Florigrafia: i fiori e il loro intrigante linguaggio

 

Che anche i fiori parlino, è risaputo. Il noto slogan “Ditelo con i fiori”, a tal proposito, è indicativo: ogni fiore veicola un messaggio, comunica qualcosa. Si associa, cioè, a un determinato significato simbolico. E attraverso la florigrafia, una disciplina diffusissima nell’ Ottocento, può sostituire le parole tramite l’accezione che viene data al suo colore e alla sua specie. I fiori sono stati collegati a specifici concetti sin dall’ epoca dell’antica Roma: esistevano tipologie di fiori con cui onorare le divinità, allontanare la sfortuna e propiziare la buona sorte. Durante il Medioevo e il Rinascimento, quella consuetudine andò evolvendosi e cominciò a identificarsi con nozioni morali da attribuire a ogni pianta. Il linguaggio dei fiori così come lo conosciamo oggi è stato introdotto in Europa da Mary Wortley Montagu, la consorte dell’ ambasciatore britannico a Costantinopoli. In alcune sue lettere date alle stampe nel 1763, Lady Mary Wortley Montagu raccontava di una tradizione turca denominata “selam”: i turchi, infatti, erano soliti associare una valenza emblematica a svariati fiori e frutti e agli arnesi più disparati. Ciò ha suscitato un immediato interesse nei confronti della suddetta usanza, che nell’età vittoriana ha conosciuto un vero e proprio boom.

 

 

Il linguaggio dei fiori, detto florigrafia, all’epoca iniziava ad essere legato ai sentimenti. Nell’Ottocento hanno cominciato a propagarsi i “flower books”, libri specificamente dedicati a quella disciplina, la cui grafica era un capolavoro di eleganza: incisioni, illustrazioni e litografie impreziosivano ogni pubblicazione, fornendo una sorta di validità scientifica alle convinzioni popolari che circondavano il mondo delle piante. In Europa era esplosa la passione per la florigrafia, e i libri a tema proliferavano letteralmente. Le opere più conosciute rimangono Abécédaire de flore, ou language des fleurs (1811) e Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (1818), che hanno visto la luce rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il volume che ha però raggiunto una fama straordinaria è Les Language des Fleurs di Charlotte de Latour, dato alle stampe nel 1819. Pare che il nome dell’autrice fosse l’alias di Louise Cortambert, moglie di un noto bibliotecario parigino. Del libro, ricco di litografie botaniche ad opera dell’artista Pancrace Bessa, sono state realizzate molteplici ristampe e il successo che ha riscosso è stato enorme.

 

 

Oggi, alla florigrafia non si guarda più con molto interesse. Il linguaggio dei fiori è una disciplina conosciuta solo da pochi esperti. Eppure, soprattutto al momento di regalare un bouquet floreale, parecchi di noi si pongono il quesito del significato di quei fiori: alcuni sono piuttosto noti, altri meno, ma di solito un fioraio è in grado di fugare i nostri dubbi. Le rose, ad esempio, rimangono il fiore più ricco di significati simbolici. In molti sappiamo che la rosa rossa è un emblema di passione, la rosa rosa di amicizia e soavità, la rosa gialla di gelosia e quella bianca di purezza. Del significato di tantissimi altri fiori, invece, purtroppo non tutti sono a conoscenza. Ne cito qualcuno in ordine sparso: la lavanda indica sfiducia, il girasole solarità, il narciso amore non corrisposto, il myosotis (comunemente noto come nontiscordardime) vero amore, il bucaneve speranza, l’orchidea completa dedizione amorosa e il glicine amicizia. Sarebbe bello ricominciare ad appropriarsi delle valenze che si associano a ogni fiore, e iniziare a comunicare attraverso il linguaggio dei fiori tutte le volte che vogliamo: i messaggi sottili e raffinati che la florigrafia veicola risulterebbero, senza dubbio, molto più intriganti di qualsiasi contatto via web.

 

Illustrazioni via Pixabay

 

La colazione di oggi: il caffè, “bevanda stimolante” dalle portentose virtù

 

Una rubrica incentrata sulla prima colazione non può certo tralasciare il caffè, delizia e “motore” di ogni mattina. In Italia degustare un espresso è un rito, un piacere da assaporare – da soli o in compagnia – a tutte le ore del giorno. In questo articolo, però, verrà preso in considerazione il caffè del risveglio: quello che prepariamo ancora assonnati, che sentiamo borbottare nella caffettiera mentre la cucina si riempie del suo invitante aroma. Perchè berlo è come compiere un autentico incantesimo; il sonno se ne va lasciando il posto a un’ energia travolgente. Ma quali sono, esattamente, le proprietà del caffè, e quali benefici comporta il consumarlo? Lo scopriremo subito. Non è un caso, innanzitutto, che in arabo “caffè” significhi “bevanda stimolante”. I celebri chicchi non sono altro che i semi di una pianta tropicale del genere Coffea, appartenente alla famiglia delle Rubiaceae. Le specie più note sono l’ arabica e la robusta, anche se la prima vanta origini più remote. Prodotto anticamente a Caffa, in Etiopia, il caffè si è fatto a poco a poco conoscere in Medio Oriente e poi in tutto il mondo. Il suo punto di forza è senz’altro la caffeina, una componente nutrizionale dal potente effetto energizzante: quando viene assorbita, nel cervello rilascia neurotrasmettitori quali la dopamina e la noradrenalina, che stimolano i neuroni attivamente; ne conseguono benefici per la memoria, l’ umore e le funzioni cognitive. La caffeina ha proprietà digestive, poichè potenzia la secrezione gastrica. Svolge un’azione tonica sul cuore e sul sistema nervoso, e favorisce persino il dimagrimento: brucia infatti grassi e calorie per tramutarli in fonti di energia. Se consumato in quantità elevate, inoltre, il caffè riduce l’appetito drasticamente. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la caffeina possieda spiccate virtù antiossidanti e antinfiammatorie, ma le ricerche sono tuttora in corso.

 

 

Gli effetti collaterali della caffeina sono essenzialmente legati a un consumo massiccio di caffè. Nervosismo, eccitabilità e insonnia sono i rischi più noti associati all’ abuso della bevanda, a cui possono aggiungersi l’ ipertensione, la tachicardia e i disturbi all’ apparato digerente causati da un’ eccessiva stimolazione della secrezione gastrica. La funzione “dimagrante” del caffè, poi, viene completamente azzerata quando aggiungiamo lo zucchero o del latte, giacchè sono entrambi apportatori di calorie. La caffeina è controindicata per chi è affetto da osteoporosi o da anemia: riduce l’assorbimento del calcio e del ferro determinando un peggioramento di queste due patologie. Se bevuto nella giusta quantità, comunque, il caffè è una bevanda benefica che pare protegga anche dai disturbi cardiovascolari e dal diabete mellito di tipo 2. Ma a quante tazzine ammonterebbe un consumo moderato di caffè? Chi è in buona salute non dovrebbe oltrepassare i tre, massimo quattro, caffè al giorno.

 

 

In Europa il caffè apparve per la prima volta nel 1565, durante il Grande Assedio di Malta. I musulmani turchi, fatti prigionieri dai Cavalieri di San Giovanni, erano soliti preparare la bevanda più amata nel loro paese: a Istanbul il caffè veniva consumato in dei locali appositi, a mò di rito conviviale, e il Capo Caffettiere rivestiva un ruolo di spicco presso la Corte ottomana. A Malta, dove la bevanda divenne celebre soprattutto tra le classi abbienti, le caffetterie cominciarono a proliferare. Sempre nel XVI secolo, il caffè arrivò in Italia: Venezia, che intratteneva molti rapporti commerciali con l’ Oriente, fu la prima città a diffondere il suo consumo. Pare che alcuni religiosi fecero pressioni su Papa Clemente VIII affinchè bandisse “la bevanda del diavolo”, che così avevano ribattezzato per le sue proprietà eccitanti. Il Papa, però, dopo averlo assaggiato di persona, espresse un giudizio positivo sul caffè, che definì invece “bevanda cristiana”. Nel 1645, di conseguenza, la Serenissima ospitava più di una “bottega del caffè”.  Alla storia del caffè e all’ espansione della caffeicoltura, argomenti vastissimi e complessi, si affiancano numerose leggende.

 

 

Una di queste, ad esempio, racconta di un pastore etiope chiamato Kaldi. Costui si accorse che le sue capre, dopo aver mangiato le bacche di una pianta e averne masticato le foglie, erano rimaste sveglie e vivacissime tutta la notte. Il pastore attribuì la causa di ciò alle bacche, così raccolse i semi della pianta, li abbrustolì e macinò per sperimentare il loro effetto personalmente. Ottenne un infuso altamente energizzante, il caffè. Una differente versione della leggenda colloca il pastore in Arabia e cambia il suo nome in Kaddi: l’uomo sottopose le bacche che tanto avevano animato le sue capre all’ attenzione dell’ abate Yahia. Con quelle bacche, dunque, l’ abate preparò una bevanda scura che rinvigoriva il corpo e teneva lontano il sonno. Non c’è bisogno di specificare che fosse il caffè. Un’ altra leggenda ha come protagonisti Maometto e l’ Arcangelo Gabriele. Un giorno Maometto si ammalò gravemente e l’ Arcangelo accorse in suo aiuto; gli portò una bevanda dal colore della Sacra Pietra Nera della Mecca, consegnatagli da Allah personalmente, e quando Maometto la bevve guarì all’ istante. Secondo un’ ulteriore leggenda, invece, il monaco arabo Ali ben Omar si recò nella città di Mokha per curare, con l’ intercessione di Allah, i contagiati dalla peste che imperversava in zona. Riuscì a ridare la salute a un gran numero di malati, persino alla figlia del Re (della quale si era innamorato). Il Re, però, lo allontanò dalla città obbligandolo a vivere isolato sulle montagne. Sfinito dalla fame e dalla sete, un giorno Ali invocò il suo maestro deceduto poco tempo prima. Questi inviò da lui un meraviglioso uccello, canterino e dalle piume multicolori. Quando Ali si diresse verso il volatile,  si trovò davanti una pianta ricolma di bacche rosse. Era una Coffea. Con quelle bacche preparò un decotto per i pellegrini che erano soliti fargli visita, e quando nel Regno si sparse la voce delle portentose virtù della bevanda il monaco vi fu riammesso con tutti gli onori.

 

La colazione di oggi: il croissant, per iniziare la giornata in dolcezza anche in vacanza

 

Accantoniamo per un attimo gli alimenti tipicamente estivi (tipo il gelato, approfondito nell’ ultima puntata di questa rubrica) accendendo i riflettori su uno degli storici protagonisti della prima colazione: il croissant. In realtà, anche il cornetto può essere considerato un basic dei mesi caldi. Soprattutto in vacanza, quando lo ritrovate puntualmente nel buffet breakfast del vostro Hotel o lo assaporate nel baretto sulla spiaggia. Che dire, poi, delle albe a base di croissants e bomboloni dopo aver folleggiato tutta la notte? Il gusto delizioso dei cornetti appena sfornati è senza dubbio uno dei motivi in più per attendere il sorgere del sole. E a ragione, perchè questo celeberrimo dolce da forno  – che i francesi chiamarono “croissant” per la forma che richiama la luna crescente – è un concentrato di ingredienti semplici ma squisiti: burro, uova, zucchero e farina con l’ aggiunta del tuorlo d’uovo per realizzare la tipica doratura esterna. Internamente, invece, può contenere un ripieno di marmellata, cioccolata o crema. E’ chiaro che, parlando del croissant, le virtù salutari vanno di pari passo con il gusto. Essendo un dolce non difetta di calorie (soprattutto se farcito con uno dei golosi ripieni di cui sopra), anche perchè contiene un’ alta quantità di carboidrati. In un’ ipotetica classifica dei suoi componenti, subito dopo i carboidrati troviamo i grassi e le proteine, ma anche le fibre, i sali minerali e le vitamine: il croissant, particolarmente ricco di potassio, magnesio, sodio, calcio e fosforo, fornisce un buon apporto di vitamina  A, E e B9.

 

 

Il fatto che non sia privo di grassi e carboidrati, comunque, non deve sembrare una sorta di “alert”. Certo, il croissant va evitato se si è a dieta, ma i carboidrati costituiscono un’ ottima fonte di energia e l’ideale è consumarli di mattina, proprio con la prima colazione; vi daranno tutto lo sprint necessario per iniziare la giornata  e rifarvi dal digiuno delle ore di sonno. Via libera al cornetto, quindi…e senza sensi di colpa!

 

 

Passiamo ora a qualche cenno storico e alle curiosità su questo bestseller di pasticceria. In primo luogo va detto che, nonostante sia considerato tradizionalmente francese, il croissant ha origini austriache: veniva chiamato kipferl e pare che esistesse già intorno al 1200. A farlo conoscere in Francia fu Maria Antonietta, che dopo il matrimonio con Luigi XVI fece arrivare dall’ Austria la ricetta del suo dolce preferito, ma la vera e propria diffusione del kipferl avvenne nel 1837 circa con l’ apertura della Boulangerie Viennoise a Parigi. Questa pasticceria proponeva prodotti tipicamente viennesi, e il cornetto che Maria Antonietta aveva tanto amato riscontrò un incredibile successo. I francesi lo reinterpretarono a modo loro ribattezzandolo “croissant”: nei primi anni del XX secolo divenne un must della prima colazione in tutto il paese. Ben presto, avendo raggiunto un’iconicità pari a quella della Tour Eiffel, fu assurto ad emblema dolciario della Francia, dove negli anni ’70 veniva consumato e venduto in apposite “croissanteries”. A contraddistinguerlo da sempre, tuttavia, è il burro in dosi massicce che gli conferisce sapore e consistenza.

 

 

L’ Austria rispunta in una leggenda che coinvolge direttamente il croissant. Si narra che nel XVII secolo, durante un assedio turco a Vienna, un pasticciere notò una galleria che i Turchi, nottetempo, stavano furtivamente scavando nel sottosuolo. Avvertì subito chi di dovere e come ricompensa gli fu offerto di produrre in esclusiva dei dolci a mezzaluna che inneggiavano alla sconfitta degli Ottomani. A livello storico, tuttavia, questi fatti non sono stati mai documentati.