“Specchio”, una poesia di Salvatore Quasimodo

 

Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

(da “Acque e terre”, edizioni Solaria, 1930)

 

“Marzo”, una poesia di Arturo Onofri

 

Marzo, che mette nuvole a soqquadro
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all’improvviso, come un ladro,
un’occhiata di sole
che abbaglia acqua e viole.

Con in bocca un fil d’erba primaticcio,
marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che separa due stagioni;
e, zufolando, fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace…

 

“Sonetto XVII”, una poesia di Pablo Neruda

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
O freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
Dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato amore che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

(da “Cento sonetti d’amore”)

 

“Sera di Febbraio”, una poesia di Hermann Hesse

 

Bluastro sul pendio del colle al lago di un bagliore
opaco è il crepuscolo di soffice neve che si scioglie,
nella nebbia labili come pallidi sogni
nuotano corone ramose di alberi morti.

Ma per il villaggio, per i vicoli immersi nel sonno
passa il vento notturno, tiepido, calmo e ozioso,
posa alla siepe e negli oscuri giardini risveglia
e nei sogni dei giovani la primavera.

 

Gennaio e i suoi proverbi

 

Gennaio e la saggezza popolare: come possiamo immaginare, sono moltissimi i proverbi riferiti al cuore dell’Inverno. Nel periodo di riposo della terra, quando la neve cade copiosa e il gelo cristallizza la natura in scheletrici arabeschi, si arresta qualsiasi attività agricola. Il suolo, ricoperto di ghiaccio, diventa una distesa arida e priva di vita. In un simile contesto è comprensibile che, anticamente, le popolazioni agresti identificassero l’Inverno con la morte: i mesi freddi trascorrevano in attesa della rinascita primaverile. Da questa condizione sono scaturiti proverbi per la maggior parte  inerenti alla produzione agricola e a tutti gli elementi che potessero influenzarla, sia nel bene che nel male. Non è un caso che tali detti fossero impregnati di superstizione: concentravano in pochi versi, ma di forte impatto, gli ammonimenti per l’intera comunità. Ne riporto alcuni qui di seguito.

 

 

Freddo e asciutto di Gennaio, empiono il granaio

 

 

A mezzo Gennaio, mezzo pane e mezzo pagliaio

 

 

Il buon Gennaio fa ricco il massaio

 

 

Felice il bottaio che pota in Gennaio

 

 

Non v’è gallina o gallinaccia che di Gennaio uova non faccia

 

 

A Gennaio: sotto la neve pane, sotto la pioggia fame

 

 

Primavera di Gennaio reca sempre un grande guaio

 

 

Gennaio fa il ponte e febbraio lo rompe

 

 

A Gennaio tutti i gatti nel gattaio

 

 

Quando canta il pigozzo (picchio) di Gennaio, tieni a mano il pagliaio

 

 

Freddo di gennaio, gela la pentola nel focolaio

 

 

Se Gennaio sta in camicia, marzo scoppia dalle risa

 

 

Chi vuole un buon agliaio, lo ponga di Gennaio

 

 

Gennaio ingenera, febbraio intenera

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

“La Befana”, una poesia di Giovanni Pascoli

 

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello,
ed il gelo il suo pannello,
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

 

 

E si accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare,
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

 

 

Coi suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Coi suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e si allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra:
trema ogni uscio, ogni finestra.

 

 

E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

 

 

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

 

 

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.