Le discrepanze del tempo

 

Rimasi a lungo davanti all’Ottica e Orologi di Österberg: su un letto di argentei fili natalizi e neve sintetica, tra piccoli babbonatale che mi pareva di riconoscere dalla mia infanzia, era adagiata una quantità di orologi: sveglie, orologi da polso, graziose pendole, un orologio della nonna, all’antica, cipolloni da tasca e orologini da signora, su cui era impossibile leggere le ore. Contai ventisette diversi misuratori del tempo, e tutti erano in funzione. E nessuno segnava la stessa ora. Uno le due e un quarto, un altro le quattro e venti, un terzo era quasi sulla mezzanotte, o mezzogiorno. Instancabilmente continuavano a ticchettare, ognuno seguendo il proprio tempo, incuranti gli uni degli altri. Nessuno era sbagliato, nessuno era giusto, non c’era né un prima né un dopo. Tutti erano rivolti a se stessi, al proprio meccanismo. Fuori dalla vetrina era lo stesso. Nella neve che cadeva fitta, gli uomini s’incrociavano, scivolavano l’uno verso l’altro senza nessuna vera contemporaneità. Quando uno si risvegliava dai suoi incubi, un altro s’immobilizzava nel ricordo di un giorno d’estate. La neve mi costringeva a socchiudere gli occhi e mi serrai più stretto il collo del cappotto, mi feci un’insenatura di calma all’interno della stoffa e mi ritrovai nel confuso labirinto del mio proprio tempo, mentre procedevo per quella via in cui, una volta, avevo dato il nome a tante cose. Camminavo con il mio passo da adulto e contemporaneamente, con un’altra parte di me, avevo tre anni. La mano che stringeva la borsa teneva al tempo stesso la mano di mia madre, indicava un cono gelato, si liberava da una mischia in Grecia, seguiva le meraviglie di una partitura. Ogni azione del passato generava mille altre possibilità, scorreva a rivoli verso suoi propri futuri. Ed essi proseguono, sempre più numerosi, nelle terre vergini della coscienza, ombre che t’inseguono e vengono inseguite. Non c’è mai requie. “

Göran Tunström, da “L’oratorio di Natale”

 

 

I “Fab Four” e i Beatles boots, un must della Swinging London

 

” Ottobre 1961. Mentre vagavano per le strade di Londra, due ragazzi un po’ trasandati vennero attratti da una vetrina dov’erano esposti un paio di stivaletti alla caviglia con elastici laterali. Si trattava di una rivisitazione dei classici stivali ottocenteschi, in versione un po’ più affusolata. La vetrina apparteneva ad Anello & Davide, un negozio fondato nel 1922 da due fratelli italiani che nel tempo si erano specializzati nella realizzazione di calzature per lo spettacolo. I tipi entrarono, li provarono, se ne innamorarono, chiesero che venissero “corretti” con un tacco un po’ più alto, ispirato agli stivali da flamenco, e ne ordinarono quattro paia. I due si chiamavano John Lennon e Paul McCartney e avevano da poco fondato i Beatles, un gruppo di musica pop, con George Harrison e Ringo Starr. Prima ancora che raggiungessero la notorietà internazionale e che facessero scalpore con il look mod (moderno), orchestrato dal loro manager Brian Epstein, erano nati i Beatles boots. (…) Era il 23 novembre quando i “Fab Four” vennero invitati a Ready Steady Go, popolare programma TV condotto da  Cathy McGowan (…). In quell’ occasione, con un look fatto di capelli a caschetto, pantaloni affusolati, corte giacche a sacchetto firmate Dougie Millings – da cui spuntavano camicie immacolate e cravatte sottili come nastri – ma soprattutto di stivaletti alla caviglia, incarnarono per 15 milioni di spettatori televisivi l’ immagine dei ragazzi più fighi del momento. Fu allora che, con un look che sarebbe diventato l’ epitome della Swinging London, i Beatles si imposero come un modello da imitare. E, indipendentemente dalle loro “reincarnazioni” estetiche che – passando attraverso il mod arrivarono alle suggestioni psichedeliche della cover di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967) – gli stivaletti sono rimasti la cifra del loro imitatissimo stile. Nè più nè meno delle platform disco-glam di David Bowie o degli occhiali caleidoscopici di Elton John. “

Sofia Gnoli, da “L’alfabeto della moda”, alla voce “Beatles boot”