Alle soglie d’autunno
in un tramonto
muto
scopri l’onda del tempo
e la tua resa
segreta
come di ramo in ramo
leggero
un cadere d’uccelli
cui le ali non reggono più.
18 agosto 1935
(da “Parole”, Ancora Editore)
Il blog di Silvia Ragni
Succede soprattutto in Primavera, e anche d’Estate. A notte fonda, quando non manca molto all’alba, gli uccelli iniziano a cantare dando vita a dei veri e propri gorgheggi corali. Molti di noi, da profani, attribuiscono il loro cinguettio alla gioia per l’arrivo della stagione calda: le cose, però, non stanno esattamente in questo modo. Innanzitutto c’è da dire che in città i volatili subiscono il disagio dell’inquinamento luminoso e acustico, per cui a tarda notte si sentono più liberi di vivere in armonia con l’ambiente che li circonda. E poi, i loro canti fanno parte del rituale di corteggiamento: non è un caso che le melodie provengano da esemplari di sesso maschile, che marcano il proprio territorio e cantano per attirare le femmine della specie. Prima si inizia a gorgheggiare, meglio è. Ogni specie di uccello, infatti, ha un suo orario caratteristico e anticiparlo significa surclassare un rivale; per fare un esempio, il codirosso spazzacamino comincia a cantare un’ora e mezzo prima che il sole sorga, mentre il merlo precede l’alba solo di un’ora. La cinciallegra e la capinera, invece, non iniziano che con la luce dell’aurora.
In questo periodo, in piena fase di riproduzione, gli uccelli emettono gorgheggi più che mai “sopra le righe”, elaborati e complessi. Naturalmente, si tratta di un modo per farsi notare dalle femmine. Oppure, le vocalizzazioni notturne permettono loro di comunicare con i compagni: per fargli sapere dove si trovano, ad esempio, o avvertirli della presenza di un predatore. Le specie che cantano anche di notte sono diverse: scopriamone cinque insieme.
L’usignolo (Luscinia megarhynchos)
Gli anglosassoni lo chiamano “nightingale”, un omaggio al suo canto notturno: l’usignolo, nelle ore buie, gorgheggia senza sosta soprattutto nel periodo della riproduzione. Il suo è un canto melodioso, raffinato, quasi ipnotico, che crea un’atmosfera incantata e mira ad attrarre le femmine della specie. Il canto dell’usignolo, infatti, è un potente strumento di seduzione; tant’è che di giorno i maschi gareggiano tra loro per affinare le proprie doti. Questo uccello della famiglia dei Muscicapidi vive essenzialmente nei boschi, dove è distinguibile anche grazie ai suoi inconfondibili gorgheggi.
Il pettirosso (Erithacus rubecula)
Il suo aspetto è inconfondibile, con quella chiazza arancione che esibisce frontalmente. Lo contraddistingue un gorgheggio che esordisce secco e ritmico diventando a poco a poco melodioso; ma il pettirosso è tanto dolce esteriormente quanto aggressivo a livello caratteriale: difende il suo territorio con tutta la tenacia possibile persino dalla compagna con cui si riproduce. Ed è proprio durante la stagione dell’amore che il suo canto si ascolta anche di notte. C’è da dire, inoltre, che questo uccello è particolarmente colpito dall’inquinamento acustico e preferisce gorgheggiare al buio per far sì che le femmine ascoltino meglio il suo richiamo.
Il merlo (Turdus merula)
E’ molto popolare, come d’altronde il pettirosso e l’usignolo. Famoso per la leggenda dei “giorni della merla” che lo vede protagonista in pieno Inverno, in Primavera e in Estate il merlo canta anche di notte. I suoi gorgheggi sono vivaci, brevi e terminanti con un acuto; si esibisce in notturna durante la fase di riproduzione, e secondo alcuni esperti ciò è dovuto principalmente alla stimolazione dei lampioni: il merlo è un uccello altamente fotosensibile, e vivendo soprattutto nei parchi e nei giardini pare che la luce artificiale stimoli il suo desiderio di accoppiamento. L’inquinamento luminoso, quindi, avrebbe provocato squilibri nell’orologio biologico del Turdus merula spingendolo a scambiare la notte con il giorno.
Il succiacapre (Caprimulgus europaeus)
Si chiama così perchè secondo una leggenda secolare, che Plinio Il Vecchio riportò nella sua Historia Naturalis, il Caprimulgus Europaeus si cibava del latte delle capre, che poi rendeva cieche. Altre credenze lo associavano a particolari più lugubri, descrivendolo come un uccello che traeva il proprio nutrimento dal sangue del bestiame ed era legato a determinati riti di sepoltura. Ciò probabilmente dipendeva dal suo misterioso aspetto: il succiacapre si mimetizza alla perfezione con l’ambiente circostante e sembra dotato della virtù dell’invisibilità. E’ un uccello notturno e il suo canto, una sorta di ronzio che nelle fasi acute somiglia quasi ad un martello pneumatico, comincia al crepuscolo e si intensifica a notte fonda. Tra gli autori che lo hanno incluso nelle proprie opere letterarie troviamo Howard Phillips Lovecraft, che lo ha menzionato ne “L’orrore di Dunwich”, ma anche Stephen King e Cormac McCarthy: il succiacapre appare nei loro rispettivi romanzi “Jerusalem’s Lot” e “Figlio di Dio”.
L’assiolo (Otus scops)
E’ un rapace notturno appartenente alla famiglia degli Strigidi, come la civetta e il gufo. In Primavera e in Estate, nelle campagne il suo canto è una costante delle ore buie. Peraltro, non si fa fatica a riconoscerlo: può essere descritto come una nota acuta, monosillabica, ripetuta ad intervalli equidistanti. Al pari di molti altri uccelli, l’assiolo canta per difendere il territorio ed attrarre le femmine della sua specie. I gorghecci ipnotici che lo contraddistinguono rimandano alla notte e alla sua atmosfera sospesa; Giovanni Pascoli ne rimase affascinato al punto tale da dedicargli una poesia, “L’assiuolo”. L’assiolo comincia il suo canto al tramonto e prosegue fino all’alba. Curiosamente, dopo la mezzanotte le vocalizzazioni si interrompono per circa due ore. Un’altra curiosità? L’assiolo spesso duetta con la propria partner, che si distingue per l’intonazione più acuta e la cadenza meno regolare dei gorgheggi.
Foto via Pexels e Unsplash. Foto del succiacapre di Fabio Usvardi – www.italianwildlife.it, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma.
(Paul Valery)
Che fine hanno fatto le rondini? Se le osserviamo mentre sfrecciano nel cielo, finalmente di ritorno dopo giorni e giorni di maltempo, notiamo che sono sempre meno numerose rispetto agli anni scorsi. Quando ero bambina il loro arrivo, i loro garriti, il loro volo che sembrava sfiorare le nuvole annunciava l’inizio della Primavera. Oggi è raro vederle a Marzo, e persino ad Aprile. Generalmente ricompaiono a Maggio, quando il clima è mite a sufficienza e il sole splende. Ma perchè così tardi, e perchè il loro numero si è così ridotto? Pare che ciò sia dovuto al massiccio utilizzo delle sostanze chimiche nell’agricoltura intensiva, che ha determinato una netta diminuzione degli insetti: nutrendosi essenzialmente di zanzare, mosche, libellule e scarafaggi, le rondini non hanno più a disposizione “pasti” appetibili. Anche i cambiamenti climatici, responsabili di drastiche variazioni nelle temperature, hanno influito su quel fenomeno pesantemente. E pensare che le rondini, in quanto uccelli migratori, affrontano un lungo e travagliato viaggio per tornare in Europa dall’ Africa, dove si rifugiano durante la stagione fredda. Spostandosi in immensi stormi, a Primavera risalgono il deserto del Sahara o la valle del Nilo dirette verso il nostro continente. Non volano ad alta quota come quando le ammiriamo, preferiscono sfrecciare a basse altitudini, e riescono a percorrere distanze di 320 km al giorno viaggiando a 50 km orari. Dall’ Africa all’ Europa, le rondini compiono annualmente circa 11.000 km. Quelle che vediamo in Italia, di solito, in Inverno si rifugiano nell’ Africa centrale. Sto parlando della rondine comune, contraddistinta dalla coda biforcuta e dal bicolore blu scuro-grigio che le tinge, rispettivamente, il dorso e il ventre. Pesa solo 20 grammi e non raggiunge i 20 cm di lunghezza, ma è veloce come un razzo!
Se la rondine comune ha questo tipo di caratteristiche, quali sono gli uccelli che le somigliano? Innanzitutto i rondoni, poi i balestrucci. Preferisco però soffermarmi sui primi, elencandovi le differenze principali tra le due specie: della rondine, appartenente all’ ordine dei Passeriformi e alla famiglia delle Hirundinidae, in Europa è diffusa la sottospecie chiamata Hirundo rustica; il ventre chiaro è il suo segno distintivo. Il rondone, il cui nome scientifico è Apus apus, appartiene all’ ordine degli Apodiformi e alla famiglia delle Apodidae. Il suo ventre è scuro, come il dorso. Inoltre, il rondone è in grado di raggiungere velocità incredibili e riesce persino ad assopirsi durante il volo. Un altro particolare che contribuisce a distinguere le rondini dai rondoni è il loro nido, che realizzano in maniera diversa: le rondini sono solite “fabbricarlo” con il fango delle pozzanghere, mescolandolo con erba e piume e collocandolo preferibilmente sotto le grondaie, mentre i rondoni optano per le cavità degli edifici e le fessure che si aprono lungo i muri. Anche le zone che li vedono più presenti differenziano rondini e rondoni. Le rondini prediligono la campagna, i rondoni la città.
Tornando alla rondine, dobbiamo sapere che entra in cova al principio di Maggio. E qui mi riallaccio al discorso iniziale, ossia alle rondini che sono sempre di meno: in virtù di ciò, la legge ha tassativamente vietato di eliminare o danneggiare i loro nidi, dove due volte all’anno depongono quattro o cinque uova che sia il maschio che la femmina della specie covano per circa un paio di settimane. I cuccioli di rondine diventano “adulti” a 20 giorni, e non è raro vederli prendere il volo in un lasso di tempo così breve. Negli ultimi anni, i nidi dell’ Hirundo rustica si sono concentrati nei sottotetti delle case: come ho già accennato e ora ribadisco, evitate assolutamente di rimuoverli, perchè le rondini e i loro nidi sono protetti dalla legge. Ma non solo per questo. Le rondini, infatti, sono uccelli importantissimi per il mantenimento dell’ecosistema.
Essendo un insettivoro, la rondine si ciba di molti insetti dannosi per le coltivazioni agricole. Per esempio la Piralide, un noto parassita del mais. In più, nutrendosi delle mosche e dei tafani che ronzano intorno ai bovini, li lascia più liberi di produrre concime sotto forma di letame, essenziale per incrementare la fertilità dei campi. Le rondini sono utilissime ai fini di proteggere la biodiversità: la loro funzione è essenziale proprio per questo. Rispettiamole, e garantiamo la loro sopravvivenza.
Abbiamo parlato del ritorno delle rondini; ma quando se ne vanno? Naturalmente con l’approssimarsi dell’ Autunno, prima che arrivino i primi freddi. A Settembre sono già pronte per la migrazione: è curioso notare come si radunino sui fili del telefono o della luce in grandi stormi. Da lì si dirigono verso l’Africa, dove potranno godere del clima caldo per tutta la durata del nostro Inverno. Sono le rondini nate nei mesi estivi, le più piccole, ad iniziare il lungo viaggio. Qualcuna, tuttavia, decide di posticipare la partenza a Ottobre: in ogni caso, si tratta di casi isolati e di rondini in età matura.
Foto via Unsplash
“Al centro del Golfo di Botnia, quasi a metà strada tra la Finlandia e la Svezia, si trovano delle isolette verdeggianti, le Isole delle Piume. Sono un vero splendore! Nessuno crederebbe mai che nel bel mezzo del mare inospitale, dove nelle notti d’autunno le onde sono alte come case e le navi rischiano il naufragio, ci siano delle isole così belle, verdi e soleggiate a offrire un riparo sicuro al navigante stanco. Lì non imperversano tempeste, non si frangono le onde, nè i gabbiani levano i loro gridi monotoni. Lì tutto respira pace e serenità: il vento si placa, le onde sonnecchiano, gli uccelli cantano in sordina e il chiaro di luna sparge i suoi riflessi dorati sugli alberi e sui fiori profumati che si dissetano alla rugiada nel fresco della sera. Ah che sollievo, che conforto, per chi su una barchetta lotta tra i flutti della vita, trovare riparo su un lido bello e propizio come le Isole delle Piume. Molti però le cercano invano: vengono sballottati dai flutti giorno e notte senza mai avvistarle. Altri per scovarle darebbero mari e montagne d’oro, eppure per loro quelle isole felici restano immerse negli abissi marini. Perchè le Isole delle Piume sono un luogo strano e misterioso. Non c’è marinaio abbastanza abile ed esperto, avesse pure fatto il giro del mondo, da trovarle alla luce del giorno, quando splende il sole e uomini e bestie lavorano di buona lena. Se invece è stanco per la fatica e la lunga veglia e si corica nella sua barchetta dopo aver recitato le preghiere della sera, ci arriva di sicuro, come guidato dalla bussola e dalle carte nautiche. Perchè alle Isole delle Piume ci si arriva solo attraverso tre rotte imperscrutabili, chiamate lavoro sodo, buona salute e coscienza tranquilla.”
Zacharias Topelius, da “Le Isole delle Piume”, in “Castelli d’Aria e altre fiabe finlandesi” (Edizioni Iperborea, 2023)
” La marea gialla – essenza di un mese bellissimo – veniva versata nella macina e usciva dal becco di sotto per essere travasata nei recipienti di terracotta, fatta fermentare e racchiusa nelle bottiglie lavate per l’occasione. Poi veniva sistemata in file ordinate, dorate, negli scaffali bui della cantina. Vino di dente di leone. Parole che significavano estate. Il vino era l’estate catturata e messa in bottiglia. E adesso che Douglas sapeva di essere veramente vivo, e si muoveva fra le cose del mondo per vederle e toccarle tutte, pareva appropriato che un po’ di quella nuova coscienza, di quel giorno di vendemmia così speciale venisse conservato e tappato in cantina, per essere aperto magari in gennaio, durante una nevicata, quando il sole fosse dimenticato da settimane oppure mesi, e il miracolo della coscienza avesse bisogno di una rinfrescatina. Dato che quella sarebbe stata un’estate di inattese meraviglie, Douglas voleva conservarne e imbottigliarne il più possibile, in modo che gli bastasse scendere nel buio della cantina, in punta di piedi, e allungare la mano. E là, fila su fila, col delicato splendore dei fiori che sbocciano di primo mattino, con la luce di giugno che brilla sotto uno strato di polvere, avrebbe ritrovato il vino del dente di leone. Guardalo attraverso quel vino il giorno di inverno e la neve si scioglierà sull’erba e gli alberi saranno ripopolati di uccelli, e foglie e fiori si apriranno di nuovo come un continente di farfalle che volano nel vento. Guardaci attraverso e il cielo, da plumbeo, diventerà azzurro. Tieni l’estate in una mano, versala in un bicchiere (…); cambia stagione, nelle tue vene, portandoti un bicchiere alle labbra e mandando giù un sorso di estate. “
Ray Bradbury, da “L’estate incantata”
” Vorrei essere te, così violenta così aspra d’amore, così accesa di vene di bellezza e così castigata.”
Alda Merini, “Per Una Rosa”
Un angolo magico di campagna, un’ esplosione di bellezza accentuata dal profumo inebriante delle rose: ti si apre davanti inaspettato e subito cattura il tuo sguardo. E’ un sentiero di cui non riesci a calcolare la lunghezza, immerso nel verde e completamente fiancheggiato da rose che lo sovrastano formando un rigoglioso arco. I colori di questo scenario ammaliano al pari dell’ incanto che sprigiona: un etereo connubio di rosa, verde e azzurro a cui si aggiunge il beige/grezzo della terra, tonalità imprescindibile di una cornice naturale da mozzare il fiato. Siamo nel Paese delle Meraviglie? Forse. Oppure no…Quel che è certo, è che solo il mese di Maggio può offrire simili paesaggi da sogno. Ti addentri in quel sentiero con stupore, senza sapere neppure dove ti condurrà. L’azzurro del cielo, nel frattempo, si tinge delle caleidoscopiche cromie del tramonto prima di sfumare in un crepuscolo color indaco. Tutto intorno è quiete, intervallata dal cinguettio degli uccelli e dal ronzio delle api. Farfalle variopinte svolazzano leggere tra le rose, un vento tiepido veicola profumi a miriadi. Continuo ad avanzare mentre l’ ambiente che mi circonda si fa sempre più onirico. “Rosa, Rosae, Rosam”, recito mentalmente. E’ come un mantra, una cantilena ipnotica che mi accompagna lungo il tragitto…Non ho idea di dove il sentiero mi stia portando, ma voglio immaginare che proprio in questo momento, nel qui e ora, Maggio mi abbia dischiuso l’ accesso ad un mondo da fiaba.
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