La festa di San Patrizio e la birra, uno dei suoi simboli

 

Buon San Patrizio, happy St.Patrick’s day! Oggi è la festa del santo patrono d’Irlanda, e ormai anche in Italia la si celebra da tempo. MyVALIUM ha già approfondito la storia, le usanze e i simboli che contraddistinguono questa ricorrenza, il cui colore per antonomasia è il verde (rileggi qui l’articolo). Oggi ci focalizzeremo su un altro argomento: la birra, che il 17 Marzo scorre letteralmente a fiumi. Ma cosa associa San Patrizio alla celebre bevanda aromatizzata con il luppolo? Continuate a leggere e lo scoprirete.

 

 

Bisogna, intanto, considerare che cosa rappresenta la birra per gli irlandesi. La birra è innanzitutto la bevanda nazionale dell’Irlanda, uno dei suoi simboli supremi. Accanto ad essa troviamo i folletti (come il Leprecauno, che custodisce un pentolone ricolmo di monete d’oro), i trifogli, il verde, l’arpa, la croce celtica e George Bernard Shaw, per citarne solo alcuni. La birra può essere considerata uno dei più importanti emblemi socio-culturali del paese insieme al sidro, ottenuto dalla fermentazione alcolica delle mele cotogne. Le prime feste dedicate a San Patrizio sorsero nell’Irlanda del 1600. Secondo alcuni, tuttavia, il culto di Maewyin Succat (nome di nascita del Santo) risale addirittura all’anno 1000, quando San Patrizio cristianizzò l’isola. Proprio a quell’epoca, cominciarono a spuntare molteplici birrifici e sidrifici. L’Irlanda era dominata dai Vichinghi, arrivati sull’isola di smerlando nel 795 d.C. con l’intento di saccheggiarla. Furono proprio i Vichinghi, una volta insediatisi sul territorio, a creare delle importanti rotte commerciali con l’Europa: gli irlandesi iniziarono ad esportare i loro prodotti, in particolare il sidro, che era richiestissimo nel Regno Unito.

 

 

Il commercio marittimo tra l’Irlanda e gli altri paesi proseguì per molti anni ancora, favorito in particolar modo dalle comunità di immigrati irlandesi presenti in ogni parte del mondo. Anche la festa di San Patrizio cominciò a diffondersi a livello mondiale: nel 1800, il 17 Marzo era una data importantissima ovunque fossero presenti degli espatriati irlandesi. Ma non pensate che venisse festeggiata come lo facciamo oggi. Il culto di San Patrizio era prettamente cattolico, legato a messe e processioni dove il sacro rappresentava l’elemento dominante. I festeggiamenti cominciarono a prendere una nuova piega a partire dalla prima metà dell’Ottocento; intorno al 1845 e fino al 1849, in particolare, la grande carestia delle patate provocò una massiccia diaspora irlandese negli Stati Uniti, tra Boston, New York e Chicago, oppure in Canada.

 

 

E in America, la festa di San Patrizio iniziò a poco a poco a diventare una celebrazione che coinvolgeva tutta la popolazione. Il 17 Marzo di ogni anno si omaggiavano non solo San Patrizio, ma  l’isola di smeraldo in toto, con i suoi abitanti e le sue tradizioni. Tra queste ultime, naturalmente, rientravano i simboli. La birra era uno di questi: nel XIX secolo predominava la stout, diffusissima nell’Irlanda settecentesca grazie al birraio Arthur Guinness. Ancora oggi, dopo l’avvento delle Lager (birre a bassa fermentazione), la stout scura rimane uno dei principali emblemi della verde Irlanda unitamente al sidro, meno conosciuto nei paesi mediterranei ma ricco anch’esso di una forte valenza simbolica.

 

 

E se a Chicago ogni anno, in occasione di San Patrizio, la comunità irlandese tinge il fiume Chicago di verde con 40 chili di colorante vegetale, anche la birra ha provato a cambiare colore: la birra verde, prodotta specificamente per il 17 Marzo, non ha però niente a che fare con l’Irlanda: fu ideata nel 1920 da un medico statunitense, Thomas Hayes Curtin, che pare usasse un misterioso preparato per ottenere il color smeraldo. Secondo alcuni, le radici della birra verde affondano invece agli inizi del Novecento. Risale al 1910, infatti, una pagina pubblicitaria di quel tipo di birra rintracciata in un giornale dello stato di Washington.

 

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La colazione di oggi: la casetta di pan di zenzero, tra tradizione, arte e gusto

 

Tradizione natalizia tipica della Germania e dell’ Europa del Nord, la casetta di pan di zenzero è diffusissima anche negli Stati Uniti. In tedesco si chiama  Lebkuchenhaus o Pfefferkuchenhaus  e viene considerato il dolce più goloso e conosciuto preparato con il famoso impasto speziato (“pepparkakor” il suo nome in svedese). Ho già parlato di questa pasta biscotto a base di miele, melassa e zucchero di barbabietola aromatizzati con zenzero, cannella e chiodi di garofano (rileggi l’articolo qui), stavolta voglio soffermarmi sulla casetta e sulla sua storia. Prepararla non è molto difficile, sono le decorazioni a renderla un’opera d’arte: la pasta dev’essere compatta, dopodichè si taglia in modo da formare le parti di una casa. I pannelli, una volta cotti, si assemblano delineando la struttura di un’abitazione. Per unirli vengono usati la glassa o lo zucchero fuso; la glassa, ricoperta di zucchero a velo, serve anche a creare l’effetto neve o dettagli specifici del dolce, come le tegole. Confetti, zuccherini colorati e caramelle completano l’opera, dando un aspetto oltremodo invitante alla casetta. Lo zenzero, che ha una lunga durata di conservazione, contribuisce a mantenerla integra per molto tempo.

 

 

La preparazione dell’ impasto si avvale, oltre che del pan di zenzero, di farina, uova, burro, noce moscata e cacao; al fine di rendere la pasta sufficientemente compatta, la si lascia indurire per alcune ore. Con il pan di zenzero si possono realizzare dolcetti dalle forme più disparate: alberi di Natale, stelle, cuori (basti pensare a quelli, tipici, dei mercatini natalizi tedeschi), renne, fiocchi di neve, animali, cavalieri, santi protettori sono ed erano le più diffuse. Questi dolci cominciarono ad essere prodotti in Germania sotto forma di biscotti (i Lebkuchen) tra il XIII e il XIV secolo. Norimberga, in particolare, considerata la “capitale mondiale del pan di zenzero”, divenne celebre per i capolavori artistici che i fornai realizzavano con il pan di zenzero nel 1600. Nel resto d’Europa, la golosissima pasta biscotto arrivò nel XIII secolo. In Svezia il “pepparkakor” venne diffuso dagli immigrati tedeschi, mentre pare che gli omini al pan di zenzero fossero abitualmente preparati alla corte di Elisabetta I Tudor a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

 

 

Nel XVII secolo, produrre dolci al pan di zenzero si tramutò in una professione che rientrava in una corporazione specifica. Le creazioni erano elaboratissime, impreziosite da elementi ornamentali, e coniugavano il gusto con la pura bellezza; a Natale, venivano vendute soprattutto nei mercatini e nelle bancarelle poste in prossimità delle chiese. La produzione “artistica” di pan di zenzero, in Europa, divenne una realtà consolidata nelle città di Norimberga, Lione, Praga, Pest, Torùn e in molti altri centri sparsi tra la Germania, la Polonia e la Repubblica Ceca. Con la massiccia emigrazione tedesca negli Stati Uniti, successivamente, la tradizione invase paesi a stelle e strisce come il Maryland e la Pennsylvania. Ma come nacque l’usanza delle casette al pan di zenzero?

 

 

La loro origine viene fissata a Norimberga, dove tra il 1500 e il 1700 i mercanti erano soliti importare enormi quantità di spezie quali appunto lo zenzero, la cannella, il pepe e le mandorle, mentre l’apicoltura a cui era consacrata la foresta reale garantiva una produzione di miele continua. Secondo una leggenda, la creazione delle prime casette risalirebbe proprio a quell’epoca: un fornaio che viveva nella città tedesca cominciò a prepararle sostituendo la farina con le mandorle per destinarle a sua figlia, affetta da una patologia rara. Secondo gli studiosi, invece, la casette al pan di zenzero vennero prodotte a partire dal 1800: in seguito alla pubblicazione della fiaba “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm, nel 1812, un gran numero di fornai pensò di riprodurre la casa di leccornie con cui la strega attira i due protagonisti. Inutile dire che fu il pan di zenzero a plasmare quelle casette, che prontamente andarono a ruba. Questo dolce si impose durante le festività natalizie, e a tutt’oggi nulla è cambiato.

 

 

Nel 1800, le casette “raggiunsero” anche il Regno Unito: Thomas Hardy le cita in “Jude l’oscuro”, che apparve sotto forma di romanzo nel 1895, mentre nel ricettario “Dinner With Dickens: Recipes Inspired by the Life and Work of Charles Dickens”, uscito non molti anni orsono, la casetta di pan di zenzero è inclusa tra i dolci associati alla vita e all’opera di Dickens.

 

 

Oggi, a Norimberga vengono prodotte annualmente più di 70 milioni di casette. La città tedesca può essere considerata la città simbolo di questo dolce natalizio, che ha ottenuto peraltro il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Tuttavia, la gingerbread house rientra a pieno titolo anche tra le tradizioni natalizie del Nord Europa: il pan di zenzero, ricco di calorie, è un valido aiuto per contrastare le temperature polari della penisola scandinava. Nei paesi in cui la casetta è diffusa, inoltre, la tipicità gioca un ruolo molto importante. In famiglia, nei giorni che precedono il Natale, ci si riunisce tutti insieme per preparare il dolce; in Germania è possibile trovarlo in ogni mercatino nel periodo delle festività. In Svezia, la ricorrenza di Santa Lucia coincide con l’inizio della preparazione delle casette. In determinati luoghi vengono creati dei maestosi villaggi al pan di zenzero: il più grande a livello mondiale è Pepperkakebyen, costruito in Norvegia dagli abitanti di Bergen; notevoli e molto conosciuti sono anche Gingertown, la città di pan di zenzero realizzata a Washington, e il villaggio dell’ Hotel Marriott Marquis di New York, che contiene persino un treno.

 

 

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