“Sulle tracce del Principe Maurice”: la nuova rubrica che VALIUM dedica all’ icona della notte

 

Il Principe Maurice, all’ anagrafe Maurizio Agosti Montenaro Durazzo: un sublime performer, un’ icona della notte e del Teatro Notturno, un Casanova del 2000 che celebra le gesta del seduttore veneziano in Italia e oltreconfine. Ma non solo. L’ eclettismo si addice al Principe, che possiede l’ innata dote – per dirla con Pirandello – di essere “uno, nessuno e centomila” e passa con disinvoltura dal ruolo di Gran Cerimoniere del Carnevale di Venezia ai Memorabilia del Cocoricò di Riccione. Stavolta lo conosceremo, però, in una veste inedita:  quella di amico di VALIUM. Chi mi legge, infatti, sa bene che il Principe è stato ospite del mio blog svariate volte, l’ ultima in occasione di un’ affollatissima serata all’ AERA Club and Place di Fabriano (leggi qui la sua intervista). Strada facendo, quindi, l’ idea di sviluppare un progetto insieme ha preso a poco a poco forma fino a diventare una realtà concreta: “Sulle tracce del Principe Maurice” è una rubrica che seguirà il nostro eroe nei rutilanti eventi che lo vedono protagonista, e accenderà i riflettori su di lui nel ruolo di narratore. Racconti, emozioni, aneddoti: tutto verrà accuratamente mixato in un “botta e risposta” di approfondimento sulla glamourous life del Principe, che ce ne riferirà i dettagli in prima persona. Per iniziare, però, dobbiamo fare un salto retrospettivo. E ritornare con la mente proprio al 20 Gennaio scorso, quando la leggenda vivente della Club Culture approdò nella “città della carta”.

L’ ultima volta che VALIUM ha parlato di te risale alla tua soirée esplosiva all’ Aera Club & Place, in quel di Fabriano. Cos’è successo, da allora?

Ne conservo ancora un piacevole ricordo. A me succedono in continuazione piccole e grandi cose sempre straordinarie… Impossibile descriverle tutte, ma alcune sono anche importanti per il mio vissuto come il trasferimento quasi definitivo nelle Baleari, precisamente a Mallorca e nella sua bellissima capitale Palma (sulle tracce di Chopin, dell’imperatrice Sissi d’Austria, di George Sand…), mantenendo pur sempre il potente legame con Venezia  (le mie radici, la mia storia, la tradizione) e l’intrigante vicinanza con la Isla Blanca (indiscusso centro mondiale di tendenze musicali e d’immagine legate al mio vissuto professionale). Un’altra novità è data dal mio progetto di vita e performativo sui SENSI che sto sviluppando a livello filologico e filosofico casanoviano (“coltivare il piacere dei sensi fu per me, per tutta la vita, la principale occupazione”, esordisce Giacomo nella sua “Histoire de ma Vie”), ma anche sperimentale: per esempio, abbinandolo al celeberrimo format “Cocoon” del mitico Sven Vãth recentemente spostatosi al Pacha di Ibiza e sempre in tournée mondiale (nel 2019 sarà celebrato il ventennale dall’esordio all’Amnesia).

Cosa pensi di questa nuova rubrica a te dedicata?

Beh, sono evidentemente lusingato! Purtroppo per voi sarò piuttosto sfuggente per via dei miei molteplici impegni, ma prometto che ogni tanto apparirò… VALIUM mi è sempre piaciuto e ormai abbiamo un rapporto privilegiato.

 

 

Sarai “pedinato” costantemente…Come ti fa sentire l’idea di essere sotto i riflettori di VALIUM a oltranza?

Ahahahah! E’ divertente questa immagine di me che fuggo da VALIUM come una star rincorsa dai paparazzi! in realtà essere sotto i riflettori di una redazione così intelligente e preparata mi piace moltissimo perché sicuramente aiuta a capire chi sono e cosa faccio ad un pubblico curioso, disponibile e intelligente. Mi sento privilegiato e ringrazio per la scelta!

Tra le numerose tappe del tuo percorso di Master of Ceremonies risalta un evento oltreconfine e più precisamente a Baku, nell’ Azerbaijan: che ci racconti, al riguardo?

A Baku ho avuto l’onore di rappresentare, in una rievocazione ispirata al Carnevale di Venezia, alcune eccellenze legate al mio concept sui sensi in due eventi diversi, ma collegati: uno privatissimo per il Jet Set locale e l’altro ufficiale, legato al Grand Prix di Formula 1, presso uno dei locali più eleganti della città con una vista mozzafiato: l’Eleven  dell’Hotel Radisson proprio a ridosso del Circuito. Titolo: “SENSO a Venetian Dream”. Determinante per il mio successo è stato  avere al mio fianco realtà prestigiose quali l’Atelier Pietro Longhi per i costumi settecenteschi, “The Merchant of Venice” per le fragranze preziose e seducenti legate ad una storia molto antica di arte profumiera risalente al legame della Serenissima con Costantinopoli e la presenza di uno dei più grandi Maestri Vetrai di Murano, Fabio Fornasier, che ha appositamente realizzato una scultura che fa ora parte della collezione privata della famiglia del Presidente dell’Azerbaijan, una terra che ho scoperto essere semplicemente magica. Grazie al prezioso lavoro di relazioni pubbliche dell’amica Oksana Kuzmenko siamo riusciti a coinvolgere anche alcune importanti aziende locali come sponsor, e con il dj set di Luciano Gaggia abbiamo fatto l’”en plein”.

 

 

Il Principe Maurice a Baku in “SENSO a Venetian Dream”

Nelle vesti di Casanova ti abbiamo invece visto, di recente, inaugurare un itinerario che l’Accademia Casanova di Venezia dedica al grande seduttore…

Questo è un altro formidabile progetto che sta proseguendo benissimo ospitato nel delizioso Casino Venier, l’ultimo “Casin de’ Nobili”  (praticamente delle dependance dei palazzi sul Canal Grande dove i Signori ricevevano in privato) rimasto a Venezia. Un luogo che chiaramente  fu frequentato, a suo tempo, dal caro Giacomo. L’ Accademia Casanova parte dall’idea di un gruppo di studiosi e artisti, presieduto dal Maestro Luigi Pistore, di divulgare – anche con l’esposizione di memorabilia autentiche – la storia a modo suo del noto seduttore… Sono davvero onorato di farne parte e di esserne, sostanzialmente, il testimonial.

 

 

Sempre dalle parti di Venezia, a Mirano, hai preso parte a uno speciale dinner show. Di che cosa si è trattato e qual è stato il bilancio della serata?

Un amico ha aperto il locale Crudo e Amarone nell’elegante centro storico di questa cittadina legata alle aristocratiche villeggiature testimoniate dalle Ville Palladiane (e non). Su sua richiesta mi sono esibito in qualità di Emotional Dj e performer sempre per risaltare come tutti i sensi, partendo in quel caso dal Gusto, debbano essere collegati per essere goduti appieno. È stato un successo annunciato, perché le iniziative di qualità attirano sempre le persone giuste. Penso che ripeteremo l’esperimento tra spettacolo e degustazione enogastronomica del ricco territorio veneto.

 

 

La figura di Casanova è un leitmotiv degli eventi che ti vedono protagonista. Come si è cementata, nel tempo, questa identificazione?

Interpreto con perizia e passione, dopo essere stato folgorato dalle sue poderose memorie, questo protagonista del ‘700 da quando avevo 25 anni. Mi immedesimo in lui perché nelle sue gesta, spesso folli e bizzarre ma anche coraggiose e appassionate, risaltano tre valori fondamentali: la libertà, la dignità e l’amore, ovviamente. Non trascuro nemmeno il lato “libertino” che, in quanto attualmente single, mi diverte assai…

 

 

Potresti anticiparci in qualche intrigante “parola chiave” – ma senza rivelarli ancora – qualche indizio sui tuoi appuntamenti futuri e più recenti?

Eh, no! Starà a VALIUM inseguirmi e scoprire vieppiù cosa bolle in pentola! Ahahahah! E poi si sa, gli artisti sono scaramantici… Comunque, dopo il successo e la soddisfazione di essere stato tra i protagonisti del Life Ball di Vienna al fianco di Star mondiali, può essere che mi sia venuta voglia di passare anche per Hollywood… Vi basta?

No, non ci basta: naturalmente, vogliamo saperne di più…Intanto, il ruolo da guest star del Principe al Life Ball di Vienna, la sbalorditiva festa evento-charity a sostegno della lotta contro l’ Aids, ci fornisce una ghiotta anticipazione relativa alla prossima puntata di questa rubrica: stay tuned!

 

Il Principe al Life Ball di Vienna

 

All photos courtesy of Maurizio Agosti

 

 

Diego Diaz Marin e Gladys Tamez per Doubleview: un connubio esplosivo

 

Quando il top photographer Diego Diaz Marin incontra Gladys Tamez, la modista luxury adorata dallo showbiz, l’ impatto non può che essere esplosivo. L’ occasione è la recente Fashion Week parigina, la location una Ville Lumière che Diego Diaz Marin ritrae come non l’ avete mai vista: straripa di cieli azzurri e di colori tropicali, risveglia una gestualità che abbandona il bon ton per diventare giocosa e unconventional. E’ una Parigi i cui scorci-simbolo – Place Vendôme, un bistrot con i tavoli all’ aperto, un panorama di tetti, l’ obelisco di Luxor – fanno da sfondo al tragitto di una donna e alle sue evoluzioni acrobatiche. La protagonista dell’ editoriale che sancisce il connubio Diaz Marin – Gladys Tamez Millinery sfoggia un look impeccabile, suit a quadri e ampi cappotti, ma a fare da fil rouge è un fedora a falda larga – il Saint Marie –  in cromie incredibili: ai toni vibranti dell’ arancio e del blu Klein si alternano un marrone e un beige avvolgenti, dotando il cappello di un alto tasso di glam.

 

 

Diego Diaz Marin va ben oltre la fotografia in movimento di matrice avedoniana, e immortala la donna in pose a dir poco funamboliche. Irriverente e snodata come una circense, la vediamo esibirsi nella posizione del ponte in pieno centro, lanciarsi in una spaccata verticale, prodigarsi in acrobazie persino sulle strisce pedonali. In uno scatto la ritroviamo impettita, con un’ aria di sfida, in un altro  avanza a grandi passi; i momenti di relax, però, non mancano. Seduta di fronte al bistrot, il suo fedora arancio risalta con accenti vibranti sullo sfondo déco. E affacciata ad un balcone, un cesto di mini baguette in mano, sovrasta il panorama di tetti e ricorda una Marie-Antoniette contemporanea mentre pronuncia la frase che le è sempre stata attribuita, ” Se non hanno più pane, che mangino brioches!”: altera, sofisticata e fiera come un’ autentica regina d’ antan.

 

 

 

 

Chi segue VALIUM conosce bene il genio visionario e ironico di Diego Diaz Marin (leggi qui la sua ultima intervista per il blog) , che ogni volta riesce a estasiarci con photo-shoot che ci trascinano nel suo effervescente immaginario visivo. L’ editoriale che ha creato per Doubleview (il visual book che ha fondato a Firenze) immortalando le creazioni di Gladys Tamez è un’ ennesima prova d’autore della sua rutilante creatività.

 

 

Gladys Tamez è designer e direttore creativo di Gladys Tamez Millinery, il luxury brand di cappelli di design e rigorosamente hand made che ha fondato a Los Angeles. Avete presente il fedora rosa che Lady Gaga indossa nel video di “Million Reasons”? Bene: quel cappello è griffato Gladys Tamez. Ma le celeb innamorate delle sue creazioni non si contano. Oltre a Lady Gaga, Julia Roberts, Jane Fonda, Madonna, Beyoncé, Kendall Jenner, Gigi Hadid e molte, moltissime altre star ancora sono delle  habituè del GMT atelier. Il design inconfondibile del brand coniuga le tipiche forme sculturali a un concentrato di influenze artistiche e savoir-faire artigianale. Ogni cappello viene realizzato a mano utilizzando tecniche che inglobano la più squisita expertise di tradizione sia europea, che americana, e avvalendosi di materiali selezionati presso i migliori fornitori di tutto il globo. Know-how e qualità sopraffina sono due must per Gladys Tamez, il cui atelier è l’unica modisteria luxury e con produzione hand made a contare su una rete di distribuzione all’ ingrosso internazionale.  La creazione “su misura” rappresenta l’ eccellenza di GTM: il cliente viene direttamente coinvolto nel processo di realizzazione del cappello, che include l’ideazione di un modello, di un colore, di uno stile e di accessori ad hoc per soddisfare ogni sua esigenza.  Tutte le collezioni di Gladys Tamez vengono presentate a Parigi, in occasione delle Fashion Week del ready-to-wear e dell’ Alta Moda. Per saperne di più:  https://gladystamez.com/

 

 

 

 

 

 

 

CREDITS

Photographed by Diego Diaz Marin

The collab brands

Hats Gladys Tamez Milinery

Clothes Navro

 

 

 

Il Principe Maurice a Fabriano: a tu per tu con l’icona del teatro notturno

 

Travolgente come solo lui sa essere, visionario, una leggenda vivente: il Principe Maurice (all’ anagrafe Maurizio Agosti Montenaro Durazzo, discendente dai Principi Agosti di Bergamo) si riconferma re incontrastato del teatro notturno di cui è, peraltro, fondatore. E il 20 Gennaio scorso anche Fabriano, la “città della carta”,  si è lasciata contagiare dal suo carisma. L’ occasione è stata una serata epica dove la techno dei Datura ha rievocato, live, atmosfere anni ’90 dando vita alla soundtrack di uno show a dir poco straordinario. Protagonista e mattatore dell’ evento, il Principe Maurice ha coinvolto il pubblico dell’ Aera Club and Place – un ex cinema oggi adibito a spazio polifunzionale grazie ai tre giovani imprenditori Nicola Paccapelo, Cristian Bussaglia e Enrico Rossi – in un’ esplosiva  performance iniziata alle 10 di sera e terminata alle 6 del mattino. Ad anticipare le danze è stato il docufilm “Principe Maurice #Tribute” diretto da Daniele Sartori, 50 minuti di pellicola in cui Maurice si racconta e rende partecipi del suo progetto artistico gli spettatori: un viaggio nella vita del Principe e nel suo immaginario, dove ai luoghi-simbolo come la Piramide del Cocoricò si alternano ricordi, omaggi ai Maestri Lindsay Kemp e Klaus Nomi, scenari suggestivi del Carnevale di Venezia di cui è Gran Cerimoniere.  La verve narrativa di Maurizio Agosti e un montaggio mozzafiato catturano letteralmente il pubblico, lo trascinano in un crescendo emotivo fino all’ apoteosi finale, uno dei momenti più intensi dell’ intero docufilm: con l’ incalzante sottofondo della “Passacaglia della vita” di Stefano Landi, ballata seicentesca rielaborata in chiave techno dai Datura, il Principe Maurice volteggia sulle note di un “memento mori”. “O come ti inganni se pensi che gli anni non han da finire, bisogna morire”, canta, e per l’occasione ripristina le iconiche lenti a contatto bianche e un paio di corna da Mefistofele. Ma la sua non è che un’ ode alla vita, perchè solo la consapevolezza della morte può donare valore aggiunto all’esistenza. Sull’ importanza dei valori Maurice tornerà spesso, soprattutto rivolgendosi ai giovani, nel corso dell’ intervista che mi ha rilasciato poche ore prima di una serata destinata a rimanere memorabile, unica e irripetibile per la nightlife fabrianese.

Cosa ti porta nella “città della carta”?

Fabriano era nell’ aria perché già c’erano stati degli incontri forieri di questa proiezione, guarda caso con la signora Silvia Ragni. Ma ero incuriosito da questa città da un po’, intanto perché ha una storia estremamente interessante, e poi perché una famiglia di Fabriano, i Serafini, è imparentata alla lontana con la mia. Così quando i ragazzi dell’ Aera Club and Place hanno desiderato avermi io ho proposto immediatamente, memore di questo incontro con te, di introdurre la serata – un tributo agli anni ’90 in collaborazione con i Datura che riprende il format di ReMemo trasmesso su Radio m2O –  con la proiezione del docufilm “Principe Maurice #Tribute”. Dal punto di vista musicale sarà uno show inedito, perché i Datura sono tra i rappresentanti principali di quel movimento musicale che mi ha visto protagonista di immagine al Cocoricò e in giro per il mondo negli anni ‘90.

 

 

Che cosa ha rappresentato, per te, il Cocoricò?

Il Cocoricò è stato il contenitore creativo più importante della mia carriera. Se il Principe Maurice è nato e ha potuto farsi conoscere velocemente sia in Italia che in tutto il mondo – perché il Cocoricò attirava turismo musicale e techno anche dal resto d’Europa – è stato proprio perché ero lì. E lì ci sono arrivato quasi per caso. E’ stata veramente una coincidenza straordinaria: ero la persona giusta al momento giusto, con il direttore artistico giusto, nel locale giusto. All’ epoca l’ art director era il grandissimo Loris Riccardi, collaboratore di “Blob” di RaiTre. Grazie a lui abbiamo avuto la possibilità di esprimere la forma di teatro notturno della quale sono portatore e ideatore, ma anche di ospitare compagnie importanti a livello intenazionale: La Fura dels Baus, La Societas Raffaello Sanzio, Marion D’Amburgo e i Magazzini Criminali…Nel Morphine, il super privé fiore all’ occhiello della sperimentazione del Cocoricò, è venuto a suonare anche Roger Eno, fratello di Brian e musicista ancora più avantgarde. Il Cocoricò era una discoteca fuori da qualsiasi canone, iconica, un unicum mondiale come nemmeno a New York o a Ibiza ce n’erano. Per me è stato un luogo magico e speciale.

Sei un performer leggendario. Che sensazioni provi, dopo anni, prima di salire sul palco?

Ti spiego qual è la cosa meravigliosa del mio essere uno, nessuno, centomila: il mio maestro Lindsay Kemp (leggi qui la sua intervista con VALIUM) adotta un vero e proprio cerimoniale nel prepararsi, la sua è una metamorfosi. Entrare nel camerino di Lindsay è addentrarsi in un mondo in cui anche gli odori dei trucchi ti inebriano, qualcosa di straordinario! Ho cercato di ispirarmi a lui, infatti pretendo di avere un camerino per conto mio perché per me è un vero e proprio rito quello di entrare nel personaggio. C’è questa magia particolare per cui tu, Maurizio Agosti, piano piano diventi il Principe Maurice come vuol essere in quel momento lì e quella sera lì, che non è mai uguale a un’altra. Voglio essere il più possibile vicino al mio feeling del momento, diretto e spontaneo: per me è molto importante. Mi rifaccio alla tradizione della Commedia dell’Arte, ho un canovaccio ma poi devo improvvisare. Lindsay Kemp è stato il mio Maestro con la maiuscola: ha le sue coreografie, le sue storie da raccontare, ma improvvisa tantissimo. Ero molto giovane quando ho fatto uno stage da lui, a Milano. Una sera un ballerino non si è sentito bene e l’ho sostituito in “Sogno di una notte di mezza estate”. Ho recitato una sola volta, ma sono riuscito a essere con Kemp sia sul palco che nel backstage, a imparare. Poi ho portato il tutto in discoteca: è questo che rende il mio personaggio particolare, perché nessuno si è mai impegnato davvero nel non guardare al lavoro in discoteca come a una “marchetta”, solo perché il teatro notturno aveva trovato un mercato da sfruttare anche lì. Questa mentalità ha fatto cadere un po’ il progetto di cui io sono rimasto l’unico testimone, ma non demordo.

 

 

Quale messaggio lanceresti ai giovani che affollano le discoteche?

Pretendete. Pretendete da voi stessi di vivere in maniera consapevole e partecipe tutto, anche la trasgressione, ma di esserci, non di arrivare a un punto in cui non ricordate nemmeno cosa avete fatto perché vi stordite con l’alcool o con altro. Dovete essere protagonisti e sempre presenti, altrimenti nulla ha valore, è una perdita di tempo. In più, se avete delle idee, proponetele, esprimetele, perché la vostra età ha bisogno di conoscenza, di sperimentazione, di divertimento. E di fantasia…Oggi seppellita dal conformismo della rete e dal melting pot della globalizzazione. Cerchiamo di essere il più autentici possibile e di capire da dove veniamo, perché è importante, e dove vogliamo andare… Anche se questa società ci porta a non aver troppa fiducia nel futuro sappiate, giovani d’oggi, che è importante credere in tre cose: la libertà, che è un valore fondamentale, la dignità, senza la quale la libertà è uno spreco e può diventare dannosa, e l’amore. Altrimenti non c’è nulla. I soldi sono importanti, ma vanno e vengono. La salute stessa è appesa a un filo di ragnatela. Mentre l’amore, la libertà e la dignità sono tre ingredienti fondamentali per poter immaginare un futuro, e posso dirvelo perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Per questo lo racconto con fervore e convinzione.

Tu e il Carnevale di Venezia: cosa ti lega maggiormente alla grande kermesse veneziana?

Trasformarmi, travestirmi, ricercarmi in altre forme, ricercare il mio fratello gemello morto a 11 mesi…Un giorno –  ho 16 anni e sono già un “decadente” – decido di partire da Milano per andare al Carnevale di Venezia. Ci vado la domenica dedicata alla passeggiata delle maschere, dopo Sabato Grasso. Mia madre, che è mia complice, mi permette di viaggiare in costume per partire al mattino e ritornare la sera. Arrivo a Venezia, capito alle Generali dove fanno una festa e vengo intervistato. E’ un boom incredibile, meraviglioso, per cui mi dico: “Io il Carnevale lo frequenterò tutti gli anni”. Dopo qualche anno trovo nel personaggio di Giacomo Casanova qualcosa che mi piace, che sento mio: coltivare il piacere dei sensi ad esempio, anche in questo sono molto decadente…Il Carnevale comincia a entrarmi nella mente e nel sangue, diventa un obiettivo, una mania. E’ una passione che nel tempo ho condiviso con altre persone. Abbiamo creato delle associazioni: gli Amici del Carnevale di Venezia, un’ Associazione Internazionale per il Carnevale di Venezia, arriviamo da tutto il mondo per ritrovarci al Carnevale a divertirci e a competere per la bellezza dei costumi e delle interpretazioni. Quando Bruno Tosi, il Presidente della Fondazione Maria Callas, ha ricreato la tradizione storica delle Marie, mi ha chiesto di presentare la manifestazione. Da allora sono diventato il maestro di cerimonie che apre e chiude il Carnevale, conduco happening sul palco di Piazza San Marco e sono il Magister Elegantiarium del Concorso della Maschera più Bella. Il Carnevale diventa per me il momento dell’anno più atteso: in 10 giorni arrivo a gestire 30 produzioni tra feste private, di associazione e ufficiali.

 

 

Che ci racconti del tema “Creatum Civitas Ludens” associato al Carnevale di Venezia 2018?

“Creatum”, per valorizzare un po’ tutta quella che è l’artigianalità e l’arte che sta dietro al Carnevale. Ma non sarà un’esposizione o una specie di fiera delle botteghe, bensì un circo dove anche questi artigiani si possono esprimere. L’ elemento del circo è quello che mi piace di più: ci sono le scenografie dei Togni utilizzate per “La strada” di Fellini, oltre ad altre scenografie aggiunte dal teatro La Fenice che, in collaborazione con Massimo Checchetto, ha reso il circo un po’ più elegante, un po’ più veneziano, un po’ più adatto a Piazza San Marco. Il circo è uno dei miei ambienti preferiti, amo soprattutto  il ruolo del clown bianco e adoro Fellini. Quest’ anno quindi il Carnevale sarà davvero “playful”, con quel tocco di follia che va verso il freak: a fine ‘800 inizio ‘900, ricordate?, al circo si esponevano i fenomeni. Si giocherà sulle trasformazioni…I cambi di ruolo sessuale, che sono tipicissimi del Carnevale, faranno parte (e in modo anche molto malizioso) del gala serale che avrà per titolo “La serata di Dottor Jack Hill e Mrs. Hyde”.

 

 

Quali sono gli angoli segreti di Venezia che consiglieresti di visitare, i meno turistici e scontati?

Te ne racconto due. Uno è il minuscolo negozio di maschere di un’artista che si chiama Barbara Babi. Dietro Piazza San Marco, dietro Palazzo Ducale, c’è un ponte, credo che si chiami Ponte della Canonica. Lo trovate dopo questo ponte, un po’ sulla destra. E’ nuovo: quest’ artista ha finalmente avuto modo di aprire un suo negozio/laboratorio, e utilizza in modo molto particolare sia la cartapesta che le piume. Le sue maschere indossano parrucche fatte di piume. Sono stupende, e anche abbastanza dark! Ma non si tratta di piume di struzzo in stile Rio: sono piume di pennuti, lunghe, che lei acconcia. In più usa, applicandola sulle maschere, la pelle del serpente quando fa la muta. Il negozio si chiama La Babi e spero che abbia successo, perché lo merita. Poi c’è un bacaro speciale in quanto a ambiente, qualità e cucina. E’ uno degli ultimi rimasti, situato in una piccola calle che va verso il Casinò dal Teatro Italia, e veneziano DOC: ci vanno solo veneziani e solo loro sanno che c’è, niente turisti. Tutto viene cucinato da veneziani, in stile veneziano e con ingredienti veneziani. Lo suggerisco a chi cerca un posto veramente riservato, quasi “massonico”, per l’ ”apericena”…Il nome non te lo dico, solo chi lo scopre merita di frequentarlo. Ah, ecco un altro posto particolare! Un’ ala del Teatro Italia è stata venduta ed è diventata il più bel supermercato del mondo. Cinema Teatro Italia, in Strada Nova: entrateci. E’ da visitare perché è una contaminazione pop fuori di testa!

Torniamo a Fabriano. Un tuo parere a bruciapelo sulla città?

La cosa che mi suggestiona molto della città è questo rapporto con la carta, così importante sia per l’arte che per la scrittura. E poi c’è la tipica magia di tutte le città italiane un po’ “appartate”, che nascondono tesori. Mi piace la simpatia, la sobrietà che c’è nelle persone, e mi piace che ci siano personaggi che sono sostanzialmente dei “fantasmi”: grazie alla tecnologia sono proiettati culturalmente in tutto il mondo, ma vivono qui quasi un po’ nascosti. Un nome? Silvia Ragni, ma anche Rexanthony, uno degli autori della musica specificatamente dedicata al Cocoricò oltre che di compilation degli anni d’oro che hanno avuto un successo straordinario. Quindi non è che una città di provincia, pur famosa per la sua industria, per la sua tradizione eccetera, sia meno intrigante di una capitale.

 

 

Per concludere, una domanda sui tuoi prossimi progetti. Puoi anticiparci qualcosa o sono ancora top secret?

Con questa intervista capiti proprio durante l’ultimo cambiamento fondamentale della mia vita. I miei cambiamenti si sono avvicendati in cicli di circa 20 anni l’uno. Questo è il terzo, credo sia il finale. Sto puntando ad avere una residenza anche esterna all’ Italia, quindi mi sono spostato a Palma de Mallorca: una città antica dove c’è un centro storico, una vita culturale e la presenza della famiglia reale si “respira” sia attraverso il castello che il Palazzo di Marivent…C’è tutto quello che può affascinarmi in una città europea importante, perché Palma è una piccola Barcellona. Non è lontana dall’ Italia e il fatto che sia un’isola mi piace, perché anche Venezia è un piccolo arcipelago di isolette. Questo cambiamento mi porterà ad essere meno presente nel mondo della notte e più presente nel mondo degli eventi a carattere culturale o privato. Il mio futuro, quindi, sarà suddiviso tra l’Italia e Palma.

 

 

Photo courtesy of Aera Club and Place e collezione privata Principe Maurice Agosti

 

“Il Giardino dei Tarocchi”: le iconiche opere di Niki de Saint Phalle in mostra a Torino

Niki de Saint Phalle

Pittrice, scultrice, regista, attrice, modella e musa (come lo fu di Marc Bohan  ai tempi di Dior e dello scultore Jean Tinguely, che sposò), Niki de Saint Phalle è uno dei nomi di maggior spicco del Nouveau Réalisme. Viene a tutt’ oggi ricordata come un’artista che alla libertà creativa acquisita con una formazione autodidatta coniuga una potente consapevolezza critica: la stessa che la portò ad affrontare, nelle sue opere, molteplici temi di impegno sociale: la condizione femminile, la guerra, la violenza, l’ abuso di potere e le discriminazioni razziali sono solo alcune delle problematiche che caratterizzano un iter artistico iniziato nel 1953, quando de Saint Phalle sperimentò il valore terapeutico della pittura dopo una crisi nervosa. Le sue nozze con Jean Tinguely, di questo percorso rappresentano una tappa fondamentale. Da allora, tra i due ebbe inizio un sodalizio che intersecava carriera e vita personale a più livelli, spaziando dall’ arte alla politica. Era il 1971 e la loro unione paritaria, la loro partnership creativa divenne il simbolo di tutta un’ epoca. Alle gigantesche strutture meccaniche create da Tinguely si contrapponevano le enormi sculture ispirate al corpo femminile che Niki de Saint Phalle battezzò Nanas e tinse di variopinte nuance. Lo spunto riapparve, tradotto in variante esoterica, nel Giardino dei Tarocchi che l’ artista realizzò a Capalbio, in Toscana:  uno straordinario mix di arte e architettura ispirato al Parc Guell barcellonese di Antoni Gaudì.

 

Mi-femme mi-ange (1992), serigrafia

Proprio al Giardino dei Tarocchi il Museo Ettore Fico di Torino dedica una mostra che espone opere e progetti inerenti a quello che la sua ideatrice concepì come un testamento artistico e monumentale. Inaugurata il 4 Ottobre, la mostra sarà visitabile fino al 14 Gennaio prossimo e il suo tema, una rilettura in chiave personale degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, non stona con l’ alone divinatorio di cui Halloween ha intriso la sua scia: seppur profuso di elementi simbolici e occulti, però, il viaggio iniziatico a cui Niki de Saint Phalle ci invita a prender parte è pervaso di un mood giocoso.

 

Il giardino dei Tarocchi – L’ Imperatrice-Sfinge

Temperance (1997), litografia

La poliedrica artista era appena diciannovenne quando rimase talmente colpita dal Parc Guell di Gaudì da pensare di creare un  luogo che ospitasse opere simili. Il suo sogno diventò realtà nel 1979 e richiese ben 17 anni di lavorazione. Al progetto, costato circa 10 miliardi delle vecchie lire, collaborarono – tra gli altri – Jean Tinguely, Rico Weber, Ricardo Menon, Mario Botta, Roberto Aureli, e per finanziarlo Niki de Saint Phalle lanciò una linea di profumi. A popolare il parco sono 22 sculture monumentali in cemento armato o poliestere rivestite da un tripudio di specchi scintillanti, vetri e maioliche multicolor, enormi statue antropomorfe che fondono l’ opera d’arte  con la natura. Molte di loro sono visitabili, addirittura abitabili, concepite come una vera e propria dimora: basti pensare all’ Imperatrice-Sfinge dove de Saint Phalle risiedette a lungo mentre la sua idea prendeva vita.

 

 

 

Il “femminile” è preponderante e viene associato al “materno”, al concetto di potenza creatrice evidenziato dalle forme tondeggianti di ogni statua e scultura. Anche i colori assumono un significato emblematico, rappresentando via via la purezza (il bianco), la vanità del mondo (il nero), la profondità interiore (il blu), la forza procreatrice ancestrale (il verde e il rosso). Ma accanto all’ elemento vitale ne emerge uno, apocalittico, che favorisce un’ ulteriore interpretazione: i personaggi mostruosi disseminati nel parco sembrano infatti presagire una fine del mondo imminente e dai connotati spettacolari.

 

La lune (1997), litografia

Alla mostra Il Giardino dei Tarocchi, il MEF Museo Ettore Fico di Torino affianca un’ antologica di Niki de Saint Phalle nelle stesse date. Le due esposizioni sono realizzate in collaborazione con la Fondazione Niki de Saint Phalle di Santee, in California, e con il MAMAC di Nizza anche attraverso l’ apporto di importanti collezioni private internazionali.

Per saperne di più:  http://www.museofico.it/

 

Il giardino dei Tarocchi – Gli Amanti

Il giardino dei Tarocchi – Il Sole

The falling tower (1997), litografia

Le Diable (1985), poliestere dipinto

 

Photo

Niki de Saint Phalle, Mi-femme mi-ange, Temperance, La lune, The falling tower, Le Diable: courtesy of Press Office MEF Torino

Il Giardino dei Tarocchi – L’ Imperatrice-sfinge e serpenti dorati: by Alessandro Bonvini via Flickr, CC BY 2.0

Il Giardino dei Tarocchi – Gli Amanti e Il Sole: by Yellow.Cat via Flickr, CC BY 2.0

 

Scarpe da sogno, Manga e Barbie world: l’ universo girly-chic di Francesca Bellavita

 

Biondissima, radiosa, spumeggiante, Francesca Bellavita ti travolge con lo stesso entusiasmo che l’ ha portata a realizzare il suo sogno più grande: creare calzature dedicate alle giovani donne che, come lei, affrontano la vita con giocosità condita di un pizzico di sex  appeal. Bergamasca, un iter formativo DOC, Francesca approda allo shoe design dopo un esordio come stilista freelance per Colmar ed altri marchi leader dello sportswear chic. “Francesca Bellavita”, il brand che porta il suo stesso nome, debutta con una collezione PE 2017 che ne concentra il mood nella quintessenza: lo stile è girly, ma deluxe, e mixa le suggestioni dei manga giapponesi con il Barbie world. Non è un caso che persino il packaging delle scarpe – personalizzabili grazie a un kit di decori ad hoc –  si ispiri alla tipica confezione  color fucsia in cartone e cellophane dove è racchiusa la bambola-icona Mattel. E il claim che riporta a chiare lettere – “Dont’ call me doll” con il “don’t” coperto da una cancellatura –  è una vera e propria dichiarazione di intenti, perchè colei che calza “Francesca Bellavita” è audace, ironica e non teme certo di esibire una femminilità esplosiva. Ma al coté squisitamente estetico si affiancano la ricercatezza della lavorazione handmade e dei materiali pregiati, due indiscussi  punti di forza del brand: ogni collezione viene realizzata nel distretto di Vigevano, storica culla del savoir faire calzaturiero a cui fanno riferimento colossi del luxury del calibro di Valentino, Christian Louboutin e Manolo Blahnik. Ho incontrato Francesca per saperne di più sulle sue creazioni, sul suo universo ispirativo e sulla sua passione.

Se dovessi sintetizzare la tua bio in poche frasi, che mi racconteresti?

Ti racconto che all’inizio mi ero iscritta a Giurisprudenza, ma ho capito fin da subito che non avrei mai voluto passare la mia vita con un tailleur addosso! Confusa, ho passato qualche mese a Londra dove ho scoperto l’esistenza dell’Istituto Marangoni e tornata in Italia mi sono immediatamente iscritta.

 

 

Heartbeat

 

Prima il diploma in Fashion Design all’ Istituto Marangoni, poi la specializzazione in Shoe Design dall’ Ars Sutoria School di Milano: quando hai capito che le scarpe erano il tuo grande amore?

La prima volta che ho disegnato un paio di scarpe all’Istituto Marangoni è stato un fulmine a ciel sereno. Ho capito immediatamente che il mio futuro sarebbe stato quello!

Quali sono i punti cardine del tuo immaginario creativo?

Adoro tutto cio’ che è divertente e colorato. Dalle caramelle ai giocattoli passando per i manga giapponesi. La citta’ infatti che mi ispira di piu’ al mondo è Tokyo, ci vado almeno una volta l’anno. Le insegne luminose, le Shibuya girls e il mondo kawaii mi fanno impazzire! Da tutto questo immaginario nasce anche il mio particolare packaging!

 

Fluffy Flat

 

Crystal Pink

 

Cosa rende le tue scarpe dei pezzi iconici?

Il fatto di essere diverse da tutto cio’ che è presente sul mercato in questo momento. E’ un mondo dove tutti si prendono troppo sul serio, dove tutti si vestono di nero. In tutto cio’ arrivo io con le mie scarpe gialle e rosa, con pon pon, cristalli a cuore e tomaie che ricordano i marshmallow!

 

Bootie Goth Pink

 

Hai debuttato con la tua prima collezione pochi mesi fa e sei già acclamatissima. Cosa si prova ad essere considerata un’autentica star emergente?

Mah, intanto grazie mille! Diciamo che la cosa che mi rende davvero felice è vedere le clienti super soddisfatte delle mie calzature, sia per il look che per la comodita’ anche si tratta per lo piu’ di tacchi 10 cm. E’ in quei momenti che so di aver centrato il mio obiettivo: rendere felici le donne con le mie scarpe!

A quale donna pensi, quando crei?

A una donna sexy e ironica, che non si prende mai troppo sul serio. E’ quella donna che beve troppo champagne e ride un po’ troppo fragorosamente!

 

Dalla campagna pubblicitaria Francesca Bellavita PE 2017

 

Tre aggettivi per definire il tuo stile: quali scegli?

Sexy, ironico e divertente, proprio come la mia donna ideale!

La tua collezione esalta il valore dell’hand made, della ricercatezza, dei materiali pregiati. Come nasce la passione di Francesca Bellavita per il savoir faire artigianale?

Per me è importantissimo produrre in Italia. La nostra terra è meravigliosa, la nostra artigianalita’ non ha pari. Inutile dire che un paio di scarpe prodotte in Italia non potra’ mai essere neanche lontanamente comparato ad uno prodotto all’estero. Persino i francesi vengono a produrre qui e questo la dice lunga!

 

Il caratteristico packaging Barbie-like

 

I colori sono un elemento importante della tua cifra stilistica. Qual è quello che ti rappresenta maggiormente?

Naturalmente il rosa in tutte le sue sfumature!

Le feste natalizie sono sempre più vicine. Se dovessi indicarci un tuo modello “must” per la daily life ed uno per un’occasione speciale, su quali punteresti?

Sicuramente per il giorno una scarpa sexy, ma comoda, come Fluffy Flat, una ballerina resa molto divertente dal pon pon gigante staccabile tramite calamita, quindi puo’ essere indossata anche senza per un look piu’ sobrio o intercambiato con i pon pon a forma di coniglietto o di topolino per un outfit piu divertente! Mentre per un’ occasione elegante consiglio sicuramente Crystal, la nostra pump in serpente e vernice con fiocco e cristallo a cuore applicati sul davanti. Sia nella versione fucsia che nella versione nera per le donne piu’ classiche.

 

Pon pon coniglio

 

Puoi accennarmi qualcosa sui tuoi progetti futuri?

A parte conquistare il mondo con le mie scarpe?…Scherzo, ovviamente! Proprio perché siamo sul mercato da pochi mesi, è difficile accennare a progetti futuri! So solo che sono una ragazza con una lista infinita di sogni e spero di realizzarli tutti, prima o poi!

 

 

Crystal Black

 

Pon pon topo

 

A tu per tu con Emma Nitti, l’ altro volto di Grace Hall

(Photo Effemmedi)

Attrice, Burlesque performer, conduttrice e, da qualche mese, anche regista e produttrice: non si può certo negare che Emma Nitti sia uno spirito eclettico. Nata e cresciuta a Roma, ha debuttato a teatro giovanissima nell’ “Ippolito” di Euripide e si è suddivisa, da allora, tra palcoscenico e set cinematografico senza disdegnare la TV. Prossimamente apparirà sul grande schermo ne “La banda dei tre” di Francesco Maria Dominedò, ultima prova recitativa in ordine di tempo di una carriera che l’ha vista lavorare al fianco di registi e attori del calibro di Abel Ferrara, Lamberto Bava, Paolo Virzì, Gabriele Muccino, Gigi Proietti, Juliette Binoche, Luciano Melchionna e Luca Miniero, per citarne solo alcuni. Sempre diretta da Dominedò, nel 2010 ha vinto il premio come migliore attrice al Circeo Film Festival per la sua interpretazione di Paola in “5 (Cinque)”, un ruolo che le è valso un ulteriore riconoscimento per la Versatilità Artistica al Mompeo Film Fest. L’ ascesa di Emma Nitti è proseguita inarrestabile fino all’ esordio nella regia e nella produzione con “Burlesque Extravaganza”, il documentario sul Burlesque che ha girato tra Stati Uniti e Europa. Che c’entra, con Emma, l’arte del teasing? C’entra eccome: il grande pubblico la conosce infatti nelle vesti di Grace Hall, l’ammaliante Burlesque Queen che ha condotto, per ben tre volte, il Summer Jamboree di Senigallia. Adesso che il suo “road movie” è procinto di uscire in DVD, la poliedrica star romana si avvia a consolidare l’avventura come produttrice con la ZED Film Srl. Ma dove “inizia” Emma, e dove “finisce” Grace? Soprattutto, cosa le unisce? La risposta arriva semplicemente osservandola: caschetto castano scuro dello stesso colore degli occhi, vivaci e intensi, un entusiasmo travolgente che è il suo maggiore atout. E’ proprio quell’ entusiasmo a fare da trait d’union tra Emma e Grace, denominatore comune di tutte le imprese in cui si lancia, ogni volta, con la stessa sfolgorante passione.

Quando e come si è rivelato il tuo talento per la recitazione?

Fin da piccola ho sempre avuto la passione di travestirmi, “di entrare nei panni di un altro”. Passavo i pomeriggi davanti allo specchio a ballare e a  cantare… Poi, a 19 anni ho debuttato con il primo spettacolo che era una tragedia di Euripide, l’“Ippolito”, ad Ostia Antica e da lì è partito tutto. Contemporaneamente ho frequentato il Conservatorio Teatrale dove ho avuto la possibilità di avere degli ottimi maestri tra cui Tonino Pierfederici che è stato un grande del teatro italiano, e con lui ho avuto il privilegio di fare anche altri lavori. Ho frequentato il Conservatorio Teatrale Giovan Battista Diotajiuti, e contemporaneamente ho fatto l’ Università (La Sapienza) laureandomi poi in Lettere Moderne, nello specifico in Storia e critica del cinema, con una tesi su su Fellini. Ho avuto la fortuna di frequentare dei laboratori , corsi e  workshop organizzati dal mio professore del corso di Storia del Teatro all’Ateneo dell’Università e anche in quel caso ho avuto il grandissimo privilegio di studiare con dei grandi, di approfondire diversi tipi di insegnamento: la Commedia dell’Arte con Carlo Boso, l’Euritmia di Rudolf Steiner, le Danze Sacre di  Georges Ivanovic Gurdjieff, il Metodo Mimico  di  Orazio Costa, il Living Theatre con Judith Malina e Cathy Marchand e Il Teatro della spontaneità con Ferruccio Di Cori. Successivamente ho  studiato anche con Doris Hicks, membro dell’Actor Studio e allieva di Susan Batson.La  mia formazione ha spaziato dallo studio dei grandi del teatro come Stanislavskj e Strasberg alla biomeccanica di Mejerch’old e Artaud.  Parallelamente, ho sempre studiato canto e  danza.

 

(Photo Effemmedi)

Teatro o cinema? Preferisci esprimerti sul palco oppure su un set? E quale personaggio femminile da te interpretato è riuscito a lasciarti qualcosa “dentro”?

Teatro e cinema sono completamente diversi. Amo interagire con un pubblico vivo davanti a me e la “sacralità” del  palcoscenico che ti mette a nudo e non nasconde nulla. Il cinema non offre la stessa immediatezza che ti dà il teatro , almeno per un attore.Mentre reciti devi tenere conto di tanti aspetti tecnici di cui “devi essere a servizio”. Sì, un personaggio c’è ma non è femminile, bensì maschile. Ho interpretato, in una rivisitazione molto stravagante di “Racconto d’inverno” di Shakespeare per la regia di Roberto Pacini, il ruolo del re Leonte. E’stato il personaggio che ho amato di più perché era molto ricco di sfumature e con una grande evoluzione. Dolcezza, gelosia, pazzia. Mi ha consentito di usare tanti registri, tante emozioni. Ero per 2 ore e mezza sempre in scena, questo mi ha consentito di lavorare sull’energia che doveva essere sempre trainante, e mai scemare. Per quanto riguarda il cinema citerei, anche se può sembrare a prima vista un personaggio marginale, quello  di Joanna che ho interpretato nel film “Mary” di Abel Ferrara. Joanna era una discepola  di Maria Maddalena, impersonata da Juliette Binoche, ed ero sempre al suo fianco. Ho avuto l’opportunità di recitare con lei e di guardare, di “assorbire”, di imparare molto. La Binoche è una persona molto generosa, come lo  sono sempre i grandi attori,  ed è stata una bellissima esperienza perché ho appreso moltissimo. Mi consigliava, mi indirizzava, mi teneva per mano.Per non parlare del resto del cast : 3 premi Oscar!E stato un percorso formativo accellerato.  Sicuramente, questi due sono i personaggi che ho amato maggiormente del mio percorso attoriale.

 

Una scena del film “Mary” di Abel Ferrara

(Photo Effemmedi)

Sartre ha detto: “Non si recita per guadagnarsi la vita: si recita per mentire, per essere quello che non si può essere, e perché si è stufi di essere quello che si è.” Come commenteresti queste parole?

Più che mentire , direi evadere. Un’evasione preziosa che ti consente di riconnetterti con te stesso. Attraverso la ricerca di un personaggio, in realtà, trovi molte parti di te e puoi conoscerti. E’ un mestiere che ti offre un grande privilegio.

Poi, nel 2009, la svolta Burlesque. Come ha preso vita l’idea di diventare una performer?

Ho sempre amato essere indipendente e avere libertà di esprimermi. Il Burlesque è una branca del mio lavoro e mi ha dato l’opportunità di crearmi un mondo a 360° che gestisco ed amministro con le mie modalità. Infatti sono io a curare la regia, la coreografia, i costumi, le musiche, le luci . Sono sempre  io ad organizzare i miei tour, i miei spettacoli. Sono manager di me stessa. E poi posso cantare , ballare, recitare. Insomma, una libertà a tutto tondo.

 

Grace Hall (photo by Piergiorgio Pirrone)

Emma Nitti l’attrice, Grace Hall la regina del Burlesque. Due nomi per due carriere diverse, ma con un’unica interprete: te stessa. Perché questa “demarcazione netta”? Cos’hanno in comune e cosa, invece, separa Emma e Grace?

Emma e Grace sono due facce della stessa medaglia. L’una è il motore dell’altra. Grace si nutre dell’esperienza ventennale di Emma, ed Emma della consapevolezza di Grace.

Nei panni di Grace Hall appari di frequente in passerella: ricordo, ad esempio, quando hai preso parte alla spettacolare sfilata-performance Le Theatre des Funambules di Giada Falstaffi per AltaRoma. Che rapporto hai con la moda?

Credo assolutamente equilibrato. Mi ritengo piuttosto ossessionata dallo stile. Lo stile trascende il tempo e come un archetipo, comunica a tutti. Anche a culture molto diverse. La moda ha bisogno di sovrastrutture. Di comprensione. Lo stile no. E’ immediato.

 

(Photo by Piergiorgio Pirrone)

L’ anno scorso hai debuttato come regista e produttrice con “Burlesque Extravaganza”, un documentario sul Burlesque. Che mi racconti di questa esperienza?

E’ stata una bella prova per me.  “Burlesque Extravaganza” è il diario di un viaggio, un road movie rocambolesco nello scintillante mondo del Burlesque  – dove la fantasia si miscela alla realtà – da me raccontato, scoperto e vissuto. Una tournèe partita da Roma passando per molte città d’Europa per poi toccare buona parte degli Stati Uniti. Il film vuole essere, come il vero Burlesque suggerisce, un contenitore di fantasticherie e abilità varie che passano dal ballo, al canto, al circo, alla magia, al trasformismo e a tutto ciò che esalta l’unicità che ogni interprete incarna. Il progetto vuole rendere ed estendere anche una riflessione sul mondo contemporaneo e sulla figura della donna in particolare, sempre più vittima di stereotipi. Il Burlesque è la celebrazione del corpo in tutte le sue forme, taglie e misure; diviene dunque una speciale terapia per cominciare ad accettarsi e ad amarsi. Per molte, è un vero e proprio viaggio alla scoperta di sé e del proprio potenziale. Fra circa un mese uscirà il DVD e ci saranno proiezioni con spettacoli live nelle grandi città italiane.

 

La locandina di “Burlesque Extravaganza”

Per lavoro ti capita spesso di fare la spola tra Roma e Los Angeles. Che differenze noti oltreoceano, rispetto al Bel Paese, nella percezione della figura dell’attore?

All’attore negli Stati Uniti si dà più opportunità di crescita, di preparazione e studio.  I tempi di produzione sono infatti più dilatati rispetto ai nostri.Si hanno molte più opportunità di casting e di fare audizioni. A Los Angeles puoi fare anche 5 provini al giorno. In Italia, se sei fortunato, li fai nell’arco di un anno. Sono realtà imparagonabili.

Prevedi di spostarti di nuovo dietro la macchina da presa, magari per dirigere un vero e proprio film? In quali avventure ti lancerai con la tua ZED Film Srl?

Siamo già a lavoro, stiamo producendo una storia molto bella. Il film sarà diretto da Francesco Maria Dominedò. Non posso, per il momento, dire nulla di più. Stiamo inoltre valutando moltissimi progetti tra film, documentari e videoclip.La Zed Film vuole essere una factory a capitale intellettuale, siamo convinti che le idee e le sinergie siano la nuova moneta del futuro.Per quanto mi riguarda, sto scrivendo un altro documentario ma anche su questo non posso dirti nulla.

“Tied Up in Knits”: Pier Fioraso e il suo editoriale per Vanity Teen

 

Un mood giocoso e rilassato, un modello dalle forme plastiche su uno sfondo “pulito”, grafico e netto che il total white rende quasi abbagliante. Ma a risaltare su tutto è il knitwear, un tripudio di maglioni che coniugano perfettamente le atmosfere playful ed uno stile che sembra fatto apposta per assaporarle. A una palette che esalta il blu Klein, il grigio e il nero si abbinano pattern geometrici a righe o a stelle stilizzate; non mancano i decori tipici del “giardiniere alchimista” di Gucci nè cuori ed ancore simili a tatuaggi “Old School”. Il focus a 360° sui maglioni è favorito anche dal fatto che il modello, oltre a loro, non indossa altro. Artefice del  brillante escamotage è Pier Fioraso, designer di Emilio Cavallini convertito in stylist e direttore creativo per un editoriale che si avvale degli scatti di  Ira Giorgetti. Il photo-shoot, destinato alla versione on line di Vanity Teen (guarda qui la sua versione integrale), vede protagonista Michele Pezzoni ed offre una panoramica sulle ultime tendenze knitwear tratte dalle collezioni AI 2017/18 di griffe del calibro di Gucci, Valentino, Saint Laurent e Givenchy: un quartetto d’eccezione che Pier Fioraso riunisce  in vero e proprio tributo all’ insegna dello stile.

 

 

 

 

 

 

 

CREDITS

Styling and Direction: Pier Fioraso

Photos: Ira Giorgetti

Model: Michele Pezzoni (Urban Models)

Hair & Make Up: Luigi Morino

All looks available at Luisa Via Roma

 

Emilio Cavallini AI 2017/18: 24 ore con Missé Beqiri

 

Missé Beqiri, star della serie TV di ITVBe “The Real Houseviwes of Chesire” è la splendida e sensuale interprete della campagna AI 2017/18 di Emilio Cavallini. Colori mediterranei nonostante le origini svedesi, corpo mozzafiato e neo al lato delle labbra come signature inconfondibile, Missé affianca allo status di modella e attrice quello di diva di Instagram: con 232mila follower e post che sottolineano il suo glamour seducente, non si potrebbe dire altrimenti. Per la campagna Cavallini, scattata da Raffaele Grosso e sotto la direzione creativa di Pier Fioraso (leggi qui la sua intervista con VALIUM), la statuaria svedese ci porta a Londra e trascorre con noi 24 ore all’ insegna dello stile.

Shirt Bottega Veneta, tights Emilio Cavallini

La giornata inizia con un paio di Two Toned Vertical Striped Tights, le calze a righe in black & white che incarnano uno dei tipici pattern geometrici Cavallini: mood playful e seduttività si intrecciano in un mix a dir poco iconico. Per Missé, appassionata d’arte, un’ incursione mattutina al museo è irrinunciabile, e opta per il potente gioco di chiaroscuri delle Two Toned Legs Tights al momento di definire il suo look.

Sweater Antonio Berardi, tights Emilio Cavallini

Il pranzo con gli amici si tramuta in un’ occasione per sperimentare nuovi abbinamenti cool. Missé decide di esaltare lo chic floreale dei Water Lilies Leggins affiancandoli al classico trench, dando vita a una mise sofisticata e casual al tempo stesso. Cosa indossare, invece, per un meeting dell’ ultim’ ora? La fascinosa celeb punta sulla sobrietà di un suit blu navy, ma non tralascia di donare alle sue gambe tutto il risalto che meritano inguainandole nelle Soft Diamond Tights: il prezioso pattern diamante coniuga geometrie e texture velata con un risultato d’ effetto.

Trench coat Maison Margiela, shirt Marni, pants Emilio Cavallini, bag Hermès

Dress Mugler, tights Emilio Cavallini

Jacket Saint Laurent, sweater Gods, tights Emilio Cavallini

Jacket Versace, tights Emilio Cavallini

Cala la sera, sulla metropoli londinese. E’ arrivato il momento di un tranquillo relax casalingo, che Missé Beqiri assapora senza rinunciare alla sensualità. L’ iconico Enginereed Lace Bodysuit, a tale scopo, si rivela perfetto: emblema di seduzione e di femminilità nella quintessenza, avvolge il corpo in un autentico capolavoro di ricami. Ma il richiamo della notte è potente, e Missé cede alla sua voglia di uscire. Per catapultarsi nell’ effervescente nightlife di Londra sceglie non uno, bensì due outfit a effetto “wow”, come il sexy tailleur da abbinare a un paio di eleganti Argyle Tights e il cocktail dress in total white che evidenzia le iper ricercate cuciture delle Sensual Black Seam Tights.

Bodysuit Alexander Wang, tights Emilio Cavallini

Bodysuit Emilio Cavallini

Pattern audaci, linee che caricano di sex appeal la silhouette e dettagli minuziosi sono gli ingredienti di una collezione Autunno/Inverno che racchiude il mood più intrigante dello stile Cavallini. Uno stile di cui non poteva essere che Missé Beqiri, con la sua allure radiosa e innatamente provocante, la portavoce ideale.

Jacket Alexander McQueen, tights Emilio Cavallini, bag Hermès

Dress Valentino, tights Emilio Cavallini

CREDITS

Photographer: Raffaele Grosso
Stylist and Direction: Pier Fioraso
Assistant: Lisa Mobilio
Hair and Make Up: Anja Joy Bont
Video: Ira Giorgetti
Model/Actress: Missé Beqiri

Per esplorare l’ universo di Emilio Cavallini e saperne di più sulle disavventure di Missé Beqiri: www.emiliocavallini.com

Da artista di strada a cantastorie contemporaneo: quattro chiacchiere con Jack Paps

 

Lo incontri e pensi che, di certo, non passa inosservato: sembra direttamente uscito da una affiche della Belle Epoque. Sul fatto che sia un artista non ci sono dubbi, ce lo racconta un look  a metà tra l’ eccentrico e il bohémien. L’hanno definito “un moderno menestrello”, e l’aria del cantastorie gli si addice: la barba folta, i baffi d’antan, i capelli raccolti in due lunghe trecce sono un po’ il “trademark” di Jack Paps, così come la tuba e gli anelli gipsy. In realtà, il suo talento si è sempre rivelato estremamente eclettico. Curioso della vita, intuitivo, Jack diventa un musicista da autodidatta e inizia ad esibirsi con la sua fisarmonica come artista di strada. Qualche anno dopo lo ritroviamo sul palco di uno degli eventi clou dell’ estate, il Summer Jamboree, dove ha introdotto l’ attesissimo Burlesque Show: pigiando sui tasti dell’ inseparabile fisarmonica, Paps ha conquistato immediatamente l’ audience della kermesse senigalliese. Un vero e proprio trionfo, il suo, personaggio che si distanzia dalle atmosfere anni ’40 e ’50 del Festival a favore di un’ ispirazione squisitamente “fin de siècle”. L’ ho voluto incontrare per saperne di più su di lui e sulla sua arte: c’è da scommettere che di Jack Paps sentiremo parlare molto, nei mesi a venire. Io, nel frattempo,  ho scoperto che ama svelarsi con parsimonia e che è un vero maestro nel potenziare l’ attenzione grazie a un misterioso “non detto”.

Come racconteresti il tuo background esistenziale e formativo?

Non mi sono mai iscritto a un Conservatorio e non ho mai studiato musica privatamente, durante l’adolescenza non ho fatto parte della band più quotata della scuola e non sognavo di diventare un musicista professionista. Per giunta, ora che lo sono, non credo che vorrò esserlo ancora a lungo. Da bambino ho trovato una piccola pianola tra la cianfrusaglie del garage e da quel primo approccio con la musica questa è rimasta, seppur in maniera riservata, un frammento sostanziale della mia vita per 20 anni. Suonare e cantare restano di fatto le voci attraverso cui posso esprimere la parte immateriale, l’origine e il centro del mio pensiero, della volontà e della coscienza a me stesso e a nessun altro.

 

(Photo by Giuseppe Reggiani)

 

Come nasci artisticamente?

Vengo da una famiglia poco abbiente e per non pesare e dare una mano ho cominciato a lavorare a 15 anni. Ho fatto i lavori più disparati, dal cameriere alla guardia giurata, dal facchino al corriere e intanto nel corso degli anni, nonostante l’impegno e la serietà, le situazioni lavorative che incontravo non mi permettevano di poter costruire qualcosa di stabile. All’età di 24 anni ho deciso di rivoluzionare la mia vita e in un periodo storico in cui il lavoro precario era all’ordine del giorno ho optato per il più precario di tutti, l’artista. Così ho cominciato tra le calli e i campielli di Venezia come artista di strada, con una fisarmonica sgangherata che sapevo suonare a malapena. Da cosa nasce cosa ed è cominciata una vera e propria vita errante partecipando a festival di arte di strada italiani e stranieri, collaborazioni musicali, e successivamente spettacoli teatrali. La professione si è consolidata poi con la partecipazione e le esibizioni nelle feste private e negli appuntamenti mondani più attesi dell’anno. Cinque anni fa prendevo in mano la fisarmonica senza sapere da dove partire e a oggi ho collezionato un racconto di condivisione tra palchi, salotti e strade affollate.

Per descriverti hai usato la definizione di “artista di strada”. Su cosa sono incentrate, esattamente, le tue performance?

Anche se il mio lavoro mi porta a esibirmi in ambienti altolocati e benestanti, non ho ancora smesso per sopravvivere di lavorare in strada. Ho cominciato come artista di strada e mi esibisco nella fattispecie ancora oggi come cantastorie intrattenendo i passanti con canzoni e filastrocche. Nel corso degli anni però il mio spettacolo si è trasformato molto e da esecuzione musicale si è evoluto in una piccola boîte a surprises dalla quale escono le note della fisarmonica, brani anni ’30 e gag dove per esempio i bicchieri vengono frantumati con la sola forza della voce ed io mi esibisco con improbabile delicatezza in coreografie di danza classica corredato di tutù.

 

(Photo by Giuseppe Reggiani)

 

Guardarti è come immergersi in atmosfere bohemien e molto “fin de siècle”: cosa ti lega a quell’ epoca?

L’immaginario, la moda della Parigi di fine ottocento, i suoi personaggi e le idee rivoluzionarie sono stati l’ispirazione che hanno alimentato la mia ricerca e le mie esibizioni a sviluppare l’aspetto che ha oggi il mio spettacolo. Sono intrinsecamente legato a quell’epoca per certi aspetti che si associano alla mia vita da quando ho cominciato a fare questo mestiere. Mi sono divertito nell’immaginarmi simile agli artisti bohémien durante i concerti abusivi nelle strade o nei bassifondi di città suggestive come Venezia, oppure quando per imparare le sonorità e i ritmi delle musiche balcaniche ho cominciato a frequentare e a suonare assieme ai gitani di Milano.

Alla fisarmonica classica hai aggiunto sonorità contemporanee, più prettamente elettroniche: perché?

Sono cresciuto negli anni ’90 ascoltando Gabry Ponte e gli Eiffel 65 e oggi, volente o nolente, nonostante io abbia approfondito un altro genere musicale, amo ancora la techno più grossolana e cafona. Ecco perché ogni tanto tendo a cimentarmi in esperimenti di questo genere.

 

(Photo by Giuseppe Reggiani)

 

Quest’ anno hai esordito al Summer Jamboree introducendo il “Burlesque Show” al Teatro La Fenice. Com’è andata?

E’ stata una scommessa per gli organizzatori, sapevo che avrei dovuto aprire lo spettacolo che avrebbe coinvolto artisti e musicisti internazionali. Ho avuto un solo brano per riuscire a scaldare il pubblico di 800 persone che hanno riempito il teatro e, considerando l’entusiasmo e gli applausi al termine dell’esibizione, direi che ho adempiuto egregiamente al mio dovere.

Cosa ti ha colpito di più del Festival?

Per me il SummerJamboree è stato uno sconvolgimento culturale irresistibile che mi ha riportato negli anni ’40 e ’50 in cui la musica univa le classi sociali, e che durante questi 12 giorni, allo stesso modo, ha reso tutti indiscriminatamente partecipi a un evento traboccante di gioia e allegria.

(Photo by Davide Bona)

Pensi che se raggiungessi una notorietà massiccia il tuo modo di approcciarti all’ arte ne risentirebbe?

Per il mio tipo di personalità, per come sono fatto io, potrebbe davvero essere una cosa deleteria e probabilmente non mi farebbe bene.

Veniamo al gossip. Che puoi dirmi del tuo love affair con Eve La Plume?

Sono innamorato. Direi che è tutto!

Hai qualcosa che bolle in pentola, dopo l’esperienza senigalliese?

Pensavo di mollare tutto e diventare insegnante di Yoga.

 

(Photo by Davide Bona)

Il close-up della settimana

Guy Bourdin il provocatorio,  il visionario, il geniale. La sua opera, di forte stampo surrealista, lo ha reso uno dei Maestri indiscussi della fotografia del XX secolo. La Fondazione Sozzani si accinge a celebrarlo con due mostre milanesi allestite negli spazi della Galleria Carla Sozzani, a 10 Corso Como: In Between e Untouched, a cura di Shelly Verthime, verranno inaugurate rispettivamente il 9 Settembre e il 14 Ottobre e proporranno una selezione di scatti vintage e più recenti, rigorosamente in bianco e nero, del talentuoso fotografo francese. Si tratta di un focus piuttosto inedito, meno conosciuto rispetto alla produzione di forte impatto cromatico a cui si tende ad associare Guy Bourdin immediatamente. Eppure, il “black and white” rappresenta il leitmotiv di circa la metà delle sue foto destinate al fashion ed evidenzia come, sin dagli esordi, la sua opera sia contraddistinta da una straordinaria sensibilità visiva. Nato a Parigi nel 1928, Bourdin debuttò come fotografo aereo con la French Air Force di Dakar,   dove svolse il servizio di leva.  Al ritorno in Francia, fondamentale si rivelò l’ incontro con Man Ray: l’ artista dadaista divenne il suo mentore e firmò l’ introduzione del catalogo della sua prima mostra fotografica, inaugurata nel 1952 a Parigi. Risale a tre anni dopo l’ inizio della collaborazione di Bourdin con Vogue Paris, sfociata in un sodalizio più che trentennale. Con Vogue il giovane fotografo approdava al mondo della moda, un settore per il quale realizzò servizi e campagne pubblicitarie come quelle – leggendarie – per il brand di calzature Charles Jourdan.  Le immagini graffianti, il glamour che converte gli accenti patinati in elementi surreali, i colori smaglianti, divennero poco a poco il suo signature style. Ogni scatto di Guy Bourdin raccontava una storia, prendeva le distanze dal mero “figurativismo”. Le sue doti da storyteller visivo aprirono la strada a una nuova fotografia di moda e lo resero richiestissimo:  oltre che per Vogue, effettuò photo shoot per Harper’s Bazaar e Maison del calibro di Versace, Issey Miyake, Ungaro, Chanel e Loewe gli affidarono le loro advertising campaign. Irriverente e unconventional, Bourdin non accettò mai il Grand Prix National de la Photographie di cui il Ministero della Cultura Francese lo insignì nel 1985. Oggi, a 26 anni dalla sua morte, viene considerato uno dei fotografi più influenti nella storia della fashion photography e le sue opere sono incluse nelle collezioni di musei come il Victoria & Albert Museum e il Tate Modern di Londra, la Galerie Nationale du Jeu de Paume di Parigi, il National Museum of China di Pechino e il Getty Museum di Los Angeles.

10 Corso Como (photo by justraveling.com)

Le due mostre che la Fondazione Sozzani gli dedica, evidenziano il coté più squisitamente intimo della sua fotografia: giochi di luci ed ombre, un alto tasso di raffinatezza e la forza impattante dell’ immagine sono il fil rouge che le accompagna.

IN BETWEEN (dal 10 Settembre all’ 11 Ottobre) include 20 fotografie di moda perlopiù inedite scattate da Bourdin tra il 1950 e il 1987. I riflettori sono puntati sull’ universo visionario scaturito dalla sua collaborazione con Vogue Francia e sulle tappe salienti di questo excursus, a partire dal photo shoot cult ” Chapeaux choc” pubblicato nel Febbraio 1955 fino alla ricezione dell’ Infinity Award che assegnò a Bourdin l’ ICP di New York.

UNTOUCHED (dal 15 Ottobre al 12 Novembre) mette in mostra 30 foto rare che Bourdin realizzò tra il 1950 e il 1955, periodo chiave per l’ incubazione del suo processo creativo. La curatrice Shelly Verthime racconta di aver rinvenuto i negativi e i provini degli scatti in una scatola Kodak contenuta nell’ archivio del grande fotografo: accuratamente catalogato, il materiale è rimasto inedito per 50 anni e racchiude l’ imprinting artistico di Guy Bourdin prima del suo esordio nella fashion photography. Con la mostra coinciderà la presentazione di un libro che porta lo stesso titolo.

GUY BOURDIN

Due mostre di Shelly Verthime

Dove: Galleria Carla Sozzani, 10 Corso Como – Milano

Quando:

In between (1955-1987) – Dal 10 Settembre al 11 Ottobre 2017 – Inaugurazione: il 9 Settembre 2017 dalle ore 15 alle 20

Untouched (1950-1955) – Dal 15 Ottobre al 12 Novembre 2017 – Inaugurazione: il 14 Ottobre 2017 dalle ore 15 alle 20

Per info e orari: www.galleriacarlasozzani.org

Photo: Guy Bourdin, Vogue Paris 1971
© The Guy Bourdin Estate, 2017
Courtesy of Art + Commerce, 2017