La festa di San Patrizio e la birra, uno dei suoi simboli

 

Buon San Patrizio, happy St.Patrick’s day! Oggi è la festa del santo patrono d’Irlanda, e ormai anche in Italia la si celebra da tempo. MyVALIUM ha già approfondito la storia, le usanze e i simboli che contraddistinguono questa ricorrenza, il cui colore per antonomasia è il verde (rileggi qui l’articolo). Oggi ci focalizzeremo su un altro argomento: la birra, che il 17 Marzo scorre letteralmente a fiumi. Ma cosa associa San Patrizio alla celebre bevanda aromatizzata con il luppolo? Continuate a leggere e lo scoprirete.

 

 

Bisogna, intanto, considerare che cosa rappresenta la birra per gli irlandesi. La birra è innanzitutto la bevanda nazionale dell’Irlanda, uno dei suoi simboli supremi. Accanto ad essa troviamo i folletti (come il Leprecauno, che custodisce un pentolone ricolmo di monete d’oro), i trifogli, il verde, l’arpa, la croce celtica e George Bernard Shaw, per citarne solo alcuni. La birra può essere considerata uno dei più importanti emblemi socio-culturali del paese insieme al sidro, ottenuto dalla fermentazione alcolica delle mele cotogne. Le prime feste dedicate a San Patrizio sorsero nell’Irlanda del 1600. Secondo alcuni, tuttavia, il culto di Maewyin Succat (nome di nascita del Santo) risale addirittura all’anno 1000, quando San Patrizio cristianizzò l’isola. Proprio a quell’epoca, cominciarono a spuntare molteplici birrifici e sidrifici. L’Irlanda era dominata dai Vichinghi, arrivati sull’isola di smerlando nel 795 d.C. con l’intento di saccheggiarla. Furono proprio i Vichinghi, una volta insediatisi sul territorio, a creare delle importanti rotte commerciali con l’Europa: gli irlandesi iniziarono ad esportare i loro prodotti, in particolare il sidro, che era richiestissimo nel Regno Unito.

 

 

Il commercio marittimo tra l’Irlanda e gli altri paesi proseguì per molti anni ancora, favorito in particolar modo dalle comunità di immigrati irlandesi presenti in ogni parte del mondo. Anche la festa di San Patrizio cominciò a diffondersi a livello mondiale: nel 1800, il 17 Marzo era una data importantissima ovunque fossero presenti degli espatriati irlandesi. Ma non pensate che venisse festeggiata come lo facciamo oggi. Il culto di San Patrizio era prettamente cattolico, legato a messe e processioni dove il sacro rappresentava l’elemento dominante. I festeggiamenti cominciarono a prendere una nuova piega a partire dalla prima metà dell’Ottocento; intorno al 1845 e fino al 1849, in particolare, la grande carestia delle patate provocò una massiccia diaspora irlandese negli Stati Uniti, tra Boston, New York e Chicago, oppure in Canada.

 

 

E in America, la festa di San Patrizio iniziò a poco a poco a diventare una celebrazione che coinvolgeva tutta la popolazione. Il 17 Marzo di ogni anno si omaggiavano non solo San Patrizio, ma  l’isola di smeraldo in toto, con i suoi abitanti e le sue tradizioni. Tra queste ultime, naturalmente, rientravano i simboli. La birra era uno di questi: nel XIX secolo predominava la stout, diffusissima nell’Irlanda settecentesca grazie al birraio Arthur Guinness. Ancora oggi, dopo l’avvento delle Lager (birre a bassa fermentazione), la stout scura rimane uno dei principali emblemi della verde Irlanda unitamente al sidro, meno conosciuto nei paesi mediterranei ma ricco anch’esso di una forte valenza simbolica.

 

 

E se a Chicago ogni anno, in occasione di San Patrizio, la comunità irlandese tinge il fiume Chicago di verde con 40 chili di colorante vegetale, anche la birra ha provato a cambiare colore: la birra verde, prodotta specificamente per il 17 Marzo, non ha però niente a che fare con l’Irlanda: fu ideata nel 1920 da un medico statunitense, Thomas Hayes Curtin, che pare usasse un misterioso preparato per ottenere il color smeraldo. Secondo alcuni, le radici della birra verde affondano invece agli inizi del Novecento. Risale al 1910, infatti, una pagina pubblicitaria di quel tipo di birra rintracciata in un giornale dello stato di Washington.

 

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Il luogo: Gotland, il fascino nordico dell’isola vichinga delle rose

 

Abbiamo già esplorato le isole del Mediterraneo (rileggi qui l’articolo), adesso è tempo di ritornare nel Grande Nord. Precisamente a Gotland, un’isola situata nel mar Baltico, al largo delle coste svedesi sud-orientali: appartenente alla Svezia, dista quaranta minuti di aereo da Stoccolma ed è ricca di storia, cultura, bellezze architettoniche e naturali. Le sue origini antichissime (risalgono al 5000 a.C.) sono circondate da affascinanti leggende; una di queste descrive Gotland come una terra che, generata dal mar Baltico, torna negli abissi ogni sera al tramonto. L’alone mitico che la ammanta si intreccia a doppio filo con la storia dell’isola, che vede protagoniste svariate popolazioni vichinghe: Gotland fu abitata dai Gotlandi, dai Geati e dai Goti, che poi si spinsero a Sud abbandonando la Scandinavia. L’isola ebbe un ruolo molto importante nel commercio tra il Nord Europa e l’Oriente. La sua posizione strategica sul mar Baltico, infatti, la fece entrare di diritto nella Lega Anseatica, che dal 1358 al 1862 detenne il predominio commerciale nell’ Europa Settentrionale e nel mare collocato tra la penisola scandinava e il continente. Non è un caso che il Medioevo, epoca in cui si costituì la storica alleanza, sia uno dei periodi che ha lasciato maggiori tracce architettoniche sull’isola: ne è un esempio Visby, la capitale di Gotland, circondata da imponenti mura fortificate e decretata Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ma lasciando da parte il passato, che cosa rappresenta Gotland oggi? Alcuni la chiamano la “Capri del Nord”: le sue spiagge, le scogliere rocciose della sua costa, gli splendidi paesaggi e gli edifici di design, un connubio di stile tipicamente hygge e pura raffinatezza, la rendono oltremodo speciale. Ma Gotland non è solo questo. E’un’isola verdeggiante, ricca di reperti archeologici, e, su tutto, la patria di un’ottima cucina. Viene considerata, non senza una ragione, la capitale culinaria della Svezia.

 

 

Un altro dei suoi punti di forza è il clima mite. Qui, le rose fioriscono anche in Inverno: un particolare che è valso a Gotland l’appellativo di “isola delle rose”. La secolare isola vichinga appartiene a un arcipelago che comprende isolette come Fårö (dove il regista Ingmar Bergman visse e ambientò molti suoi capolavori),  Karlsö e Gotska Sandön. Vantando una superficie di 2994 km quadri, Gotland è la più grande isola svedese situata nel mar Baltico e la seconda isola, in quanto a estensione, dopo la danese Selandia. Abitata da circa 60.000 persone in tutto, l'”isola delle rose” è rimasta splendidamente selvaggia: alberi in via di estinzione come gli abeti rossi e l’antichissima specie equina dei Pony Gotland, che risale all’Età della Pietra, sopravvivono ancora nelle sue lande incontaminate.

 

 

Dal momento che ha radici così remote nel tempo, ospita numerosi resti archeologici che spaziano dal Paleolitico all’Età del Bronzo, dall’Era dei Vichinghi al Medioevo. Cosa visitare, dunque, in questa suggestiva località del mar Baltico? Non si può che iniziare con il capoluogo, Visby, raggiungibile dalla Svezia (partendo da Oskarshamn) in circa tre ore di traghetto. Visby è una città medievale fortificata che, come vi ho già detto, venne inclusa nella Lega Anseatica: la sua appartenenza a quell’importante alleanza commerciale è compresa tra il XII e il XIV secolo. Nel 1995, omaggiando la sua pittoresca bellezza, l’Unesco ha dichiarato Visby Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il centro storico è percorso da un intrico di viuzze fiancheggiate da case in colori pastello e dai tetti a punta; risaltano le guglie della cattedrale, le chiese e gli edifici sorti all’epoca dei Vichinghi, le torri che intramezzano le mura. Potete visitare la città in tutta calma, a piedi, o decidere – in puro stile nordico – di effettuare i vostri spostamenti in bicicletta.

 

 

Un giro turistico non può prescindere dalle mura della città. Innalzate tra il XIII e il XIV secolo, sono lunghe 3,44 km e completamente edificate in pietra calcarea. Le intervallano trenta torri che oltrepassano i venti metri di altezza; torri ammantate, peraltro, di una potente aura di leggenda: in una di esse, la Torre della Fanciulla, si narra che fu murata viva la figlia di un orefice innamoratasi del re danese Valdemar Atterdag; ciò fu considerato un tradimento nei confronti della città; nella feritoia di un’altra torre, la Sankt Goransporten, è rimasta incastrata una pietra risalente alla guerra civile duecentesca. Dopo la costruzione delle mura, Vilby fu suddivisa in due aree ben distinte. All’interno delle fortificazioni si trovavano gli artigiani e i mercanti, che potevano commerciare con l’estero, all’esterno i pescatori e gli agricoltori, abilitati solamente al commercio interno. Alcuni spazi delle mura, oggi, sono stati adibiti a punti panoramici da cui ammirare lo splendore di Vilby e dei suoi dintorni.

 

 

Il Gotlands Museum è un altro must see: una vera meraviglia per tutti gli appassionati della civiltà vichinga. La fondazione della struttura risale al 1875. Al suo interno, il Museo ospita permanentemente reperti archeologici compresi in un arco di tempo che va dall’Età della Pietra all’Era dei Vichinghi. Accanto ad essi spiccano fossili rinvenuti nel mar Baltico, pietre runiche, e nella sezione dedicata ai secoli più recenti la ricostruzione di una fattoria settecentesca fa bella mostra di sè. Nel Museo viene anche custodito il tesoro vichingo più vasto del mondo: una ricchissima collezione di manufatti e monete in argento e bronzo.

 

 

La Cattedrale è famosa per le sue guglie, un dettaglio inconfondibile e iconico che simboleggia la città di Visby. Destinata ai mercanti tedeschi della Lega Anseatica, la chiesa fu inaugurata nel 1190. Nel 1125 venne dedicata a due tipologie di fedeli, gli abitanti di Gotland e i forestieri; a officiare la messa erano ministri di culto differenti. Nel 1500 le fu conferito lo status di Cattedrale. Questa maestosa chiesa medievale, che nel tempo ha conosciuto molte modifiche, viene tuttora utilizzata. Gli stili predominanti nella sua architettura sono il romanico e il gotico. A Visby esiste circa una decina di ulteriori chiese medievali, ma di esse rimangono solo le rovine. Le più rappresentative sono quelle delle chiese di San Nicola, San Clemente e Santa Caterina.

 

 

Nel Botaniska Tradgarden, il giardino botanico, è possibile effettuare una full immersion nella natura. Sorto nel 1855, si trova nei paraggi del mare; lo contraddistingue un vero e proprio tripudio di verde, piante e fiori esotici, prati tenuti in modo impeccabile. All’interno del giardino sono situate le suggestive rovine della chiesa di Sankt Olof.

 

 

Se siete appassionati del senso del mistero e della cultura ancestrale di quest’isola svedese, non mancate di visitare i suoi labirinti. Si trovano nei pressi della città di Vilby, e nella riserva naturale di Galberget è collocato il più celebre. I labirinti, denominati Trojaborg, sono stati costruiti in tempi remotissimi formando linee quasi circoncentriche con una serie di massi e pietre posati sulla terra. Ma a cosa servivano questi labirinti di sassi? Lo scopo era quello di farvi rimanere intrappolate la sfortuna e le entità malvagie. La maggior parte dei Trojaborg risale al Medioevo, e un buon numero di essi venne realizzato in prossimità delle aree costiere: i pescatori avevano l’abitudine di entrare in un labirinto poco prima di salpare, per propiziarsi una pesca fruttuosa e le migliori condizioni di navigazione; appena finivano di percorrerlo, correvano in tutta fretta sulla loro barca affinchè i troll, le entità malvagie e la malasorte rimanessero imprigionati nel labirinto. Il Trojaborg della riserva naturale di Galberget è stato scoperto nel 1740 e si pensa che sia stato realizzato nel Tardo Medioevo.

 

 

Accanto ai labirinti, a Gotland troviamo anche le navi di pietra, monumenti funerari tipicamente scandinavi dell’Età del Bronzo. All’interno di questi spazi composti da pietre conficcate nel terreno che riproducono la forma di una nave, si seppellivano i notabili della comunità. La forma del monumento serviva a garantire una buona traversata verso l’altra dimensione. Sull’isola, potrete ammirare le navi di pietra nei dintorni di Gnisvärd: una quarantina di case, tradizionali e coloratissime, abitate dai pescatori. Gnisvärd, villaggio estremamente suggestivo, è diventato celebre anche per la prosperosa pesca di aringhe.

 

 

Spostandoci verso la costa, incontriamo un altro tipo di roccia: i raukar, formazioni calcaree dalle forme alquanto bizzarre. Sull’isola di Fårö, di cui vi ho già accennato, si trovano le più spettacolari. Somigliano a colossi di pietra, e la leggenda vuole che il loro sguardo sia costantemente rivolto a Thor, figlio di Odino, divinità norrena del tuono e del fulmine. Fårö conta solo cinquecento abitanti, ma possiede un fascino unico: è selvaggia, incontaminata, vanta un mare cristallino, spiagge con dune di sabbia e un’esplosione di verde rigoglioso. Qui vivono le tipiche pecore di Gotland, che sfoggiano un riccioluto pelo grigio, e i rami degli alberi sembrano torcersi con il vento. Non è un caso che questa sorprendente isoletta sia stata scelta da Ingmar Bergman come location di molti suoi film: ricordiamo ad esempio “Persona” (1966), “L’ora del lupo” (1968) e il famosissimo “Scene da un matrimonio” (1973). Innamorato di Fårö, Bergman decise di viverci fino alla sua morte. Sull’ isola, in suo onore, è sorto il Bergman Center. La struttura include un cinema, una biblioteca interamente incentrata su Ingmar Bergman, e al regista svedese vengono dedicate mostre che celebrano il suo rapporto con Fårö. Esiste anche la possibilità di svolgere dei workshop creativi.

 

 

Tornando a Gotland, vale la pena di fare una visita a Villa Villacolle: è la casa dove venne ambientato il celebre telefilm “Pippi Calzelunghe”, ispirato al personaggio creato negli anni ’40 dalla scrittrice svedese Astrid Lindgren. Villa Villacolle si trova a una manciata di chilometri da Visby, precisamente all’interno del Kneippbyn Resort, un parco dei divertimenti per bambini che comprende un campeggio, un parco acquatico, piscine, scivoli d’acqua e giochi vari. C’è anche la possibilità di praticare windsurf, dato che il mare è a pochi passi dal Resort. Pippi Calzelunghe, in questo luogo, viene omaggiata con numerose e costanti pièce teatrali.

 

 

Veniamo ora a una delle eccellenze di Gotland: la buona cucina. Gotland straripa di ristoranti e bistrot, e nel 2013 è stata addirittura nominata Capitale Culinaria della Svezia. Il clima temperato dell’isola, infatti, rende il suolo particolarmente fertile. Proliferano la verdura, la frutta, le mele in particolare: il maggior produttore di sidro di tutta la Svezia, Halfvede Musteri, non a caso si trova proprio a Gotland. Ma soprattutto, Gotland è un autentico paradiso dei tartufi. Tutti gli anni ne vengono raccolti tra i sette e gli otto quintali, e pare che a Stoccolma siano richiestissimi. Sull’isola sono presenti anche diversi vigneti, e si produce il vino più a nord del mondo. Ma anche la birra non scherza: Gotland vanta la maggior densità di birrifici per abitanti di tutta l’Europa. E siccome in Svezia le bevande contenenti alcol in una percentuale maggiore al 3,5% sono proibite, un birrificio ha lanciato la Sleepy Bulldog, birra analcolica dal gusto squisito. Se adorate i dolci non perdetevi la saffranspannkaka, una torta-pancake allo zafferano tipica dell’isola: viene servita con panna montata e marmellata di more, ed è a dir poco irresistibile.

 

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Foto del Trojaborg di Arkland, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto della nave di pietra di Jürgen Howaldt, CC BY-SA 2.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/de/deed.en>, da Wikimedia Commons

Foto della Saffranspannkaka di Toyah, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

La colazione di oggi: lo Skyr, lo yogurt islandese dei Vichinghi

 

Non è uno yogurt vero e proprio, sarebbe più corretto definirlo un “prodotto caseario”. Ma con lo yogurt ha in comune il colore e la consistenza, anche se solo a prima vista: lo Skyr, infatti, è una crema bianca piuttosto densa. Le sue radici risiedono nel Grande Nord; apprezzatissimo dai Vichinghi, lo Skyr nasce in Islanda molti secoli orsono. Le sue caratteristiche? E’ leggerissimo, altamente proteico e quasi del tutto privo di grassi. Le proprietà e i benefici dello Skyr sono innumerevoli: non è un caso che i nutrizionisti lo includano tra i must della prima colazione. Vale proprio la pena di saperne di più, su questo prodotto super salutare.

 

 

Dove potete trovarlo, innanzitutto? Acquistarlo è semplicissimo: al supermercato viene posizionato nel banco frigo, accanto allo yogurt. Il procedimento per ottenerlo è lungo e complesso, ma può essere riassunto in pochi passaggi. Il latte utilizzato è oggi esclusivamente quello vaccino, ma fino ai primi anni del ‘900 anche il latte ovino figurava tra gli ingredienti base dello Skyr. Per produrre questo alimento, il latte magro viene portato a una temperatura di 85° C in modo da rimuovere tutti i grassi e le caseine. Successivamente, mentre il prodotto va raffreddandosi, si arricchisce con colture vive di batteri generati dal mix tra una produzione antecedente e il caglio, un composto enzimatico. I batteri danno il via a una lenta ma inarrestabile fermentazione, la conditio sine qua non per ottenere il caratteristico gusto acidulo del prodotto, mentre il caglio lo rende cremoso al punto giusto. Seguono un processo di raffreddamento e di filtrazione finalizzati ad eliminare il siero e la cagliata. Lo Skyr preparato artigianalmente, invece, “salta” lo step della pastorizzazione e utilizza soltanto fermenti provenienti dalle produzioni precedenti: la consistenza risulta molto più densa rispetto a quella ottenuta tramite lavorazione industriale, e il sapore acquista un gusto acido decisamente più spiccato.

 

 

Le proprietà dello Skyr sono molteplici. In primis, è un alimento ricco di nutrienti e di proteine, che sono maggiori di gran lunga rispetto a quelle dello yogurt. L’apporto calorico dello “yogurt islandese”, inoltre, è bassissimo, poichè contiene pochissimi zuccheri e una percentuale di grassi ridotta al minimo. Lo Skyr è un’autentica miniera di nutrienti: contiene calcio, potassio, fosforo, vitamina B12, riboflavina, probiotici. Soffermiamoci un istante su questi ultimi. Passando attraverso il processo di fermentazione, lo Skyr abbonda di lattobacilli e bifidobatteri, i cosiddetti “fermenti lattici”. La loro funzione benefica è ormai nota: regolarizzano l’equilibrio intestinale, potenziano le difese immunitarie e agevolano la metabolizzazione dei grassi e degli zuccheri contribuendo al benessere dell’ organismo.

 

 

Contenendo una buona quantità di calcio, lo “yogurt dei Vichinghi” è un vero toccasana per le ossa. Ottimizza lo sviluppo della massa ossea in giovane età e rafforza l’ ossatura delle donne in menopausa, particolarmente inclini all’ osteoporosi. Lo Skyr, infatti, offre un’ ottima protezione contro questa patologia. Le abbondanti proteine di cui è ricco, unite alla bassissima percentuale di grassi, svolgono un’azione protettiva nei confronti dei muscoli e lo rendono un non plus ultra per gli sportivi.

 

 

Essendo un latticino, lo Skyr possiede inoltre la virtù di preservare la salute del cuore: minerali quali il calcio e il potassio sono un elisir di lunga vita per l’apparato cardio circolatorio. In più, l’esigua quantità di carboidrati contenuti nello Skyr contribuisce a mantenere bassi i livelli di glucosio nel sangue. Ma non solo: pare che nutrirsi di cibi proteici ritardi l’assorbimento dei carboidrati e mantenga, quindi, sotto controllo la glicemia.

 

 

Tra tanti benefici, esiste anche qualche controindicazione al consumo dello Skyr? Questo prodotto è leggero e digeribilissimo, tuttavia va sconsigliato agli intolleranti al lattosio. Il modo migliore per assaporare lo “yogurt dei Vichinghi”, come dicevamo, è includerlo nella prima colazione. In commercio è possibile trovarne svariate versioni aromatizzate, soprattutto alla vaniglia. I nutrizionisti, però, consigliano di gustarlo al naturale per apprezzarne le numerose doti: la cremosità, il suo più goloso atout, va adeguatamente valorizzata. Lo Skyr si può accompagnare ai cereali, a dei pezzi di frutta, alla frutta di stagione. Arricchito di fragole, mirtilli, lamponi è delizioso, ma risulta ugualmente invitante se abbinato alla frutta secca o ai semi commestibili. Per dolcificarlo possono essere aggiunti del miele, della marmellata, latte e zucchero…Oppure, provate a sostituirlo ai latticini ricorrenti in tante ricette: quelle del plumcake, cheesecake, tiramisù e via dicendo. C’è davvero da sbizzarrirsi, inventando modi sempre nuovi per gustare lo yogurt islandese dei Vichinghi. Non vi resta che sperimentare!

 

Foto di copertina: IcelandicProvisions, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

Clandestino Susci Bar, un angolo di incanto affacciato sul mare

 

Una baia tra gli scogli, ginestre che tempestano di giallo le pendici del promontorio,  mare turchese senza confini. E al centro di questo paradiso, una palafitta affacciata sull’ orizzonte acquoso di cui riproduce il colore: è il Clandestino Susci Bar, locale-icona della Riviera del Conero e del Parco Naturale che porta lo stesso nome. Arrivate a Portonovo e, mentre percorrete il sentiero per raggiungerlo, vi addentrate in full immersion nella rigogliosa macchia mediterranea. Sentori di ginepro e di corbezzolo, un fico “segnaletico”, il mare che vi si apre di fronte evocando esotici scenari…Tutto contribuisce a regalarvi, strada facendo, un’ inebriante esperienza sensoriale.  Al Clandestino Susci Bar vi attendono menu del tutto inediti e una visuale mozzafiato dell’ Adriatico su cui vi sembrerà di galleggiare: merito delle immense vetrate che valorizzano adeguatamente questo locale “pieds dans l’eau”. Ma a dispetto del nome, non aspettatevi solo susci (con la “sc” al posto dell’ “h” per indicare la sua rivisitazione in chiave creativa). Moreno Cedroni, chef 2 stelle Michelin e un prestigioso CV che annovera premi, pubblicazioni e il ruolo di Ambassador all’ Expo 2015, è pronto a stupirvi con creazioni gourmet ispirate a concept ogni anno diversi. Ma prima di esplorare il menu 2018 e il suo tema, scopriamo qualcosa in più su questo locale che è ormai un must per chi ama evadere in uno scenario incantevole esaltato dai colori del cielo e del mare: è Moreno Cedroni in persona a “raccontarci” il Clandestino e la sua storia.

 

 

Quando è nato il Clandestino, e perchè il suo nome?

Il Clandestino nasce nel luglio del 2000 da un incontro amicale tra me e Maurizio Fiorini, patron dell’Hotel Emilia e appassionato di musica. La canzone di Manu Chao ne ispirò il nome.

Esiste un target di clientela predominante?

Il target di clientela predominante è piuttosto giovane ed informale, il luogo ispira libertà e contatto con una natura incontaminata. Il Clandestino, poi, nel corso degli anni è diventato un locale alla moda e di conseguenza richiama anche curiosi che vengono attirati dalle voci e poi ne rimangono affascinati.

Quali sono le caratteristiche del vostro menu “Primavera/Estate”?

Intanto, una premessa. Ogni anno il Clandestino ha un nuovo menu, una nuova collezione, un nuovo argomento di ispirazione che avvicina il pensiero del sushi – diventato Susci –  ad un pensiero più’ concettuale. Si partì dal Susci a colori, poi ci furono quello figlio dei fiori, quello favoloso, quello letterario e così via fino ai giorni nostri, dove i Vichinghi con i loro ingredienti e le loro tecniche hanno determinato gli ingredienti dei piatti. Questo per quanto riguarda il menu degustazione;  nel menu alla carta, invece, ci sono piatti d’apertura come la polentina con frutti di mare cotti e crudi o la capasanta bruciacchiata, e poi i piatti migliori di ogni stagione.

 

Moreno Cedroni

Qual è, a suo parere, il principale punto di forza del locale, quello che lo rende unico nel suo genere?

Il principale punto di forza è sicuramente la natura incontaminata e protetta del Parco del Conero, i colori che entrano nell’anima, e poi una cucina trasversale alle offerte della baia e comunque nuova, che ogni anno si rimette in discussione con nuovi sapori.

 

 

Il menu degustazione 2018 del Clandestino, “Vichinghi”, è un’ autentica delizia per gli appassionati di mitologia norrena (ma non solo):  le portate hanno nomi come Njord (una rivisitazione alle alghe della bevanda alcolica firmata dallo chef, il Cedronic), Sigurd (Sigfrido, l’ eroe epico a cui è dedicato un piatto a base di carne cruda, susine al Miso fermentate, erba ostrica e polvere di cappero),  Bùri (nonno di Odino e capostipite degli Asi che ha ispirato un goloso mix di sgombro salato, spuma di friggitelli e acqua di cavolo viola),  Thor (la divinità scandinava viene omaggiata con un sontuoso King Crab con pesto di alghe e pastinaca fermentata), Gullveig (alla strega che portò la discordia tra gli Asi è intitolata una frittatina con sarde affumicate, acetosella e olio al dragoncello), Frigg/Freyia (stoccafisso norvegese e baccalà, amatissimi dai Vichinghi, esaltano i propri sapori abbinandosi a una piedina al farro, cipolla agrodolce e acetosella per celebrare la consorte di Odino). Per chiudere in bellezza, un dessert a dir poco iconico: ribattezzato Odhinn (Odino), combina l’ idromele di antica tradizione nordica con gelato al miele e nocciole. Valkyria si avvale, invece, di un ensemble di olivello spinoso, porridge con tapioca e gelato allo skyr inneggiante al folclore e alla simbologia vichinga.

 

Bùri, dal menu 2018 “Vichinghi”

 

Per saperne di più sul Clandestino Susci Bar: 

http://www.morenocedroni.it/clandestino/il-locale/

 

Foto del Clandestino Susci Bar © Francesco Scipioni