“Fashion Confidential”: dietro le quinte della moda con Mariella Milani

Un ritratto fotografico di Mariella Milani (foto © Simona Filippini)

In TV, al Tg2, incastonati tra le notizie di cronaca, sport ed economia, spiccavano i servizi dedicati alla moda: erano piacevoli parentesi, preziose oasi di evasione dove una voce fuori campo commentava, con garbo unito a una sottile arguzia, le creazioni più sublimi proposte dai couturier e i look di volta in volta chic, minimal o eccentrici che sfilavano in passerella. Quella voce, inconfondibile, apparteneva a Mariella Milani, giornalista e critica di moda che vanta una carriera di ben 33 anni in RAI. Per me, televisivamente parlando, dire “fashion world” e dire “Mariella Milani” sono ancora oggi un tutt’uno. Adoravo il suo eloquio, la sua narrazione; il suo modo di raccontare la moda che risultava coinvolgente per qualsiasi tipologia di spettatore, dall’ “archetipa” casalinga di Voghera ai più quotati esperti del fashion system. Con lei, quel mondo spesso considerato effimero, esclusivo, distante dalle esigenze della gente comune, si calava felicemente nella realtà quotidiana. La Milani era in grado di esaltare l’ eccellenza sartoriale di un abito e, al tempo stesso, di illustrare con bonaria ironia certe eclatanti stravaganze. Inutile dire che il pubblico televisivo, perlopiù ancorato al concetto di portabilità dei capi, la venerasse. Questo suo tipo di approccio, che contribuiva senza dubbio ad avvicinare la moda alle masse, probabilmente scaturiva da un background professionale che aveva incluso ruoli di conduttrice del Tg2, cronista d’assalto, inviato speciale, capo redattore, autrice di reportage…Settori molto lontani dalla moda ma quanto mai contigui alle problematiche sociali, agli umori della gente. Un’ esperienza culminata con “Diogene”, la sua, rubrica quotidiana che la vedeva nelle vesti di paladina dei diritti dei consumatori. Al “fashion”, la Milani è approdata nel ’94 e sarà lei stessa, nella conversazione che segue, a raccontarci in che modo. Va detto che, da allora, il suo amore per la moda (seppure mantenendo sempre un occhio critico) si è elevato a livello esponenziale. Oggi del “regno delle passerelle” parla su Instagram, dove organizza dirette, dialoghi virtuali con i protagonisti del Made in Italy e con le influencer più significative, cura speciali rubriche incentrate sui capi cult, su mitici designer e sulle icone di stile. Ma oltre ad occuparsi di moda sul suo feed, Mariella Milani ha deciso di approfondirne il mondo: ce lo presenta in un volume, “Fashion Confidential“, pubblicato per i tipi di Sperling & Kupfer nel Febbraio scorso. La passione per il cinema dell’ autrice si riflette in tutti i capitoli, i cui titoli citano quelli di film pertinenti con l’argomento trattato; nelle pagine del libro, tuttavia, sono la moda e soprattutto il suo universo il nucleo portante. Perchè in “Fashion Confidential”, con estrema competenza e il consueto tono  tra l’ironico e il disincantato, di moda si parla a tutto campo: personaggi, eventi irripetibili (un esempio? La leggendaria sfilata di Fendi lungo la Grande Muraglia cinese), talenti eccelsi e mai dimenticati, ricordi personali e aneddoti, ma anche atmosfere, zone d’ombra, mood e modelli comportamentali si alternano in un pot-pourri ricco di sfaccettature. Ampio spazio, naturalmente, è dedicato al profondo mutamento che l’ avvento del Covid-19 ha imposto al settore. E’ un mondo in continuo divenire, il fashion world, e oggi lo è più che mai; gli influencer la fanno da padroni e la digitalizzazione si estende a macchia d’olio. Cosa pensa Mariella Milani di tutto questo? Lo scopriremo leggendo il suo libro o ascoltandolo, in versione podcast, ogni lunedì su Spotify Italy (qui trovate il link) e sulle principali piattaforme di podcast hosting. Intanto, però, godetevi questa brillante intervista che mi ha fatto l’ onore di concedermi.

Ha iniziato a raccontare la moda nel 1994, con la RAI, ma il suo background annoverava settori totalmente differenti: si è occupata di cronaca, di dossier, di difesa dei diritti del cittadino, e ha esplorato universi, come quello della criminalità organizzata, ben distanti dal glamour delle passerelle. Come ha vissuto questo totale cambio di rotta?

Ho iniziato quasi per caso, per una proposta che ironicamente definisco “indecente”. Mi occupavo di tutt’altro ma, come spesso accade in RAI, la mia redazione era stata chiusa e l’allora direttore del Tg2 Clemente Mimun volle affidarmi la moda perché la raccontassi con un tono dissacrante e ironico, adatto a un pubblico generalista. Confesso che inizialmente mi sembrava riduttivo, avendo affrontato mondi ben più insidiosi, ma con la curiosità di una bambina – che mi appartiene ancora oggi – mi sono buttata a capofitto in un’avventura assolutamente nuova.

La moda, comunque, non le era indifferente…Penso agli impeccabili tailleur Armani che amava indossare, di cui peraltro parla nel suo libro. Come e quando è scoccata la scintilla con il pianeta dello stile?

È iniziata esattamente quando, negli anni Ottanta, mi è stata affidata la conduzione dell’edizione delle 13 del Tg. Volevo apparire come una giornalista seria e affidabile e niente come una giacca o un tailleur di Armani, simbolo indiscusso del power dress, avrebbero potuto darmi l’autorevolezza che cercavo. Devo confessare che dilapidavo fortune nelle sue boutique…

 

L’ immagine che Mariella Milani ha scelto per il suo profilo Instagram e per il podcast di “Fashion Confidential”

Il suo debutto come giornalista di moda e di costume risale agli anni ’90, l’epoca d’oro degli stilisti-superstar, del boom del Made in Italy e delle top model. Com’è stato immergersi in quel mondo ambitissimo dove il lusso, il sogno e la fantasia a briglia sciolta (basti pensare alle favolose creazioni di John Galliano per Dior Haute Couture) rappresentavano i vessilli supremi?

Non posso nascondere che all’inizio mi sentivo un’aliena catapultata in un universo sconosciuto. Mi chiedevo come avrei potuto catturare l’attenzione del pubblico del telegiornale, generalista per definizione… al professore universitario o alla “famosa” casalinga di Voghera non sarebbe certo importato nulla della lunghezza degli orli delle gonne ma, con ironia e un pizzico di irriverenza, sono riuscita a trovare il mio stile e il mio posto in quell’universo patinato e accattivante.

Quali eventi, personaggi o situazioni ricorda, di quel periodo, a titolo emblematico del suo splendore? Nel libro che ha scritto ne cita molti; ce ne menzioni qualcuno per chi non l’ha letto ancora.

Sicuramente la sfilata di John Galliano per Dior nel Foyer de l’Opera di Parigi nel 1998 è uno dei momenti più belli che ho vissuto nella moda. Eleganza e sontuosità senza eguali… e non a caso è anche uno dei prossimi racconti che farò nel Podcast di “Fashion Confidential”. Altra esperienza meravigliosa è stata la sfilata di Fendi sulla Grande Muraglia cinese nel 2007: ottanta metri di passerella per il primo – e unico credo – show visibile anche dalla Luna.

A proposito del suo libro, uscito di recente: “Fashion Confidential” ha come sottotitolo “Quello che nessuno vi ha mai raccontato sul mondo della moda”. Come è nata l’idea di esplorare un universo – che conosce ormai a menadito – da un’angolazione diversa, potremmo dire “da dietro le quinte”?

Per vocazione – e scelta – sono sempre stata una giornalista senza peli sulla lingua e il mio libro non poteva certo avere un approccio diverso… Volevo raccontare il mio punto di vista perché sono consapevole di aver vissuto anni che non torneranno più e se non avessi messo la mia esperienza nero su bianco, sarebbe andata perduta.

 

La copertina di “Fashion Confidential”, edito da Sperling & Kupfer

Pensa che il pianeta moda venga a tutt’ oggi mitizzato? E a suo parere, per quale motivo?

Assolutamente sì. La moda viene vista come un sogno, un mondo aspirazionale ma credo che questo succeda perché, in realtà, pochi sanno cosa ci sia davvero dietro le quinte. Non è tutto party e bling-bling, è prima di tutto un lavoro per milioni di persone e spesso ci si dimentica di questo aspetto.

L’ avvento del web, e soprattutto della pandemia di Covid, hanno stravolto radicalmente le coordinate del fashion system. Cosa ci aspetta in tal senso? La moda continuerà a mantenere il suo appeal o la digitalizzazione dilagante e le nuove priorità esistenziali lo ridimensioneranno definitivamente?

Panta rei, tutto scorre, diceva Eraclito… e, anche se gli anni che ho vissuto non torneranno , credo che nulla sia definitivo. Il mondo della moda è stato messo a dura prova negli ultimi anni e nell’ultimo periodo in particolar modo, ma spero – soprattutto per i giovani – che ci sarà un nuovo Rinascimento.

Nell’introduzione di “Fashion Confidential” scrive: “La vera moda è eccessiva, geniale, carismatica, ironica, sempre capace di reinventarsi, in bilico tra sogno e realtà”. Quali designer o Maison dell’era pre-pandemica assurgerebbe ad esempi di questa sua opinione?

Sicuramente Yves Saint Laurent, Valentino Garavani, Azzedine Alaïa, Cristobal Balenciaga, Rei Kawakubo… ma sono tanti per citarli tutti.

La sostenibilità e il concetto del “buy less, buy better” saranno i cardini della moda post-Covid?

Assolutamente sì, la sostenibilità è una priorità per la moda – e la società in generale. Non a caso ho dedicato a questo tema due capitoli del libro…

Cito ancora dal suo libro: “se sei una persona di valore ma non hai un potere reale o virtuale, hai poche speranze”, dichiara, rivolgendosi ai tanti giovani che vorrebbero dedicarsi alla comunicazione della moda. Eppure la moda è anche cultura, genialità creativa, fenomeno di costume, espressione. Privilegiare la visibilità a discapito del valore non rischia di relegarla allo stereotipo che la associa unicamente all’ apparenza, all’effimero?

Al di là di rischi e stereotipi, purtroppo questa è la realtà e non si può fingere di non vederla. Posso dire, però, che negli ultimi tempi si stanno riscoprendo il valore della qualità e della competenza e questo non può che essere un bene anche se, al primo posto, per emergere nella moda è fondamentale avere le relazioni giuste.

 

 

La moda è una geniale combinazione di arte e marketing. Oggi, tuttavia, i vari influencer hanno pressoché soppiantato la figura del giornalista, il web ha spodestato la carta stampata e molte riviste si vedono costrette a chiudere i battenti. Cosa pensa di questo fenomeno?

Analizzando il grande successo raggiunto, attraverso i social, da influencer e blogger – diventati i nuovi brand ambassador – ho riflettuto su una parola: democratizzazione. Credo siano da ritrovarsi in questo bisogno, che era evidentemente impellente, le ragioni un tale cambiamento. Il digitale è stato una sorta di “tana libera tutti” e l’informazione classica non ha tenuto il passo con l’evoluzione degli ultimi anni. È rimasta pressoché immobile, ancorata a un linguaggio e a strumenti quasi obsoleti e questo ha fatto sì che perdesse terreno.

Che consiglio darebbe a un giovane che sogna un futuro nel giornalismo di moda?

Spesso mi viene chiesto come poter fare il mio mestiere ma la verità è che nemmeno io so rispondere. È un lavoro che si è fortemente evoluto e, come dicevamo, il digitale ha avuto un impatto non indifferente. Sicuramente un’esperienza all’estero potrebbe essere molto utile per capire da che parte sta andando il mondo e cosa aspettarci dal futuro e soprattutto avere uno sguardo più cosmopolita.

Nel suo libro non risparmia critiche, sempre benevole e ironiche, al cosiddetto “circo della moda”. Lo definisce “un universo (…) popolato da designer spesso isterici e narcisisti, modelle dive o trattate come numeri, buyer considerati star, star, stylist, influencer, giornalisti, fotografi e PR (…) occupati in funamboliche capriole per dimostrare di essere il perno della giostra. Non è tutt’oro quel che luccica?

Ebbene no. È ora di sfatare questo mito. (sorride, ndr)

 

 

Tra pandemia, cambiamenti climatici e emergenza ambientale, si preannuncia un futuro contrassegnato dall’ incertezza. Crede che un nuovo Rinascimento sia possibile, che la moda possa tornare ai suoi proverbiali fasti, o vede più impellente un mutamento radicale del sistema?

L’ultimo capitolo del mio libro si chiama “Il sipario strappato”, dal famoso film di Hitchcock. Ho scelto questo titolo perché, anche se non c’è futuro senza passato, gli anni d’oro che ho vissuto non torneranno e siamo difronte a un momento di grande cambiamento. Concludo con la frase di un visionario come Steve Jobs: “think different”, perché penso che la moda debba davvero iniziare a pensare in modo diverso.

Vorrei concludere questa intervista con una riflessione. La moda è, da sempre, espressione dei tempi: lo stile hippie, ad esempio, incarnava la nascita di un mondo nuovo e di nuovi ideali. Oggi, l’attenzione dei giovani si concentra prevalentemente sul marchio e sui modelli di sneakers che è imprescindibile avere. Dove finisce la moda e dove comincia l’omologazione? Non a caso, lei ha concluso il suo libro citando appunto lo slogan “Think different” di Steve Jobs…

Senza sapere quale fosse l’ultima domanda l’ho preceduta… credo che l’omologazione sia una delle cause della disaffezione dei consumatori a cui la moda doveva far fronte anche prima che scoppiasse la pandemia. Finché l’imperativo sarà esclusivamente vendere, continuerà a esserci sicuramente più omologazione che moda.

 

 

 

 

“Christian Dior, couturier du reve”: la grande mostra che celebra i 70 anni della Maison

Christian Dior, Bar suit, Haute Couture, Spring-Summer 1947, Afternoon suit, Shantung jacket , Pleated corolla skirt in wool crêpe, Musée des Arts Décoratifs, UFAC
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope

Sono trascorsi 70 anni da quando il New Look, nel secondo dopoguerra, rivoluzionò in toto la silhouette femminile. Era il 1947 e la collezione Primavera/Estate di Christian Dior, contrapponendo uno charme elegante alle austerità imperanti durante il conflitto bellico, riscosse un successo tale da far sì che Parigi fosse ribattezzata “capitale della moda internazionale”. Da allora, la Maison Dior ha conosciuto un’ epopea di invariato splendore che in occasione del suo 70mo viene celebrata da una retrospettiva parigina: “Christian Dior, couturier du reve” è appena stata inaugurata presso il Musée des Arts Décoratifs e sarà visitabile fino al 7 Gennaio 2018. La mostra approfondisce ad ampio spettro l’ universo Dior, ripercorrendo il percorso inaugurato da Monsieur Christian fino ad approdare ai suoi illustri successori; il tributo è in grande stile, forse il più maestoso mai dedicato alla Maison. Agli oltre 300 abiti di Haute Couture selezionati viene affiancato, infatti, il fitto patrimonio intangibile costituito dalle emozioni, dalle storie di vita, dalle affinità e dalle ispirazioni, un heritage insostituibile documentato attraverso documenti, tele d’atelier, fotografie, schizzi, illustrazioni e reperti pubblicitari oltre che da accessori come i cappelli, le scarpe, le borse e dagli storici profumi Dior.

Christian Dior, Opéra Bouffe gown, Haute Couture, Fall-Winter 1956, Aiman line Short evening gown in silk faille by Abraham, Paris, Dior Héritage
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A dare il via al percorso espositivo, un approfondimento biografico sul “couturier du reve”: l’ infanzia a Grenville, gli Anni Ruggenti trascorsi in una Parigi effervescente dove inaugurò una galleria d’Arte, gli inizi nella Haute Couture come illustratore vengono evidenziati al pari delle sue passioni. L’ arte fu, senza dubbio, l’ amore principale di Christian Dior. Lo rivela il feeling che instaurò con nomi del calibro di Giacometti, Max Jacob, Dalì, Leonor Fini, Jean Cocteau e moltissimi altri habitué della galleria, ma anche la cospicua serie di dipinti, arredi, sculture, oggetti di antiquariato e d’arte esposti ad avvalorare la sua inclinazione. I curatori Florence Muller e Olivier Gabet hanno organizzato un excursus cronologico e tematico che si estende nei 3000 mq del Museo con dovizia di particolari: “raccontare” la Maison Dior significa anche, naturalmente, non tralasciare il prezioso ruolo che le creazioni fur di Frédéric Castet, i beauty look di Serge Lutens, Thyen e Peter Philips e le fragranze di François Demachy hanno rivestito nel forgiare la sua estetica. Fondamentale è poi lo spazio dedicato ai couturier che, dal 1957 (anno in cui Christian Dior morì improvvisamente) ad oggi, hanno portato avanti il suo heritage. Le creazioni di Yves Saint Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferrè, John Galliano, Raf Simons e Maria Grazia Chiuri vengono omaggiate  in 6 gallerie che evidenziano le loro rispettive riletture di uno stile ormai leggendario.

Maria Grazia Chiuri for Christian Dior, Essence d’herbier cocktail dress, Haute Couture, Spring-Summer 2017, Ecru fringe cocktail dress, floral raffia and thread embroidery adomed with Swarovski crystals, derived from a Christian Dior original
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Quando il New Look trionfò, si impose una moda dai codici del tutto inediti: la linea a corolla, che sottolineava la vita e amplificava le gonne a dismisura, esaltava una nuova femminilità. Le spalle si arrotondavano dolcemente, il busto risaltava grazie a bar jacket aderenti e gli accessori – cappello, borsa, guanti – si tramutavano in parte integrante della mise. Al razionamento dei tessuti tipico della Seconda Guerra Mondiale venivano sostituite stoffe in metratura extra, la donna si riappropriava del gusto di abbigliarsi e di esibire glamour allo stato puro. La passione per l’arte e per l’ antiquariato divenne, per Christian Dior, sommo leitmotiv ispirativo: se ne rinvengono tracce sia nel design che nei pattern decorativi. Dal 1957 ad oggi, i couturier che gli sono succeduti hanno reinterpretato la sua cifra stilistica attingendo ai più svariati spunti. La raffinata audacia di Saint Laurent, lo chic lineare di Marc Bohan, le suggestioni architettoniche di Gianfranco Ferrè, la Punk couture teatrale di John Galliano, il rigoroso minimal di Raf Simons e il femminismo luxury di Maria Grazia Chiuri vengono analizzati, nella mostra, tramite outfit tanto splendidi quanto significativi.

John Galliano for Christian Dior, Shéhérazade ensemble, Haute Couture, Spring-Summer 1998 Evening ensemble , Ballets-Russes-inspired kimono, pyramid line with large silk velvet funnel collar, appliqué décor, embroidery and incrustation of Swarovski crystals, Long double satin sheath dress, Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A concludere l’ esposizione, la navata centrale si tramuta in sala da ballo per accogliere un novero di evening dress spettacolari. Alcuni di essi sono stati indossati da VIP del calibro della Principessa Grace di Monaco, Lady Diana Spencer, Charlize Theron e Jennifer Lawrence, affascinanti figure chiave dell’ iconografia Dior. Altre creazioni, sono per la prima volta visibili a Parigi. Tutti gli abiti contribuiscono, mirabilmente, ad illustrare la storia mitica di una Maison che del glamour ha fatto il suo emblema più sublime.

Gianfranco Ferré for Christian Dior, Palladio dress, Haute Couture, Spring-Summer 1992, In Balmy Summer Breezes line, Long embroidered and pleated white silk georgette sheath dress Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

“CHRISTIAN DIOR, COUTURIER DU REVE”

Una mostra a cura di Florence Muller e Olivier Gabet con lo sponsor di Swarovski

Dal 5 Luglio 2017 al 7 Gennaio 2018

c/o Museé des Arts Décoratifs

107, Rue de Rivoli

Parigi

Per info: www.lesartsdecoratifs.fr

 

Raf Simons for Christian Dior, Haute Couture, Fall-Winter 2012
¾-length yellow duchess satin evening dress with Sterling Ruby SP178 shadow print, Paris, Dior Héritage, © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Yves Saint Laurent for Christian Dior, Bonne Conduite dress, Haute Couture,
Spring-Summer 1958, Trapèze line, Smock dress in speckled wool by Rodier, Paris, Pierre Bergé – Yves Saint Laurent Foundation © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Marc Bohan for Christian Dior, Gamin suit, Haute Couture, Fall-Winter 1961, Charme 62 line,Tweed suit, Short double-breasted jacket, Trapeze skirt and matching scarf Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Photo courtesy of Musée des Arts Décoratifs