rosa l’ astro d’argento: la Superluna viene definita “rosa” perchè così gli Indiani d’America chiamavano la luna piena d’ Aprile. Il colore rimanda a quello del muschio rosa, una pianta erbacea che in Primavera fiorisce dando vita a degli splendidi “tappeti” in total pink. Il suo nome botanico è Phlox Subulata e proviene dagli Stati Uniti orientali, come spiega il sito della NASA; sboccia proprio ad Aprile, con ampio anticipo su altre specie floreali. Non stupisce, quindi, che gli Indiani americani citassero la sua tonalità vivida per descrivere il plenilunio del quarto mese dell’ anno. Il termine Superluna fu invece ideato dall’ astrologo Richard Nolle nel 1979: sta ad indicare la posizione dell’ astro al perigeo, quando la prossimità alla Terra amplifica le sue dimensioni e lo rende ancora più lucente. “Prossimità” si fa per dire…Sapete quanto disteranno realmente la Luna e la Terra? Nientemeno che 357mila chilometri! Tranquilli, per ammirare questo maxi plenilunio non dovrete fare un’ alzataccia. La Superluna apparirà all’alba del 27 Aprile, ma sarà visibile fino alla mattina del 28. E se mancate all’ appuntamento, avrete altre due chance: il 26 Maggio arriverà la Superluna dei fiori e il 24 Giugno la Superluna di fragola, un motivo in più per godervi la magica notte di San Giovanni.

 

 

 

Occhi puntati su Marte: stasera, due eventi imperdibili riguardano il Pianeta Rosso

 

Marte è, senza dubbio, il pianeta più mitico del sistema solare. Affascina l’ uomo sin dalla notte dei tempi, forse perchè – dopo Venere e Giove – è uno dei corpi celesti maggiormente visibili anche a occhio nudo. Chiamato “pianeta rosso” per il colore della sua superficie desertica, pare che 4 miliardi di anni orsono ospitasse mari, fiumi e laghi. Se oggi, infatti, la sua atmosfera è gelida e sottile, un tempo era molto più spessa, e si è sovente pensato che avesse permesso lo sviluppo di qualche forma di vita. I Greci e i Romani, attratti dalla sua tonalità rutilante, associarono subito il pianeta ad Ares e a Marte, il dio della Guerra, mentre ad Aristotele bastò notare un suo transito alle spalle della luna per confutare i cardini del geocentrismo. Galileo Galilei, nel 1609, fu il primo ad osservarlo attraverso un telescopio, e Giovanni Schiaparelli (lo zio astronomo della stilista Elsa) creò una sua accurata mappa alla fine dell’ 800. Dagli anni ’60 del XX secolo, svariate sonde hanno raggiunto Marte con l’ intento di esplorarne il terrirorio. Mariner 4 della NASA, nel 1965, fornì le prime immagini ravvicinate del “pianeta rosso”: mostravano crateri frequentemente ricoperti di ghiaccio a causa delle temperature sottozero. L’ ipotesi che ci fosse vita su Marte, quindi,  cominciò a sfumare con delusione unanime.

 

 

Attualmente, sono ben tre le sonde in volo verso Marte: Tianwen-1 proviene dalla Cina, Hope dagli Emirati Arabi e Mars2020 dagli Stati Uniti. Con Mars2020 atterrerà Perseverance, il quinto rover lanciato dalla NASA, partito dalla base di Cape Canaveral lo scorso giugno. Il suo arrivo sul suolo marziano è previsto per le 21.55 (ora italiana) di stasera, un evento che verrà preceduto dall’ impatto di Perseverance con la rarefatta atmosfera del pianeta (pare che innalzerà la temperatura del suo scudo termico fino a 1300°C). Lo sbarco del rover, comunque, non sarà l’unico fenomeno a cui potremo assistere in serata. Marte, che per tutto il mese di Febbraio è osservabile a occhio nudo al calar del buio (basta seguire la sua rotta da Sud Ovest verso Ovest prima che tramonti a notte fonda), darà vita a una favolosa congiunzione con la Luna intorno alle 19. La Luna crescente, a un giorno del primo quarto, stazionerà insieme a Marte nella costellazione dell’ Ariete: l’ astro d’argento e il pianeta rosso si accingono a regalarci uno spettacolo assolutamente imperdibile. L’ atteraggio di Perseverance, altra news di spicco di questo 18 Febbraio, potrà essere seguito alle 20.45  in diretta streaming sul canale YouTube e sulla pagina Facebook della UAI (Unione Astrofili Italiani) grazie all’ iniziativa Mars Nights. Cliccate qui per avere maggiori informazioni sull’ evento on line. Rimarrete piacevolmente sorpresi leggendo che persino Dante Alighieri e David Bowie parteciperanno all’ appuntamento!

 

 

 

“To my Valentine”, il rito più romantico di San Valentino

 

La parata di vintage card che VALIUM ha pubblicato a Natale (clicca qui per rivederla), merita un sequel in occasione di San Valentino. Eh già: la tradizione tutta anglosassone delle “Valentine” annovera card magnifiche, davvero troppo belle per essere trascurate. Inviarne una all’ amato (o all’ amata) rappresenta tuttora un must del San Valentino negli USA e nel Regno Unito. Ma com’è nata questa usanza? Pare che abbia origini antichissime, addirittura risalenti alla Guerra dei Cent’Anni. Si dice che nel 1415, dopo la battaglia di Azincourt, Charles d’Orléans inviò un romanticissimo biglietto alla consorte mentre era prigioniero nella Torre di Londra. Oggi, quella cartolina viene considerata il prototipo delle Valentine ed è stata addirittura esposta al British Museum. Il duca d’ Orléans introdusse inconsapevolmente un rito che ha attraversato i secoli con il suo alone di profonda poesia. Le cartoline di San Valentino, nel 1500, erano ormai una tradizione consolidata, ma fu durante l’ epoca vittoriana che conobbero un vero e proprio boom.

 

 

In quel periodo in Inghilterra fu introdotto il Penny Post, una spedizione al costo di un Penny per l’ invio della corrispondenza. La nuova tariffa, decisamente economica, incrementò l’ usanza degli Auguri del 14 Febbraio in modo esponenziale. La grafica delle cartoline divenne sempre più ricca: carta intagliata a effetto pizzo, fotografie ritoccate, rebus e acrostici proliferavano, alternando la tenerezza agli enigmi incentrati sul nome della persona amata. Ad essere raffigurati erano soprattutto Cupido e dolci angioletti affiancati da fiori, cuori, colombe, ghirlande floreali….tutti rispondenti a un simbolismo ben preciso. Gli angeli fungono da trait d’union con il divino, mentre il linguaggio dei fiori lancia messaggi inequivocabili. La colomba è un emblema di amore puro, impersonato anche dai bambini frequentemente riprodotti sulle card. E se la rosa rossa  rappresenta la passione, è tutto fuorchè carnale il sentimento che celebrano le cartoline. La ricorrenza di San Valentino viene associata all’ amore autentico, eterno: la freccia di Cupido punta dritta al cuore e lo fa suo per sempre.

 

 

Negli Stati Uniti le Valentine si diffusero intorno al 1800, e con l’artista Esther Howland raggiunsero l’apice dell’ estro illustrativo: le card che creava erano adornate di nastri, di merletti, non di rado anche di foglie e petali. Alla raffinatezza delle sue opere si contrapponevano elaborati esemplari che spaziavano tra il pop up e il 3D. Nei primi anni del ‘900, la Norcross si impose come azienda leader nella produzione di Valentine, un dato indicativo ai fini di rilevare quanto fosse radicata questa tradizione. Attualmente, come ben sappiamo, gli auguri di San Valentino vengono inviati soprattutto via smartphone, con le app di messaggistica. Il che mi ispira una considerazione: dovremmo ripristinare il rito delle Valentine. E’ di gran lunga più poetico, ma non solo. Oltre che le coppie, di questo “ritorno al cartaceo” potranno beneficiare i single. Che cosa c’è di più romantico, infatti, che rivelare i nostri sentimenti per iscritto – e tramite un gesto vagamente d’antan – a chi vorremmo come partner? Se siamo sulla stessa lunghezza d’onda, il prossimo San Valentino lo passeremo in coppia. Garantito!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una Valentine di Esther Howland

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto, dal basso verso l’alto.

N. 2 via Joe Haupt from Flickr, CC BY 2.0

N. 18 via Joe Haupt from Flickr, CC BY-SA 2.0

N.5  via Dave from Flickr, CC BY-ND 2.0

N. 17  via Peter -J – Pann from Flickr, CC BY 2.0

N. 11 via National Library of Norway [No restrictions]

N. 13 via Dave from Flickr, CC BY-ND 2.0

N. 12 via Peter-J-Pann from Flickr, CC BY 2.0